AGRIGENTO – «Quando i molti governano pensano solo a contentar sé stessi, si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà». Agrigento. L’accoglienza, al netto del congiuntivo, è da oste burbero: «E lei pensa di capire le elezioni di Agrigento stando qui un giorno e magari chiedendo a me? Ma mi facci il piacere… ».
Touché: caffè e conto, grazie. Forse ce lo meritiamo pure, per l’impudenza di voler spiegare un’entità inspiegabile per definizione. Che Agrigento sia alla vigilia di un voto decisivo e molto sentito, nonostante il vento dell’antipolitica soffi forte anche da queste parti, lo avverti dall’aria frizzante che si respira in via Atenea. Fa pure freddo quando quel bastardino, finito l’assalto dei comizi a Porta di Ponte, si accomoda sotto a fare pipì sotto il palco.
«È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’esser sempre».
Ci sono sette candidati a sindaco e quasi mezzo migliaio di aspiranti consiglieri. Una folla all’ingresso, ma nessuno in uscita. Perché l’ultimo sindaco, Marco Zambuto, anticipando la sospensione del prefetto in base alla legge Severino, si dimise il 13 giugno 2014, il giorno dopo la condanna a due mesi e 20 giorni per abuso d’ufficio, una «campagna autocelebrativa» con i soldi della Fondazione Pirandello, accusa dalla quale è stato assolto in Appello. Ma ha deciso di non candidarsi. Anche il consiglio comunale è decaduto, dallo scorso febbraio, per le dimissioni di 29 consiglieri su 30. Travolti dalla Gettonopoli locale – 1.133 sedute di commissione in un anno, quasi 300mila euro di indennità – pressati dalla rivolte di piazza e dalla gogna tv.
Ma, bisbigliano a Palazzo dei Giganti (mai nome fu più distonico come qui in quest’epoca), la fuga dagli scranni non è sussulto di dignità; piuttosto paura di toghe. Incombeva, e incombe, l’inchiesta sul Prg. Nemmeno il commissario ha messo mano alle vischiose linee-guida, anche perché in municipio non ha trovato l’incartamento sequestrato dalla Procura. Prg e Gettonopoli si sfiorano, rivedendo le immagini del 3 febbraio scorso, perché, fra i 4mila cittadini che gridavano «di-mis-sio-ni, di-mis-sio-ni», i soliti pignoli hanno notato in prima fila un certo numero di palazzinari e lottizzatori a manifestare liberamente il proprio pensiero. Nulla che vedere con “Agrigento Manifesta”, associazione libera e super partes, con 9.226 sostenitori su Facebook.
«Chi veda soltanto una coda, facendo astrazione dal mostro a cui essa appartiene, potrà stimarla per se stessa mostruosa. Bisognerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà più tale, ma quale dev’essere, appartenendo a quel mostro. Una coda naturalissima».
Dalle dimissioni alle elezioni è un batter d’ali. E uno scorrere, frenetico, di porte girevoli. Perché Agrigento, nel suo piccolo, ha fatto parlare molto di sé in Continente. Per le primarie del centrosinistra. Vinte, stravinte, da Silvio Alessi, imprenditore nel settore fieristico e presidente dell’Akragas calcio in festa per la promozione. Un «libero cittadino», prima che il Pd lo tacciasse di “berlusconismo” latente per poi mollarlo sull’altare di un matrimonio che non s’aveva da fare. Ma, dicono gli statistici elettorali, il partito che scaccia gli impresentabili (eppure altrove li candida) in città nel 2012 prese il 7,64%. E quindi che fa? Dopo una finta melina sull’ex presidente della Regione, Angelo Capodicasa, va con Lillo Firetto, sindaco di Porto Empedocle dimissionario e – ad Agrigento – subito candidato.
Firetto, deputato dell’Udc, sbatte la porta in faccia a Forza Italia che nel frattempo lo corteggiava, e si presenta a capo della coalizione. Al gran completo, perché oltre al Pd e all’Udc c’è l’Ncd. Con la benedizione – decisiva nella sua città – del leader Angelino Alfano, ma anche dell’influente deputato regionale Roberto Di Mauro, ex segretario particolare del ras democristiano Gaetano Trincanato ed ex sindaco, indagato, di Agrigento. Ma Alessi (che è grande amico dello stesso Alfano) non si tira indietro. Si candida. Con il suo movimento “Territorio” (lo stesso dell’ex sindaco di Ragusa, Nello Dipasquale, adesso neo-dem) e con Forza Italia, celata in una lista che, per omonimia deliziosa e propizia, si chiama “Forza Silvio”.
Dietro c’è l’alleato di ferro dell’imprenditore: Riccardo Gallo Afflitto. Deputato nazionale di Forza Italia, da sempre amico fedelissimo del detenuto Marcello Dell’Utri e nemico ferocissimo del ministro Alfano. Che non voleva metterlo in lista, alle ultime Politiche, ma – racconta, con orgoglio, l’onorevole forzista ai suoi – cambiò idea «dopo aver ricevuto una telefonata da Berlusconi in persona».
