CENTRODESTRA
Sicilia, la nuova strategia di Musumeci tra dialogo e consenso
La “Leopolda col pizzetto” si è rivelata tutt’altro che un trampolino di lancio per la ricandidatura. La carta dei concorsoni
Io vorrei, non vorrei… , ma se vuoi…
La “Leopolda col pizzetto”, tutt’altro che un trampolino di lancio per la ricandidatura di Nello Musumeci, non ha brani che risuonano in sottofondo. E dunque, in assenza di una hit dell’estate – un po’ come quello che sta succedendo nel centrodestra siciliano, in questa strana stagione di uscita dal coprifuoco politico – meglio affidarsi a un evergreen.
Come può uno scoglio arginare il mare?
Musumeci canta Battisti. E così il governatore uscente, aspirante rientrante, decide di tirare il fiato. Godendosi, assieme a tutti i suoi 12 assessori-apostoli, la kermesse per raccontare «tutte le cose che abbiamo fatto in poco più di tre anni». E frenando sulla smania di proclamazione. «Io sono ricandidato per la legge del contadino: chi semina, raccoglie. Ed è legittimo che il mio governo raccolga il frutto di tutto questo lavoro».
Ma c’è un ma. Anzi: un se. «Se quando la coalizione porrà il tema della candidatura, mi dovessero spiegare che non posso essere io il candidato poiché a loro giudizio rischierei di rompere il centrodestra e condannarlo alla sconfitta, facendo tornare uno del Pd o per la prima volta un grillino, farei tre passi indietro». E nella meravigliosa chiesa dello Spasimo, mentre Musumeci scandisce di non spasimare per avere subito il “green pass” per Palazzo d’Orléans, sta per scattare quasi un applauso liberatorio. Poi il pubblico si trattiene. Pudore, forse. O magari il rispetto per un presidente che riesce a cambiare schema di gioco: non più Mancini, giammai Sacchi, ma Trapattoni.
Nessuno dice di volerlo ricandidare, ma nemmeno di non volerlo. E lui – forte del mezzo bicchiere pieno del sondaggio pubblicato ieri su La Sicilia – accoppia catenaccio e contropiede. «Io con i partiti ho un ottimo rapporto», assicura. Rispondendo al sottilissimo appello di Gianfranco Miccichè. Che, oltre a rassicurare sulla tenuta del centrodestra («Siamo gli unici che possiamo governare questa terra, per fortuna che ci siamo noi e che ci rimarremo», proclama) e sulla fiducia a Musumeci («Meglio di questo governo non ne troviamo»), lancia un appello: «Nello, i partiti ci sono. Lo so, anche con certi personaggi dentro. Ma utilizziamoli meglio, questi partiti». Parentesi: Miccichè si conferma un gigante della strategia politica. Sì, perché nel giorno delle défaillance dei leader alleati (chi per la comunione della figlia, chi per il weekend con la moglie, chi perché è morto il gatto o è caduta la nonna), il viceré forzista sceglie, nel bipolarismo morettiano, che alla kermesse lo si nota di più se c’è. Molto di più di chi non c’è. Lui ci è e ci fa. E si prende la scena. Lanciando un bel segnale di fedeltà (avvistati comunque anche l’autonomista Roberto Di Mauro, l’udc Decio Terrana e il meloniano Giampiero Cannella) in un momento difficile. Tanto più in una convention che qualcuno dei presenti, con l’irrefrenabile vezzo della perfidia, definisce «molto simile alle manifestazioni dell’ultimo periodo di Crocetta», cioè piene zeppe di burocrati, manager sanitari (oggi c’è la new entry dei contrattisti assunti con l’emergenza Covid) e di questuanti last minute. «Ma il format dell’evento – ribatte un’autorevole voce del Pizzo Magico – non prevedeva un bagno di folla, piuttosto una prima occasione per comunicare quanto realizzato e poi farlo arrivare ai cittadini col tam-tam dei social». E il governatore, parlando con i cronisti, chiarisce: «Gli assenti contateli voi. C'è tanta gente, ci sono i rappresentanti di vari partiti, ci sono i sindaci che sono i veri protagonisti di questa assemblea». Ma non c’è popolo, quello della piazze che Musumeci sul palco ammette mancargli: «Non vedo l’ora di fare un comizio». Di cittadini comuni, allo Spasimo, soltanto una cinquantina di contestatori mattutini con lo striscione recante “Tre anni di minchiate”.
Senza ali tu lo sai non si vola/ Io quel dì mi trovai per esempio/ Quasi sperso in quel letto così ampio.
Sì, per adesso le ali restano nell’hangar. E Musumeci, ammettendo che «ho commesso degli errori, ma ho l’umiltà di chiedere scusa e correggerli», vola basso. Per ora non ha rivali, nella coalizione. E al netto della perdita di consenso e di fiducia misurata dal sondaggio Keix, è comunque consapevole di essere in vantaggio sui rivali interni prima ancora che sugli avversari del fronte giallorosso. E allora si cambia passo, strategia. Con Ruggero Razza che gli copre le spalle, come sempre. «Ho fatto una promessa di sangue al presidente della Regione e a me stesso: mi occuperò solo di amministrazione, ho abbandonato la suggestione della politica, perché mi sento in torto verso me stesso e verso mio figlio», proclama sul palco l’assessore alla Salute lanciando pacifici segnali di fumo agli alleati.
E così l’apparente frenata sulla ricandidatura fa il paio con l’intenzione di sfruttare al meglio – e di condividerla con gli alleati – una stagione di raccolto molto attesa. Quella delle assunzioni nella sanità (oltre 3mila), dopo il via libera alle piante organiche di Asp e aziende sanitarie, ma anche quella del concorsone alla Regione, con la previsione di 1.600 posti in ballo. E poi, come trapela dall’entourage del governatore, «un rafforzamento del rapporto con i leader nazionali».
Musumeci, sul palco, è esplicito: «Berlusconi mi ha telefonato due settimane fa per chiedermi come va in Sicilia, con Giorgia Meloni veniamo dalla stessa “casa madre”, con Matteo Salvini mi sono visto fino all’altro giorno per parlare di Pnrr e fondi per le regioni, Lorenzo Cesa è un “pezzo di pane”, con DiventeràBellissima c’è un bellissimo rapporto. Per me il centrodestra è un valore, una famiglia. E mi ha consentito di rappresentare la Sicilia. Qualcuno vorrebbe farci dividere per tornare indietro, non ci riusciranno. Ho commesso anche io qualche errore, ma non c'è alcuna guerra».
Le discese ardite/ E le risalite/ Su nel cielo aperto/ E poi giù il deserto/ E poi ancora in alto/ Con un grande salto.
Insomma, come ammette a Roma uno dei big del centrodestra nazionale, «Musumeci può anche stare sulle palle a qualcuno, ma come alternativa non è che in giro ci siano fenomeni». Magari sarà pure machiavellicamente triste essere ricandidato per forza d’inerzia in assenza di alternative, ma adesso la guerra, il ColonNello, la combatte a colpi di realpolitik. Rafforzato dal fatto che nel centrosinistra non c’è ancora l’intesa su un candidato-shock che possa subito buttarsi in una campagna elettorale basata anche sulla delusione di quasi 6 siciliani su 10 colta dal sondaggio.
E Musumeci ora – nonostante tutto – ci crede un po’ di più. Non mostra i muscoli, promette dialogo e ascolto. E torna a casa quasi fischiettando. Io vorrei, non vorrei… ma se vuoi…
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