Dalla Lukoil all’energia passando per l’export e i rapporti con la Cina: appena insediato a capo del ministero delle Imprese e del Made in Italy, il siciliano Adolfo Urso ha subito posto il futuro dell’Isola al centro del proprio impegno.
E la prima iniziativa riguarda proprio l’export, che nei primi sei mesi del 2022 ha registrato il migliore incremento del Paese, +78%, ora messo a rischio da inflazione e guerra in Ucraina. «Il record delle imprese siciliane sul fronte dell’export – commenta Urso – è emblematico delle potenzialità del sistema produttivo della nostra regione e del buon lavoro svolto dal presidente Musumeci in anni difficili. Anche per questo Giorgia Meloni gli ha affidato un incarico strategico, come ministro per le Politiche del mare, per la crescita del Sud, che si sviluppa soprattutto nel Mediterraneo. Nel contempo, consapevoli dei rischi che lei evidenziava, abbiano subito messo in campo un nuovo strumento, il Comitato interministeriale per il Made in Italy nel mondo (Cimim), co-presieduto dai ministri degli Affari esteri e delle Imprese, che, tra l’altro, mette in campo Ice, Sace, Simest in una logica di sistema. Una sorta di “squadra Italia” che in piena sintonia indirizza e coordina le strategie finalizzate a promuovere, valorizzare e tutelare il “Made in Italy” in Italia e nel mondo, anche per quanto riguarda gli strumenti di compensazione sul fronte delle sanzioni».
Lei ha parlato di “Sistema Italia” a proposito del Cimim, ma questo come potrà risolvere i problemi di infrastrutture e logistica della Sicilia?
«Innanzitutto una politica di proiezione internazionale e di valorizzazione del “Made in Italy”. Ma anche una strategia sul fronte interno che riguarderà il sistema dei trasporti e la logistica. Anche per questo ci misureremo sulla privatizzazione di Ita, affinché la nuova compagnia non più statale riaffermi la sua vocazione di “compagnia di bandiera” per quanto riguarda il trasporto passeggeri e merci. Catania ben sa quanto importante sia sviluppare il suo aeroporto come hub meridionale del Paese. La stessa logica vale per lo sviluppo ferroviario, a cominciare dal completamento della rete ad Alta velocità e delle tratte interne. Il tutto in una logica di intermodalità che deve vedere anche i privati partecipi della strategia nazionale. In questo contesto il Ponte sullo Stretto è un esempio e speriamo diventi anche modello della svolta che il Paese e soprattutto la Sicilia attendono da decenni».
Quando il governo giallo-verde aderì alla “Via della Seta” cinese, subito si sbloccò l’export di arance siciliane verso Pechino. Oggi, nella nuova geopolitica mondiale, non pensa che sia utile riavviare il dialogo con la Cina per aprire nuove prospettive di sviluppo alla Sicilia in funzione di investimenti nelle aree Zes e in piattaforme intermodali?
«Non credo che si possa barattare la nostra libertà con qualche tonnellata di arance. E, comunque, non è con le arance che si diventa centrali nella sfida del futuro, per quanto siano un simbolo della nostra terra. E lo dico da figlio di agrumari che sin da bambino nei mesi estivi lavorava nell’azienda di famiglia. Quel governo ha messo a rischio la nostra storica collocazione occidentale sottoscrivendo un accordo peraltro senza accorgersi di quel che stava accadendo. Oggi tutti siamo consapevoli che il mondo è cambiato e che vi è la rinascita degli Imperi, alcuni dei quali utilizzano l’economia, l’energia e le merci quali strumenti di potenza. Noi siamo consapevoli di ciò, della nostra storia come dei nostri interessi nazionali e, quindi, sappiamo meglio di altri confrontarci, dialogare e certamente anche “fare affari” senza pregiudizi nei confronti di tutti, ma ben sapendo chi siano gli alleati e chi invece dei partner. Gli Usa sono il nostro principale alleato, la Cina è sicuramente in prospettiva un grande partner. In questa logica si può incrementare l’esportazione di arance verso Pechino, ma nel contempo agire per incrementare gli investimenti esteri occidentali in Sicilia. La sfida si vince sui chip, sui semiconduttori, sui pannelli solari, sulle fibre ottiche, sulla tecnologia digitale ed ecologica. Il modello è quel che stiamo facendo con StM e con Enel nell’Etna Valley».
