IL COLLOQUIO
Terremoti, calamità, ma anche la Destra, la Regione e il voto a Catania: intervista a tutto campo con Nello Musumeci
Ministro Nello Musumeci, ci descrive con un aggettivo secco i primi cento giorni di governo Meloni?
«Efficace. E se posso aggiungerne un altro: autorevole. Basta guardare all’accoglienza internazionale ed ai primi successi in materia di price cup per il gas, dove la posizione italiana è diventata quella europea. Ma lo stesso può dirsi per la manovra economica, per il sostegno agli ultimi, per il superamento del reddito di cittadinanza in chiave meramente assistenziale, per la tutela degli asset produttivi nazionali, a partire da Priolo, per l’individuazione dell’orizzonte del Mediterraneo come luogo centrale per affermare il ruolo strategico dell’Italia».
Il “Times” ha incoronato Meloni come «leader più popolare d’Europa». Sembrano essere venute meno le perplessità iniziali degli osservatori internazionali. Non è paradossale che i problemi per il governo siano adesso tutti interni? Il caso Cospito ha aperto una ferita difficile da rimarginare.
«L’accoglienza ricevuta dal presidente del Consiglio in tutti i consessi più autorevoli, è solo la punta di un lavoro corale. Si diceva lo spread crescerà al punto da fare sprofondare l’economia italiana: cassandre smentite! La borsa cresce, il lavoro anche e restano sfide enormi davanti. Siamo ai primi mesi di lavoro di un governo che ha davanti l’orizzonte della legislatura. Sul caso dell’anarchico terrorista Cospito seguirei i consigli di Giorgia Meloni: è sotto attacco lo Stato, non c’è tempo di attardarsi in polemiche».
Una delle critiche più ricorrenti in campagna elettorale è che questa destra non ha una classe dirigente all’altezza. L’imbarazzo su Donzelli e Delmastro ne è una dimostrazione?
«La destra ha iniziato con il Msi-Dn a governare le prime città capoluogo nel 1993 e le prime Province, con quella di Catania, l’anno dopo. E nei territori ha espresso nel tempo una qualità amministrativa che è stata premiata da Nord a Sud con il crescente consenso verso FdI. Dire “quanto è brava la Meloni, ma quanto sono scarsi i suoi” è un modo subdolo per indebolire il presidente del Consiglio, che invece ha accanto una classe dirigente matura ad ogni livello. Giovanni Donzelli non ha rivelato alcun segreto, come detto non solo dal ministro Nordio, ma anche da un autorevole magistrato con competenze specifiche sul Dap come Sebastiano Ardita. Il sottosegretario Delmastro non mi pare abbia alcuna responsabilità proprio perché gli atti in suo possesso non erano secretati. Non voglio alimentare polemiche ma credo che lo Stato meriti il rispetto di tutti, maggioranza e opposizioni».
Parliamo dei suoi primi cento giorni. Era stato indicato come ministro del Sud, le è dispiaciuto perdere le competenze di questo dicastero?
«Ero stato indicato come ministro per le Politiche del mare e per il Sud. Sono stato io a proporre alla Meloni di accorpare il Sud al Pnrr ed ai fondi per la Coesione. Non avrebbe avuto senso la programmazione delle risorse per il Meridione senza disporre della delega alle risorse. Penso sia stata una modifica di buon senso e di responsabilità. La scelta del premier di affidarmi la Protezione civile, assieme al Dipartimento Casa Italia – che si occupa di ricostruzione e prevenzione, mi ha consentito di mettere a profitto le esperienze di amministratore, maturate anche con emergenze nazionali di primo livello».
L’esordio sul campo è stato subito difficile, con l’alluvione di Ischia. In una recente intervista ha parlato di «scarsa propensione della politica alla prevenzione». Come si inverte questa tendenza che è consolidata nei decenni?
«Ad Ischia lo Stato si è mosso immediatamente ed abbiamo stanziato risorse importanti per la ricostruzione. La prevenzione è stata negli anni meno sostenuta, sia dai finanziamenti pubblici che nella realizzazione di opere strategiche atte ad impedire grandi eventi calamitosi. Noi siamo per invertire questa logica: si interviene per tempo, programmando e gestendo le risorse erogate. E chi non lo fa viene sostituito dallo Stato».
Ma anche la ricostruzione dopo ogni tragedia, in Italia, sembra una montagna impossibile da scalare. Non merita un’attenzione particolare?
«Nei prossimi giorni porterò in Consiglio dei Ministri, per un primo esame, la proposta di riforma delle procedure sulla ricostruzione dopo una calamità. Basta con le ricostruzioni che non finiscono mai! Ed interverremo per uniformare la disciplina per tutte le ricostruzioni in corso, anche quella siciliana che non ha ricevuto nel passato lo stesso trattamento previsto per il sisma del Centro Italia».
