Catania. Si ricomincia. Anzi: si continua. Nella Sicilia in perenne campagna elettorale da agosto scorso, dopo Regionali e Politiche, è già tempo di Amministrative. Al voto (non è stata ancora fissata la data, ma si ipotizza il 3 giugno) ben 138 comuni per un totale di circa 1,7 milioni di abitanti. Fra i quali cinque capoluoghi: Catania, Messina, Ragusa, Siracusa e Trapani.
Molti “movimenti” erano già in corso prima della full immersion verso il 4 marzo. Ma il dopo-spoglio aggiunge una variabile decisiva: quanto peserà l’effetto-trascinamento del 49% al Movimento 5stelle sui destini delle città siciliane? L’onda gialla è deflagrante, ma questa sarà un’altra partita. Giocata con regole diverse: l’elezione diretta dei sindaci col quorum del primo turno abbassato al 40% da una legge che all’Ars definirono “ammazza-grillini”; la qualità e quantità delle liste con l’opzione del voto disgiunto. E poi la credibilità personale dei candidati sindaci. Per questo motivo Pd e centrodestra – più che tramortiti dal responso delle urne e ancora senza alcuna “regia” regionale – cercano la rivincita puntando su nomi forti: dall'”usato sicuro” degli uscenti all’effetto-novità di personaggi della società civile. Ma i 5stelle non si cullano sui recentissimi allori. «Abbiamo imparato la lezione – ammette Giancarlo Cancelleri – e sappiamo benissimo che nei comuni, oltre alla forza delle idee del movimento, ci vogliono candidati scelti con cura».
Per scongiurare i clamorosi flop che il M5S incassò nel 2013, anche in quel caso pochi mesi dopo ottimi risultati alle Politiche. Il leader siciliano non si sbottona. Ma, con le dovute eccezioni in alcuni centri, i 5stelle si guardano attorno. Oltre gli steccati dei meetup. Come del resto già dimostrato in alcune mosse di “apertura” nelle campagne elettorali dello stesso Cancelleri e di Luigi Di Maio.
CATANIA. Sotto il Vulcano, ad esempio, si cerca un «nome importante». Che non dovrebbe essere quello di Matilde Montaudo, avvocato dell’Ateneo, della quale s’è vociferato nelle ultime settimane. I big etnei del M5S – la deputata Giulia Grillo e i senatori Mario Giarrusso e Nunzia Catalfo – stanno definendo la strategia con gli attivisti locali, ma anche con i vertici nazionali e regionali. A breve il responso. Non ci si può più permettere la figuraccia di cinque anni fa, quando Lidia Adorno incassò un misero 3,4%. Tanto più che gli sfidanti sono forti. A partire da Enzo Bianco, eletto al primo turno nel 2013, che punta a ricostruire il centrosinistra vincente. Gli mancherà l’apporto del compianto Lino Leanza e dell’Udc, ma il leader nazionale dei Liberal Dem è convinto di farcela. Ieri ha incassato il via libera dei “laburisti” del Pd, Angelo Villari e Concetta Raia.
E ora attende quello dei renziani di Luca Sammartino, dal quale trapela «freddo attendismo», e di Sicilia Futura. Ma Bianco, oltre ai link nazionali giusti, ha dalla sua delle statistiche favorevoli: tre vittorie su quattro sfide, ma soprattutto un effetto benefico per il centrosinistra ogni volta che in campo c’è stato lui. Dall’entourage del sindaco non temono il reflusso grillino. Del resto, anche alle Politiche del febbraio 2013 il M5S fu il partito più votato a Catania (31,7%) col centrodestra prima coalizione (37,6%), il centrosinistra al 17,4% e il Pd al 15%. A giugno si ribaltò tutto: vinse Bianco, con la coalizione al 54,2%. Certo, era un’era glaciale fa. E adesso c’è un competitor temibilissimo: Salvo Pogliese, eurodeputato di Forza Italia, molto radicato in città, con tutto il centrodestra compatto seppur ridimensionato dai risultati di domenica.
