CATANIA – Al centro della piazzetta c’è una stupenda “Balilla” cabriolet nera degli anni che furono. Sembra un modellino che ha preso il Viagra, tanto è lucida e ben curata. L’hanno portata qui, «per il grande evento», quelli del circolo “Titani di Sicilia”. Giovanni Paladino, pensionato con un pittoresco completo da ciclista e un misterioso secchio al seguito, ci incrocia all’ingresso: «Ma si paga per entrare?». Dopo il nostro cenno negativo si fionda dentro. Dritto verso l’auto d’epoca. La osserva con nostalgia: «Io non mi vergogno di dire che ho ammirato il duce e sono stato missino. Ma ormai il mondo è cambiato. Non lo so se Musumeci ‘sta terra la farà diventare bellissima. Ma più bruttissima (superlativo rafforzato originale, ndr) di com’è oggi non può essere».
Il pensionato non è solo. La Vecchia Dogana di Catania, ripescata dall’oblio, trabocca di gente di destra senza se e senza ma. Ma Nello Musumeci, padrone di casa all’apertura della tre giorni del suo movimento #DiventeràBellissima l’ha detto e lo ripete con ossessiva convinzione: «Vogliamo andare oltre lo steccato identitario». Sì, ma la domanda – che aleggia fra stand, dibattiti e spettacoli – a questo punto è: non c’è il rischio che questo contenitore alla fine rischi di deludere tutti? Per intenderci: quelli che fra le basole del porto di Catania cercano determinati valori rischiano di diventare la controfigura, inversamente morettiana, di chi assiste, applaude, fa il tifo e a un certo punto gli viene, sulla punta della lingua e del cuore: «Ma di’ qualcosa di destra!».
Chi invece è qui per sbirciare, curiosare e odorare – in cerca di qualcosa di nuovo – potrebbe restarci deluso; perché molte facce sono quelle di sempre. E allora qual è la novità? Cos’è questa “Cosa” di Musumeci? Il diretto interessato ammette il dissidio intimo appena arrivato, sotto gli Archi della Marina: «I moderati mi accusano di essere troppo di destra, a destra passo per uno troppo moderato… Io ritengo di essere stato sempre coerente. Ma oggi è una questione di lana caprina». E si rifugia in Giorgio Gaber: «Cos’è la destra e cos’è la sinistra davanti a un padre di famiglia che non riesce a mettere il piatto a tavola?». Poi scandisce: «Io mantengo la mia identità, ma ho il diritto di immaginare un futuro condiviso che metta assieme gente, capace e concreta, che viene da esperienze politiche diverse». Il complimento malizioso che gli hanno sempre fatto? «Musumeci è perbene e ben voluto, ma non ha un apparato cerca–voti».
Inoltrandosi fra il popolo di #DiventeràBellissima si scopre che la sostanza c’è. Oltre 140 consiglieri comunali in tutta la Sicilia («la maggior parte dei quali non vengono da destra», certifica Ruggero Razza, responsabile organizzativo dell’evento), associazioni universitarie, movimenti moderati l’“Amunì Sicilia” di Giusy Savarino e del fondatore di Forza Italia in Sicilia, Giuseppe Catania. Anche l’ex ministro Stefania Prestigiacomo, pur sempre di stretta osservanza berlusconiana, si aggira fra questa gente con naturalezza: «L’iniziativa viene dopo un lungo periodo di sonnolenza del centrodestra, bisogna rimettersi in moto e lavorare».
Ci sono i sindaci, trasversali, quelli delle esperienze civiche che hanno rinnegato i partiti. Il più corteggiato è Carlo Caputo di Belpasso: fino a 18 anni nel Fuan («mi cacciò Salvo Pogliese»), poi autonomista e infine delfino di Lino Leanza. Adesso col suo movimento “Rete Comune” spariglia le carte. «E guardo con simpatia e curiosità a questa idea di Musumeci», dice. Insomma, nella vita si può anche cambiare idea. Come ha fatto Eduardo De Filippis, consigliere municipale di Palermo: «Appoggiai Fini con Fli e Micciché alle Regionali: la più grande cazzata della mia vita».
Ed eccolo qui, in compagnia di un giovanissimo figlio d’arte con il cartellino “staff”. Francesco Sicali, figlio di Angelo, uno dei leder storici della destra catanese: «Sono cresciuto con certi valori, ma adesso ho scelto in autonomia: Nello è l’ultimo baluardo per sconfiggere l’antipolitica». Fabio Granata, fra gli spin doctor del movimento, è stato uno degli uomini più vicini a Gianfranco Fini (che qui dentro è come l’aglio per Dracula) e adesso, pur ammettendo «il rischio di un progetto avventuroso quanto affascinante», sottolinea il valore aggiunto della «rigenerazione ambientale, culturale ed economica».
Ci convince anche il ragionamento dello scrittore Marcello Veneziani: «Meglio una destra annacquata che avvelenata, com’è stato negli ultimi anni». E poi «nella contaminazione coraggiosa di quest’idea Sicilia – ricorda – c’è un valore puro come l’antimafia dei fatti, quella di Borsellino, che la destra ha colpevolmente tenuto nascosta per anni».
Uno dei più abbracciati è l’ex sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli. Che ha le idee chiare: «Nello ha le carte in regola per riconquistare la Sicilia degli schiacciati dal blocco di potere di Crocetta, Pd e soci. Ma non è detto debba essere per forza lui il candidato governatore: io vedrei benissimo Pietrangelo Buttafuoco». E in effetti è proprio il giornalista–scrittore il più osannato (in attesa della chiusura di Musumeci, domani) dal popolo di #DiventeràBellissima. «Io governatore? Una proposta dadaista – ridacchia Buttafuoco – perché sono inadatto a qualsiasi cosa istituzionale. Ma io faccio politica, nel senso non elettorale del termine». E allora via libera a Musumeci candidato, «che attira un affetto sincero e trasversale». Magari con un ticket: «Fabrizio Ferrandelli, sarebbe un’accoppiata fantastica». Tanto buttanissima da poter diventare possibilissima. (articolo pubblicato su La Sicilia l’11 settembre)
twitter: @MarioBarresi