Ministro, l’Italia ha già risposto con generosità all’apocalisse fra Siria e Turchia. Ma cosa succederebbe da noi con un evento sismico anche lontanamente assimilabile a quest’ultimo?
«Fin da subito la nostra Protezione civile ha offerto alla Turchia la propria collaborazione e sono stati inviati esperti, un primo contingente formato da soccorritori, medici e vigili del fuoco. Nelle prossime ore partiranno altre unità e altri beni, compresa l’attrezzatura per un ospedale da campo. In Italia? Sulla prevenzione dai grandi rischi, come ho detto prima, si è fatto molto poco negli ultimi cinquant’anni. D’ora in avanti occorre pensare seriamente alla prevenzione strutturale, con risorse straordinarie e senza ripetere gli errori del passato: coordinamento in capo a Palazzo Chigi e pianificazione d’intesa con le Regioni».
Lei ha anche una nuova competenza: quella sulle Politiche del mare. Un ministero nuovo, su cui la premier ha voluto puntare molto al netto delle pressioni leghiste sulle Capitanerie. Come sta riempendo di contenuti questo dicastero molto trasversale?
«Quella del Mare, per chi viene da un’isola e ha fatto il presidente della Regione, è una sfida vera, bella ed esaltante. Entro la fine dell’estate sarà predisposto il Piano nazionale del Mare, come vuole la legge, che evidenzierà le criticità e le soluzioni delle varie filiere che compongono la Economia del mare. È la prima volta che accade e sembra strano se si considera il rapporto strategico tra l’Italia e le sue coste e se si considera quanto l’economia del mare incida sul Pil».
Come spiegherebbe il concetto di “blu economy” a un pescatore di Mazara del Vallo?
«Con parole semplici, come lo spiegherei a chiunque: l’economia blu comprende tutto ciò che dal mare produce ricchezza. E questo mare merita rispetto».
Cento giorni, ritardo più ritardo meno, sono passati anche dall’avvio del governo Schifani. Cosa le manca e cosa invece non le manca per nulla di Palazzo d’Orléans?
«Si è chiuso un capitolo, si gira pagina. Alla Regione c’è una classe dirigente nel mio partito e un gruppo parlamentare all’Ars, egregiamente guidato da Giorgio Assenza, ben consapevole di cosa sia stato fatto negli ultimi cinque anni e di cosa potrà essere fatto, anche per non disperdere ciò che era stato iniziato. Il presidente Schifani sa di avere a Roma un governo amico che è accanto alla Sicilia, perché senza la condivisione del governo nazionale tutto diventa più difficile. E ne so qualcosa».
Non le fa impressione che Schifani, zitto zitto, sia riuscito a mettere all’angolo quasi tutti gli oppositori interni? Miccichè da solo al gruppo misto è una “nemesi”…
«Con una battuta potrei dire che proprio Renato giocava in casa… Ma non voglio entrare in polemica a casa di altri. Penso, anzi, che il centrodestra siciliano debba chiudere la stagione dei veleni, delle inutili contrapposizioni, delle accuse reciproche, degli odii viscerali e delle inimicizie datate. Governiamo l'Italia, governiamo la Sicilia: abbiamo l'occasione storica di cambiare il corso delle cose».
C’è stata un po’ di tensione fra il governatore e FdI sul caso Cannes. Lei che idea s’è fatto?
«Che lo sviluppo della Sicilia attraverso i grandi eventi e puntando sulla immagine cinematografica produce ricchezza all’Isola, fa aumentare le presenze turistiche, può portare a realizzare il grande obiettivo di fare diventare la Sicilia il più grande set dell’industria cinematografica nel Mediterraneo. Questo l’obiettivo programmatico affidato all’assessore Manlio Messina. Ma la politica dà gli obiettivi e non si occupa di attività gestionali. Quello è compito della burocrazia».
Fra qualche mese si vota a Catania, dove si profila già un derby infuocato fra il suo partito e la Lega per la scelta del candidato. Ritiene corretto che FdI, dopo aver rinunciato a Palermo e alla sua ricandidatura, abbia la nomination per Palazzo degli Elefanti?
«Nessun derby. Gli elettori hanno riconosciuto a FdI il ruolo di primo partito a Catania anche alle elezioni regionali. Ma c’è bisogno di tutti per vincere. E serve un lavoro serio sulle competenze che si intendono offrire al futuro della città. La politica, tutta, deve fare un passo avanti e liberare i catanesi dal diffuso senso di rassegnazione. Lo dissi tempo fa: i nostri nemici sono la rassegnazione e l’indifferenza, pericolose tanto quanto la mala burocrazia e la mafia».
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