Sullo sfondo le remore di Raffaele Lombardo (che aveva proposto al governatore Nello Musumeci di candidare l’assessore Ruggero Razza a sindaco in cambio di Antonio Scavone assessore alla Sanità). Non se n’è fatto nulla. E ora la coalizione fa quadrato su Pogliese per vincere. Pur registrando l’auto-candidatura del giovane consigliere comunale forzista Riccardo Pellegrino, reuccio di San Cristoforo, finito nella bufera (ma uscito pulito) per i rapporti con il figlio del boss Nuccio Mazzei. A puntare sul valore civico e sulla netta discontinuità è Emiliano Abramo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, quasi-candidato governatore del centrosinistra e poi assessore designato di Fabrizio Micari. Nessun movimento ufficiale, per ora, dalla sinistra, che nel 2013 lanciò nella mischia il giovanissimo Matteo Iannitti, molto cresciuto in questi cinque anni. In attesa di capire il futuro del traballante progetto di Leu (uno dei meno entusiasti è il deputato regionale dei “Cento Passi”, Claudio Fava) e registrato l’esordio – positivo, considerato il contesto – di Potere al Popolo, la gauche etnea per ora tace. E aspetta.
RAGUSA. Qui, invece, è il M5S ad aver piantato la bandiera pentastellata in municipio. Federico Piccitto cinque anni fa, dopo un modesto 15% al primo turno, sbancò (quasi il 70%) nell’uno contro tutti del ballottaggio: vittoria storica, secondo capoluogo dopo la Parma dell’altro Federico (Pizzarotti) poi ripudiato dal Movimento. Ma il sindaco uscente, per una sua scelta, non si candida. Né il delfino da lui indicato: il vicesindaco Massimo Iannucci.
Che ha detto “no, grazie”; senza entrare nel dettaglio sulle ragioni, ma ammonendo che «le divisioni non portano a nulla». Quasi una premonizione, visto che poco dopo la base del meetup “ufficiale” di Ragusa ha incoronato l’attuale presidente del consiglio comunale, Antonio Tringali. Esito dello spoglio con 30 grandi elettori: 21 preferenze a Tringali, 6 a Giuseppe Guglielmino (direttore dell’Ance). Si attende il “visto si candidi” dei vertici nazionali, ma Tringali (800 voti alle scorse Amministrative) è già di fatto impegnato in una delicata campagna elettorale da grillino di governo. Favorito dal feeling con la deputata regionale Stefania Campo, ex assessora di Piccitto e ora “donna forte” del M5S ibleo. Ma il cammino è costellato dalla delusione che serpeggia fra molti attivisti di peso dopo la tabula rasa di candidati (e quindi di parlamentari eletti) ragusani, attribuita alle scelte dei vertici. E gli altri? Il Pd schiera il segretario Peppe Calabrese, già nemico giurato e ora uomo di fiducia dell’ex sindaco forzista e oggi capobastone renziano Nello Dipasquale. Il capogruppo Mario D’Asta auspica un allargamento della coalizione e lo stesso Calabrese s’è detto pronto alle primarie; ma nessuno, con l’aria che tira, ha risposto all’appello. In zona centrodestra si sono mossi i due consiglieri più riconoscibili nell’opposizione a Piccitto: la battagliera ex udc Sonia Migliore (“Lab 2.0”) e Maurizio Tumino (“Insieme”). Ma, nei corridoi forzisti, c’è chi giura che fra i due litiganti potrebbe godere Giovanni Mauro, orfano del seggio in Parlamento. Ma né Migliore né Tumino sembrano disposti a tornare indietro. E intanto si rifà vivo l’ex sindaco Giorgio Massari, un galantuomo che, dopo aver strappato la tessera del Pd, ufficializza la sua candidature e prova a rimettere assieme i cocci della sinistra. Citofonare Gianni Battaglia.
SIRACUSA. Il sindaco uscente è un dem. Orgogliosamente renziano della prima ora, Giancarlo Garozzo si ricandida. Rinfrancato dalle più recenti vicende giudiziarie, che hanno (in parte) invertito la narrazione delle vicende cittadine, ma con la zavorra di un Pd ai minimi storici. E senza l’appoggio, almeno finora, del deputato regionale Giovanni Cafeo né dell’ex assessore Bruno Marziano. I rivali più temibili, nella Stalingrado a 5stelle, sono i grillini. Forti dei 18mila voti del deputato locale, Stefano Zito, alle Regionali e di un 55% alle Politiche, ma memori del miserrimo 4% della lista alle ultime amministrative.
Qui la candidata è stata ufficializzata nel bel mezzo della festa per il boom del 4 marzo: Silvia Russoniello, imprenditrice, già in campo con poco successo (82 voti) nel quartiere Tiche. Ma il M5S si sente forte e radicato: «E Silvia è la candidata perfetta», assicurano. Omettendo l’influenza di Zito (king maker della candidatura last minute di Paolo Ficara, poi trionfatore nell’uninominale alla Camera) sulla scelta di Russoniello. Preferita a Giovanni Napolitano, espressione del meetup di “minoranza”. Sul versante del centrodestra è in campo l’ex deputato regionale Enzo Vinciullo, uno dei primi alfaniani a pentirsi. Ha già sul tavolo almeno due liste e conta di unire la coalizione. Ma non sarà facile.
