Politica
Sicilia, la svolta della Lega (con il placet di Salvini): «Apriamo ai movimenti»
Catania – La tentazione, già da qualche tempo, era già diventata un’idea. Seppur annebbiata da qualche legittimo dubbio. Ma adesso è una linea politica. Con il placet definitivo di Matteo Salvini, magari stimolato – venerdì scorso, nella cena al ristorante “Da Nino” a Letojanni – dai succulenti gamberoni e dall’incantevole vista sullo Jonio. «La Lega, nell’Isola, si apre alla federazione con i movimenti». Lo conferma il viceré Stefano Candiani, all’inizio uno dei più guardinghi – lui, giustamente, che è di Tradate – sul rischio di contaminazioni sicule. «Ma adesso i tempi sono maturi, visto che anche l’agenda politica regionale viene dettata da Salvini, che, ad esempio, col sì al Ponte ha smascherato le ipocrisie di Pd e M5S, poco credibili su un tema così decisivo». Anche di trasporti, martedì sera, Candiani ha discusso con Nello Musumeci in un incontro a Roma. E magari il governatore avrà ricevuto la “spoilerata” sulla svolta leghista. Sì, perché alle parole «federazione» e «movimenti» il pensiero va subito a DiventeràBellissima, che da tempo flirta con il Carroccio, con l’assessore-plenipotenziario Ruggero Razza come ideologo dell’accordo.
E magari Musumeci, nell’incontro romano, si sarà morso la lingua per quella frase pronunciata in tv, giusto il giorno prima, ospite di Tagadà su La7: «La Lega? Non è il mio partito e Salvini non è il mio leader. Ho un movimento autonomista tutto siciliano e appartengo al centrodestra. Salvini è il leader più votato in questo momento; c’è Meloni e c’è Berlusconi. Voglio bene e stimo tutti, ma tengo caro il mio movimento siciliano, che spero possa avere quanti più consensi».
Ma ora il movimento del presidente della Regione sarà il primo a dover rispondere all’appello dei leghisti. Candiani, nel vis-à-vis, gli avrà pure consegnato un’altra idea, che esplicita a La Sicilia: «Il programma di governo con cui il centrodestra ha vinto le elezioni nel 2017 va aggiornato». Perché «dopo l’emergenza Covid il mondo ha cambiato pelle». E dunque «anche se il governatore realizzasse tutto ciò che ha promesso ai siciliani, non basterebbe più per rialzarsi dalla crisi», perché, fra l’altro, «serve un confronto a muso duro con Roma per ottenere risposte concrete, non solo su opere e trasporti». E la necessità di un “tagliando” al governo regionale è fondata sullo stessa ragione alla base della nuova strategia di «rompere gli schemi», con «tutte le forze sul territorio che condividono con noi la necessità di uno scatto». L’invito dell’emissario di Salvini in Sicilia, dunque, non è rivolto soltanto a Musumeci. «Il nostro – scandisce Candiani – è un partito plurale e aggregativo per definizione, quindi siamo pronti al confronto con altri soggetti per arrivare a un rapporto federativo sul modello di quello sancito col Partito sardo d’azione. Vogliamo concludere dei ragionamenti già iniziati, ma anche aprirne di nuovi». Il nuovo mood dei Matteo-boys nell’Isola è «marciare divisi per colpire uniti», un segnale per gli autonomisti eredi di Raffaele Lombardo, ma anche, ad esempio, per parte del fronte sicilianista e indipendentista. «Noi vogliamo mettere attorno allo stesso tavolo tutti i movimenti, sposando un modello vincente: quello della Lega». Più chiaro di così si muore.
E Nino Minardo, fra i più raggianti per questa nuova linea, detta i tempi: «Non dobbiamo indugiare troppo, l’obiettivo è un confronto schietto e concreto. Il futuro è dietro l’angolo: dobbiamo metterci subito alla prova alle elezioni amministrative d’autunno». Il deputato nazionale di Modica ieri a Roma ha parlato a lungo con Candiani, definendo i dettagli dell’operazione. C’è già qualche contatto avviato: chi lo deve sapere lo sa già.
La risposta più importante è quella che Musumeci – magari convinto, dopo l’ingresso della Lega in giunta, di potersi crogiolare nella scelta di non scegliere – dovrà dare a breve. Per la nomina dell’assessore ai Beni culturali, il governatore ha già pagato il prezzo politico dell’indignazione anche di suoi (ormai ex) elettori moderati. Ma adesso la mossa dell’alleato lo costringe ad accelerare i tempi. In ballo c’è la prospettiva di blindare la ricandidatura nel 2022. E anche il rischio di alterare il già precario equilibrio della maggioranza all’Ars. Dove un ulteriore sbilanciamento a destra del presidente potrebbe innervosire i moderati, Gianfranco Miccichè e non solo lui. O magari anche trovare – fra gruppi e tribù di Palazzo dei Normanni – impensabili damigelle di un matrimonio misto mai così imminente come adesso. Se dovesse saltare anche stavolta, allora sì che tutto potrà succedere.
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