Ogni qual volta – e questa non è certo la prima – viene fuori il tema della dismissione dei beni della Regione, riemerge anche l’acronimo Spi. Che sta per Sicilia Patrimonio Immobiliare. Una società partecipata al 75% alla quale fu affidato il compito della «valorizzazione, trasformazione e commercializzazione del patrimonio immobiliare della regione e degli enti vigilati e finanziati». La società è stata messa in liquidazione dalla Regione.
Ma partiamo dall’ultimo capitolo di questa storia. All’inizio del 2017 la Procura di Palermo ha aperto ha aperto un fasciolo di «atti relativi» sulle grandi operazioni immobiliari dellla Regione. L’indagine, condotta dal procuratore aggiunto Dino Petralia e dal sostituto Claudia Ferrari.
Cos’è successo? Lo stranissimo caso della Spi – svelato dalle inchieste giornalistiche, ma anche oggetto di un’approfondita indagine della Corte dei conti regionale, oltre che di esposti dell’ex governatore Rosario Crocetta e dell’ex presidente del Consiglio di sorveglianza di Spi, Antonio Fiumefreddo – ruota soprattutto attorno all’affare dei 33 immobili della Regione venduti nel 2007 a prezzi sottostimati (in tutto circa 200 milioni) al fondo Fiprs della ex Pirelli Re e poi subito riaffittati alla stessa Regione a canoni salatissimi (oltre 20 milioni l’anno). Ma sotto i riflettori anche il censimento del patrimonio costato 80 milioni.
Era l’epoca del governo di centrodestra guidato da Totò Cuffaro.
Tutto parte dalla costituzione di Sicilia Patrimonio Immobilare il cui 25% è privato: della “Psp Scarl”. Una società consortile che ha riunito il raggruppamento temporaneo d’imprese che nel gennaio del 2006 si aggiudicò il bando di gara: Sti Spa, Ge. Fi. Fiduciaria Roma Spa, Ge. Fi. Intermediario Srl, Centro Cartografico Italiano Spa, Sti Servizi Srl (oggi Exitone Spa), Banca Nuova Spa, Gf Studio Srl e Grs Consulting Srl. Ma l’operazione di dismissione dei primi 33 immobili, dunque, è soltanto la prima parte del «progetto predatorio» denunciato da Crocetta alla Procura di Palermo. Perché il socio privato, la Psp, prevede un Pea (Piano esecutivo di alienazione) suddiviso in tre tranche. Nella prima c’è il progetto di costituzione del “Fondo comune di investimento immobiliare della Regione Siciliana” con un «perimetro iniziale» di 53 asset per un valore 330 milioni di euro. Ma c’è anche un “Piano esecutivo di alienazione n. 2”, nelle carte che adesso sono sia sul tavolo della Corte dei conti sia su quello della Procura di Palermo. «Il valore di questo tipo di operazione si attesta a circa 160 milioni, ma non sono esclusi ulteriori apporti». Oggetto della costituzione di un nuovo Fondo immobiliare, del quale la Regione doveva restare socia di maggioranza relativa al 30%, era il trasferimento di altri immobili, «beni disponibili, non utilizzati o sottoutilizzati, oppure passibili di piani riallocativi, di proprietà della Regione e degli Enti vigilati e finanziati». Eppure gli affari potenzialmente più redditizi erano legati al “Piano esecutivo di alienazione n. 3”. «Un’operazione di valorizzazione attraverso la definizione di una concessione pluriennale a terzi, a titolo oneroso, del diritto di superficie di terreni e boschi, con la creazione di un cluster di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili».
