La fantasticheria, più un auspicio che un appiglio, per disfare gli scatoloni già psicologicamente fatti, è legata alla formula magica della «prospettiva unitaria» fissato dopo il vertice giallorosso.
Del doman non v’è certezza, ma anche i siciliani del Conte-bis sono rassegnati – con cinquanta diverse sfumature di delusione e d’illusione, di speranza e di lagnanza, ma soprattutto di prospettiva di vita personale – al fatto che la frittata è fatta.
Ubi Mario… Così è per tutti. Travolti da un insolito destino nel grigio mare di febbraio, virtualmente rottamati dall’all-in del Rottamatore nella crisi più pazza del mondo, con un occhio alle carte sulle scrivanie ministeriali – al quello-che-avrei-voluto-finire-ma-il-tempo-è-finito – e un orecchio alle trattative sui tavoli dell’era Draghi.
Restano. Per l’ordinaria amministrazione. Aspettando l’arrivo dei tecnici-politici, col sogno più o meno inconfessabile di restare da politici-tecnici.
Così è per due siciliani di nascita, i contestati Alfonso Bonafede e Lucia Azzolina. Ma sono discorsi a parte.
Così è per Nunzia Catalfo. La ministra del Lavoro, dopo la stoica resistenza ai rumors che la volevano in uscita anche in caso di Conte-ter, si rassegna al destino ineluttabile e al mal comune che in fondo non è mezzo gaudio. La madrina del reddito di cittadinanza, trofeo della caccia di Matteo Renzi alle icone del grillismo, è quanto di più lontano ci possa essere dall’«apostolo delle élite» additato da Dibba.
Eppure Catalfo, secchiona e dialogante, s’è conquistata una credibilità istituzionale super partes che arriva fin sotto lo Stretto, con un consolidato feeling istituzionale col concittadino Antonio Scavone, assessore regionale e importatore di navigator. «La priorità è e resta il lavoro», scandisce la ministra nell’ultimo testamento-social. Prima di una girandola di telefonate con i (confusi) vertici del M5S, nascondendo la ferita che brucia. «Delusione e amarezza», i sentimenti che filtrano dal ministero. Per il posto da lasciare, ma soprattutto per la consapevolezza che, nelle trattative con Renzi, il movimento l’aveva mollata e con lei pure l’icona identitaria del Rdc, ancorché strumento assistenziale con più ombre che luci. Tornerà a fare la senatrice, al secondo mandato, buttandosi a capofitto sul suo secondo must: il salario minimo garantito.
Così è per Peppe Provenzano, arcinemico del Matteo-Pierino (il “compagno di Milena” rifiutò la candidatura di retrovia post-cardinalizia nel Pd renziano e il leader di Italia Viva s’è vendicato chiedendo lo scalpo rosso nelle trattative burlesque del Conte-ter), costretto a lasciare il ministero del Sud. Un abito cucito su misura per l’allievo di Emanuele Macaluso, fra i più apprezzati dem nell’ultimo governo. La mole di messaggi e di telefonate in appena 24 ore da quasi-ex-ministro sono un souvenir agrodolce per Provenzano. Il posto di vicedirettore della Svimez c’è ancora, ma gli manca un seggio parlamentare che il Pd gli avrebbe potuto garantire, così com’è stato per il collega Gualtieri, in una delle elezioni suppletive. E c’è anche un ruolo, sempre più riconosciuto e riconoscibile, dentro un partito che ha bisogno di un under 40. «Ma la vita continua». E ora lui, figlio di un fabbro e di una maestra elementare, lascia il ministero col magone accresciuto dal timore che i tecnici draghiani rimettano in ombra il Mezzogiorno.
Così è per Giancarlo Cancelleri. Che, nelle prospettiva di una terza vita di Conte (a cui è molto legato, pur restando un fedelissimo di Luigi Di Maio), è stato vittima di un beffardo supplizio. Il grillino è entrato in conclave da viceministro, con tutti i bookmaker romani che lo davano in corsa per un ministero. La metà del Mit, dov’è a sbrigare le ultime incombenze, in caso di spacchettamento fra Infrastrutture e Trasporti, o magari al Sud, al posto di Provenzano, se Andrea Orlando, capocorrente di Provenzano, fosse entrato nel Conte-ter. E invece Cancelleri, sceso in corsa dalla corriera del secondo mandato all’Ars (dov’era vicepresidente) per salire sulla freccia giallorossa ministeriale, ora è costretto a fare le valigie senza una destinazione politica al sole.
Restano il legame con Giggino e il feeling con l’Avvocato del Popolo, ma il futuro è da reinventare. Senza seggio né a Roma né a Palermo, con la vecchia leadership siciliana da due volte candidato governatore (due volte sconfitto) da rinverdire. Ed è qui che i tempi della politica non coincidono con la second life dei suoi protagonisti.
Cancelleri, più volte additato dalla sua “superiore” padana Paola De Micheli perché faceva «il ministro dei Trasporti della Sicilia», s’è molto speso per le cose di casa nostra e lascia in sospeso alcuni dossier delicati sulle opere nell’Isola. Ma soprattutto interrompe un percorso in cui, senza nemmeno nasconderlo, scaldava i muscoli per la terza corsa verso Palazzo d’Orléans. Magari con quella «lista del presidente Conte» che il geometra nisseno, trapiantato a Sant’Agata di Militello, aveva evocato per le Regionali 2022 ben prima che nascessero i “volenterosi” romani.
Adesso le sliding doors di Cancelleri s’intrecciano proprio con quelle di Provenzano, evocato e invocato dal Pd siciliano come candidato governatore, con smentita del diretto interessato. Il ministro e il viceministro uscenti, con quasi due anni di potenziale sindrome da cono d’ombra, saranno fuori dai giochi? O magari, proprio perché non in altre faccende affaccendati, avranno il tempo per curare le ambizioni e rispondere alle sollecitazioni? Nello Musumeci, ma anche quella parte del centrodestra che lo mal sopporta, se lo cominceranno a chiedere.