Sicilia, i Beni culturali alla Lega? Ecco la vera storia, rischio calcolato

Di Mario Barresi / 14 Maggio 2020

Sapete chi fu il lungimirante politico regionale che, più di tre lustri fa, si batté con anima e corpo per aggiungere all’assessorato ai Beni culturali la delega all’«Identità siciliana»? Alessandro Pagano.

La storia sbeffeggia la cronaca. E mischia le diverse indignazioni. Proprio nel giorno in cui il deputato leghista Pagano (ultracattolico con trascorsi giovanili nella Dc, berlusconiano con Fi-Pdl, infine alfaniano nello strappo di Ncd, prima della conversione al salvinismo) è nella bufera per aver dato della «neo-terrorista» a Silvia Romano, le vecchie volpi del centrodestra siciliano tirano fuori dal cassetto della memoria quel periodo. Era il 2004, quando Pagano, appena nominato da Totò Cuffaro custode dei tesori dell’Isola, emanò le linee guida “Identità è Futuro”, aprendo di fatto la strada alla legge regionale 16/2008 che sancì (col governo di Raffaele Lombardo) la nuova mappa degli assessorati.

Formidabili quegli anni. Chissà se il nisseno Pagano ci avrà pensato, mentre balbetta delle scuse dopo la maldestra gaffe (eufemismo) sulla cooperante rapita. Questa fu la genesi dell’aggiunta di una congiunzione e di tre paroline – «e dell’Identità Siciliana» – che oggi decuplica la carica degli indignados. Contro Nello Musumeci «felice» di aver dato a un «orgoglioso» Matteo Salvini proprio quell’assessorato, preziosa dote nello storico primo ingresso in giunta e probabile preludio a un pluri-annunciato matrimonio politico fra DiventeràBellissima e Lega. Al netto del sondaggio arrivato ieri sul tavolo della Presidenza: anche a confronto con altri governatori, il gradimento del ColonNello in piena fase 2, è ai massimi storici. E ciò potrebbe anche raffreddare i bollori salviniani. Magari soltanto un po’.

Il governatore, sul tema, tace. Travolto, anche sui suoi profili social, da migliaia di esternazioni d’ira di chi lo accusa di «aver tradito i siciliani» e da una raccolta di firme contro il primo assessore leghista della Sicilia. E anche qui c’è bisogno di attingere ai documenti storici, seppur recentissimi. C’era pure il simbolo del Carroccio, nel 2017, fra le liste che appoggiarono Musumeci. Il centrodestra, da Bolzano a Portopalo, ha la medesima composizione, con Salvini leader. Nessuna sorpresa, dunque, nemmeno per i radical chic che ostentarono il voto al «galantuomo di destra»: l’assessorato alla Lega, piaccia o no, è nelle cose della politica. Poteva succedere due anni e mezzo fa, ma è successo oggi, in piena emergenza-Covid, quando magari non se ne sentiva l’irrefrenabile bisogno. E l’unico vero moto di rivolta extra-tastiere è rinviato al 2022.

Più fondato, invece, è il senso di beffa – parecchio diffuso nell’opinione pubblica siciliana – per l’assessorato assegnato ai nuovi alleati. L’Identità siciliana è uno scalpo enorme, dal valore simbolico potente. «A Nello stava bene dare l’Agricoltura, ma a un certo punto del vertice – è la confessione di un influente musumeciano – sembrava che interessasse più a lui che a tutti gli altri, leghisti compresi…». Ed è questo l’altro punto di caduta. Chi pensa che i Beni culturali alla Lega siano un pugno allo stomaco, dovrebbe adirarsi anche per il fatto che questa delega-icona – che il governatore alla fine ha chiesto «per cortesia» di accettare al segretario regionale della Lega, Stefano Candiani – è stato l’unico stratagemma per evitare che il vaso di coccio del centrodestra fosse frantumato da azzeramenti di giunta, vivisezioni di assessorati e traslochi di assessori. Se il prezzo (concordato) da pagare alla tregua armata fra le tribù è lo sputtanamento dell’orgoglio sicilianista, bisogna anche interrogarsi sullo stato di salute di questa coalizione.