Il governo Crocetta, a gennaio 2017, provò il “tornaindietro”. Con l’ipotesi di ricomprare quegli immobili. Ma i soci dell’ex fondo Pirelli Re nel frattempo hanno cambiato veste: oggi sono Trinacria Capital e da Sicily Investments. Entrambe con sede in Lussemburgo. La Trinacria Capital, detentrice di 137 quote del Fiprs, è partecipata al 49% dalla Focus Investment (società del gruppo Prelios, che ha preso il posto della ex Pirelli Re) e al 51% da Intesa San Paolo, Unicredit e dai francesi di Natixis. Anche il secondo partner privato, la Sicily Investments (136 quote del Fiprs) ha come socio di riferimento, al 49,8%, la Focus Investments del gruppo Prelios. L’attuale assetto è mutato rispetto all’acquisto degli immobili regionali nel 2007, quando c’era anche Sicily Development. E anche i due attuali soci di Palazzo d’Orléans hanno mutato pelle.
Come scriveva la Corte dei conti nel 2008, Trinacria Capital e Sicily Investiments erano «partecipate congiuntamente per il 60 per cento dal fondo Rreef global opportunities Fund II, amministrato dalla Deutsche Bank e per il 40 per cento da Pirelli Re». II sottilissimo fil rouge dei paradisi fiscali riemerge anche in un’inchiesta de l’Espresso del novembre 2014. «I consulenti di Pwc – scrive l’Espresso – si sono occupati anche di un affare che ha per protagonisti la Deutsche Bank, il più grande istituto di credito tedesco, e la Regione Sicilia dell’allora governatore Cuffaro. L’operazione, che ha preso le mosse nel 2007, ruota attorno al fondo Global Opportunities, gestito da Deutsche Bank attraverso una piramide societaria che parte dallo Stato americano del Delaware, transita da Malta e infine approda in Lussemburgo. Polemiche anche sulla selezione dei soci privati: accanto a big del livello di Prelios (all’epoca controllata da Pirelli), compare anche – scriveva il settimanale – un immobiliarista di Pinerolo, Ezio Bigotti».
Quest’ultimo personaggio è il link finale con Sicilia Patrimonio Immobilare. E con la storia del censimento. L’imprenditore piemontese, per la cronaca, è citato decine di volte nelle carte dell’inchiesta Consip, nella quale non è indagato. «Bigotti è un uomo di Verdini. Socio numero uno di Paolo Berlusconi», ripete preoccupatissimo Alfredo Romeo, il manager arrestato.
Ma Bigotti è anche molto radicato in Sicilia. Perché c’è proprio lui dietro il 25% di Sicilia Patrimonio Immobiliare. Proprio lui guidava di fatto la “Psp” che vinse la gara per l’ingresso dei privati. E proprio lui, sul sito della Regione, risulta amministratore delegato della Spi in liquidazione.
Ma l’imprenditore è soprattutto la controparte di un contenzioso milionario con la Regione. Perché firmò un contratto per il censimento dei beni regionali per la modica somma di 80 milioni, soltanto per il lavoro svolto fra il 2007 e il 2009. Soldi andati alla cordata di Bigotti che faceva alla fine capo alla F.B., che sta per Finanziaria Bigotti, a sua volta detenuta per il 45% dalla Lady Mary II con sede in Lussemburgo. Nel 2010 l’allora assessore all’Economia del governo Lombardo, Gaetano Armao, che in passato era stato consulente di Bigotti, ruppe l’incantesimo: stop ai pagamenti. E via al braccio di ferro. Un contenzioso, con i risarcimenti: dopo un primo arbitrato, la Regione dovrebbe sborsare 12 milioni, ma intanto la cifra – secondo una ricostruzione di Repubblica Palermo sarebbe lievitata a 80 milioni.
Questo, nel nel frattempo non vi siete persi nella giungla di faccendieri e paradisi fiscali, è il racconto.
Questo il giallo del mattone. Una storia vecchia. Ma c’è ancora Sicilia Patrimonio Immobiliare, c’è sempre Bigotti, c’è di nuovo Armao stavolta con Nello Musumeci. C’è il centrodestra. E la Regione vuole rimettere in vendita il patrimonio.
Tutto adesso è cambiato. Eppure sembra così uguale.
Twitter: @MarioBarresi