Come eliminare l’eccesso di burocrazia che blocca lo sviluppo dell’Isola?
«Semplificazione, sburocratizzazione, accelerazione: questo ci chiedono le imprese e questo ci chiede chiunque voglia investire nel nostro Paese. Per questo l’altro atto significativo che ho inserito nel primo decreto legge è stato realizzare l’ufficio del “difensore civico” delle imprese. Il mio dicastero potrà avocare a sé iter autorizzativi dinanzi all’inadempienza di altre amministrazioni. Tale azione, in sinergia con Palazzo Chigi, può riguardare anche inadempienze degli enti locali ogni qual volta prevale l’interesse nazionale. Le autorizzazioni non possono restare inevase per anni. Dobbiamo dare certezze a chi vuol fare!»
E come pensa di “ridare un futuro” ai tanti siti industriali in crisi?
«Per innescare da subito i meccanismi di crescita necessari a rilanciare le nostre attività produttive occorre restituire al Paese una visione industriale, che deve dare centralità alle imprese. Le prime indicazioni chiare del percorso che vogliamo seguire in questi 5 anni di governo sono visibili già in Manovra, pur negli spazi limitati consentiti dalla finanza pubblica e con le misure energetiche che hanno assorbito 21 miliardi. Nella Manovra abbiamo previsto due collegati che avranno una corsia privilegiata: quello sulla valorizzazione del “Made in Italy” nel mondo e la riforma degli incentivi, che sarà un’occasione per mettere a sistema, razionalizzare e rendere più efficaci le agevolazioni, anche fiscali, previste dal mio dicastero, così importanti proprio per il Sud! La vicenda Isab-Lukoil ci ha imposto una corsa contro il tempo per scongiurare gli effetti catastrofici che si sarebbero potuti verificare dal 5 dicembre con il divieto delle importazioni di greggio russo. Abbiamo ereditato un dossier compromesso e in poche ore abbiamo agito, prima con la “confort credit”, poi con la “moral suasion” con le banche e attivando la Sace, quindi con il decreto legge di stasera (ieri per chi legge, ndr). Ho promesso che saremmo intervenuti in tempo e in pochi giorni abbiamo recuperato mesi di ritardo. Abbiamo mostrato che l’interesse nazionale va tutelato sempre. E così faremo nelle altre situazioni di crisi della regione».
Che speranze ci sono di rifare ordine nelle Camere di commercio siciliane dopo il caos degli accorpamenti?
«La riforma è stata complessa, lunga e in taluni casi dolorosa, ma sono fiducioso che il traguardo sia ormai prossimo e potremo dare presto certezza ai territori e alle imprese. In Sicilia, la Regione ha tempo fino al 31 dicembre per decidere se confermare o revocare i nuovi accorpamenti. È una decisione che deve essere presa a livello locale e che consentirà di sbloccare anche tutte le altre questioni che rischiano di creare una pericolosa impasse del sistema camerale siciliano. Qualunque scelta dovrà essere fatta nel rispetto dell’obiettivo inderogabile di ridurre a 60 il numero delle CamCom in Italia».
Infine, l’energia. Lei co-presiede il Comitato interministeriale per la Transizione ecologica. Quali indicazioni intende dare riguardo al ruolo della Sicilia come hub strategico del Mediterraneo?
«L’Italia, e certamente innanzi tutto il Sud, può trasformare questa crisi in un’opportunità, diventando l’hub del gas europeo e l’hub elettrico del Mediterraneo. Siamo al lavoro senza sosta. Per realizzare nuovi rigassificatori, aumentare la produzione nazionale di gas, anche nel mare intorno a noi, sbloccare le autorizzazioni per gli impianti fotovoltaici ed eolici. Noi sappiamo che dobbiamo produrre più energia in Italia e in questo la Sicilia può diventare un grande modello. Domenica nel vertice che avrò a Catania con il governatore Schifani parleremo anche di questo. Io credo nella Sicilia e so di ciò che ha bisogno per affermare la sua centralità. Oggi si può!».