L’altro nervo scoperto lo ricorda, con perfida sinossi, Claudio Fava: «Dall’Udc, al centrosinistra, alla Lega: se l’identità siciliana per Musumeci è il trasformismo, Matteo Francilia sarà l’uomo giusto nel posto giusto». Il riferimento è all’assessore in pectore della Lega. Il sindaco di Furci Siculo, 40 anni, ex allievo della palestra post-Dc dell’ex ministro Gianpiero D’Alia e dell’ex assessore Giovanni Pistorio, è stato folgorato sulla via di Pontida dopo aver bruciato ambizioni romane (candidato alla Camera nel 2013, con la lista a sostegno di Mario Monti) e palermitano (in corsa al’Ars, nel 2017, nella lista alfaniana in appoggio a Fabrizio Micari, sfidante dem di Musumeci). Per non dimenticare.

Il governatore aveva buone referenze su Francilia, graditissimo a Candiani e raccomandato anche dal furcese Carmelo Briguglio, segretario particolare del compianto Sebastiano Tusa, rimasto al fianco dello stesso Musumeci nell’interim ai Beni culturali. Per il presidente, inoltre, avere un assessore leghista del Messinese avrebbe un doppio scopo: un cavallo di Troia in casa di Cateno De Luca (che non fa mistero di pensare a Palazzo d’Orléans nel 2022), oltre che un terzo incomodo per sterilizzare il flirt fra Salvini e lo stesso “Scateno”. Da ieri, però, la predisposizione presidenziale sul nome di Francilia sembra scalfita dalle perplessità sul rating di coerenza.

Contro il predestinato si scaglia soprattutto il fuoco amico. Il deputato Nino Minardo, “cioccolataio magico” nella creazione del gruppo all’Ars, fa fatica a contenere la rabbia dei deputati regionali. «Non possiamo essere esclusi dalla scelta», incalzano soprattutto il capogruppo Antonio Catalfamo e l’aspirante mancato assessore all’Agricoltura, Orazio Ragusa; defilata Marianna Caronia, vicina al terminal partenze. La logica di Candiani, ribatte però l’ala ortodossa del partito, è «coerente al nostro stile». Francilia è coordinatore provinciale, un ruolo che in Padania viene rivestito, dopo un cursus honorum di fedeltà ed esperienza amministrativa, da chi è pronto al grande salto. Ma Francilia – spigliato e ambizioso, stimato da Pagano – non è di Varese. E, trapiantando la prassi in Sicilia, la Lega dovrebbe interrogarsi sulla qualità della classe dirigente: se non c’è un nome all’altezza, un motivo ci sarà.

E allora nelle ultime ore in molti rilanciano l’opzione dell’assessore tecnico. C’è chi evoca Pietrangelo Buttafuoco («chiediamo a Matteo di convincerlo», si espone qualcuno nelle chat interne), ma i più avvezzi al realismo politico tentano una disperata moral suasion nei confronti del magistrato Roberto Centaro, siracusano, ex senatore e presidente dell’Antimafia nazionale. Che piacerebbe – molto – anche a Musumeci. «Un assessore del genere sarebbe inattaccabile», è il sogno a occhi aperti di ieri notte. Ma questa mattina, al risveglio, c’è l’appuntamento con la realtà. Una videoconferenza fra i big leghisti di Sicilia. Nella quale Candiani sarà irremovibile: l’assessore lo fa Francilia. Ma la faccenda, ormai, è di rilievo nazionale. E la ceralacca definitiva, su questa scelta, deve mettercela un altro Matteo. Che di cognome fa Salvini.

Twitter: @Mario Barresi

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Redazione
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