In campo, per ora, c’è anche il leghista Ciccio Midolo, deciso a correre da solo. E poi, soprattutto, aleggia la «disponibilità» espressa da Paolo Ezechia Reale, ex assessore regionale di Articolo 4, sconfitto da Garozzo nel 2013. Ha comunque presentato una lista, pur non precisando il suo ruolo. Sarebbe il candidato ideale tanto per la deputata forzista Stefania Prestigiacomo quanto per il vecchio saggio dc, l’ottuagenario Gino Foti, ultimamente meno renziano del solito. Due le opzioni per Reale: la sua preferita sarebbe essere il candidato unico del centrodestra, ma resta in piedi l’idea di un cartello civico senza simboli di partito (soluzione sgradita a Forza Italia) magari mettendo dentro anche pezzi di dem anti-Garozzo. A scompaginare il quadro c’è il ritorno di Fabio Granata.
L’ex assessore regionale finiano, con la seppur timida benedizione del governatore Nello Musumeci, prova a sperimentare un modello 2.0 di #DiventeràBellissima: all’insegna della «rigenerazione», cancellando ogni coloritura partitica per librarsi in un volo «oltre il vecchio centrodestra e il vecchio centrosinistra». Un altro candidato civico è l’avvocato Giovanni Randazzo, fratello di Ettore, indimenticato presidente delle Camera penali italiane.
MESSINA. Nella città dello Stretto s’è riproposto, con un video-cult su YouTube, Renato Accorinti. Il sindaco “Free Tibet” ci riprova «per completare l’opera». Per la gioia dei suoi fan di “Cambiamo Messina dal basso”. E con il terrore di chi ritiene fallimentare l’esperienza del primo cittadino “arcobaleno”. La sua prima spina nel fianco è il pantagruelico deputato regionale (eletto con l’Udc, ora nel gruppo misto) Cateno De Luca, in campo da mesi. Il M5S – 45% alle Politiche in città, en plein di parlamentari – sfoglia la margherita. Smentita la candidatura della capogruppo all’Ars, Valentina Zafarana, si potrebbe pescare nella società civile: piace Gaetano Sciacca, ex ingegnere capo del Genio civile. Intanto, i mazzieri di centrodestra e Pd non stanno certo a guardare.
L’ex rettore e neo-deputato renziano, Pietro Navarra, discute con l’ex ministro centrista Gianpiero D’Alia sul migliore candidato del centrosinistra. Già uscito il nome (prestigioso) dell’ex presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, lanciato dal movimento “Liberi e Forti”. Ma i partiti della coalizione guardano con attenzione ad Antonio Saitta, giovane e affermato costituzionalista (già vicesindaco di Genovese, piace molto a D’Alia). Decisivo sarà anche il parere del quasi-dem Beppe Picciolo, ex deputato regionale di Sicilia Futura. Scendono, anche per la scarsa propensione del diretto interessato, le quotazioni del presidente dell’Ordine degli avvocati, Vincenzo Ciraulo. Un “non politico” che piacerebbe tanto al centrosinistra quanto al grande capo di Forza Italia, Francantonio Genovese, che ha piazzato all’Ars il giovane figlio Luigi, impegnato nella scelta del suo uomo.
A Messina non sarebbero sorpresi se fosse Franco Rinaldi, cognato dell’acchiappa-voti ex dem e come lui (e le rispettive mogli) condannato in primo grado nel processo sui corsi d’oro della formazione professionale. Ma potrebbe restare una maliziosa suggestione. Soprattutto se arrivasse l’agognato “sì” alla proposta che Genovese ha ufficialmente fatto a Dino Bramanti, direttore scientifico del Centro Neurolesi “Bonino-Pulejo” e membro del Consiglio nazionale della Sanità. Bramanti, poco prima del 4 marzo, s’è preso «una settimana di tempo» per decidere. Tempo quasi scaduto: a ore la riserva verrà sciolta. Ma fra i berlusconiani c’è anche chi s’è già portato avanti col lavoro: Pippo Trischitta, capogruppo consiliare e bandiera dell’opposizione ad Accorinti, campeggia su manifesti e spot. «Non gli permetterò di riprendersi la città», dice. Riferito ad Accorinti. Ma, dicono i messinesi, soprattutto a Genovese.
Twitter: @MarioBarresi