Gallo Afflitto, piuttosto low profile a Montecitorio, ad Agrigento è una potenza. Molto disponibile con i suoi concittadini, tanto da meritarsi l’affettuoso epiteto di Beddru me’, cchi hai bisognu?, Gallo è stato afflitto da una poderosa marea fango, dalla quale è uscito immacolato. Daniele Sciabica, boss (ex) pentito della cosca dei Grassonelli autoaccusatosi di cinque omicidi e di un triplice tentato omicidio, tirò in ballo l’onorevole per concorso in un assassinio del 1988; il Tribunale di Palermo ha disposto l’archiviazione del deputato, nel novembre 2014, «per infondatezza e insussistenza dei riscontri».
Ma, oltre che ai pm, Gallo ha dovuto spiegare la faccenda all’ex Cavaliere. E chi si porta a Palazzo Grazioli come «testimone della sua onestà»? L’ex sindaco di Agrigento, Zambuto (sostenuto dal deputato forzista nel 2012), ex berlusconiano e centrista, frattanto divenuto presidente regionale del Pd, carica dalla quale si dimette dopo la bufera seguita alle rivelazioni di Repubblica sull’incontro.
«E ogni cosa, finché dura, porta con sé la pena della sua forma, la pena di essere così e non altrimenti».
Cose che solo ad Agrigento succedono. Cose che solo gli agrigentini capiscono. Così come la griglia di queste elezioni. Firetto è forte e (forse) vincerà. Ma deve farlo al primo turno, altrimenti rischia grosso. Perché è sostenuto da molti, ma odiato da moltissimi; non solo fra i suoi avversari. Lo sa bene, il sindaco del comune accanto («quelli del molo di Girgenti», li chiamano qui gli empedoclini) che punta al municipio di Agrigento. E così ha costruito una gioiosa macchina da guerra. Con lui, si sa, c’è Alfano. Anche se Firetto fa di tutto per non apparire troppo alfaniano: alla presentazione ufficiale i Ncd, il candidato sindaco ha marcato visita «per precedenti impegni in un comitato».
Con lui c’è anche un bel po’ dell’Akragas del presidente Alessi, marcato a uomo da Firetto: il dg Giovanni Amico, indicato assessore, e il vicepresidente Franco Nobile. Con queste mosse una buona parte di tifosi e ultras sta con Firetto. Assieme – ad Agrigento – alla crema della cosiddetta intellighentia. Come Andrea Camilleri, che esterna il suo sostegno a un sindaco «accorto, intelligente, innovativo». E nella lista degli intellettuali firettiani ci sono anche scrittori (Matteo Collura e Simonetta Agnello Hornby), attori (Gaetano Aronica), musicisti (Francesco Buzzurro, Osvaldo Lo Iacono e il chitarrista dei Nomadi, Cico Falzone) e artisti (Franco Fasulo).
Nessuno di loro si scandalizza quando Firetto viene etichettato «il sindaco del rigassificatore» dai rivali che ne rimembrano il ruolo di manager Enel in aspettativa, nel via libera al progetto, per ora congelato, dalla stessa multinazionale a Porto Empedocle. E così il rigassificatore, che sfiora Agrigento per quattro tubi, è uno degli argomenti più caldi della campagna elettorale. Zambuto l’ha ostacolato, Firetto promette che saranno i cittadini a esprimersi. E, giusto per non lasciare nulla al caso, imbarca ambientalisti: fra gli assessori il presidente regionale di Legambiente, Mimmo Fontana, e in una lista Claudia Casa, presidente del circolo locale. Ma con Firetto c’è anche Michele Mallia, storico dei leader degli abusivi della zona A della Valle dei Templi, il quale – ad Agrigento – non poteva poi non diventare il presidente della commissione consiliare all’Urbanistica. Per il candidato green c’è anche la non più celata simpatia di Totò Moncada, re del fotovoltaico, che per un certo periodo accarezzò pure il sogno di fare il sindaco.
«Non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt’al più sorridere».
E allora tutti in corsa dietro a Firetto, che è tutto e il contrario di tutto. Ma nemmeno gli sfidanti scherzano. Perché – ad Agrigento – “Noi con Salvini” non schiera un siculo qualsiasi. Ma un veneto. Marco Marcolin, deputato della Lega ed ex sindaco di Cornuda, nel Vicentino. Un turista (non fai-da-te: è amico di Pippo Scalia, ex An) folgorato dai templi, che ora fa colpo sui commercianti inferociti per il “suk” degli ambulanti abusivi in via Atenea ed è anche sospinto dall’onda di Matteo Salvini, l’unico a comiziare in città con la piazza piena.
E pure i grillini – ad Agrigento – puntano su un candidato meno grillino del solito: Emanuele Dalli Cardillo, avvocato, ex assessore comunale, negli anni 90 (a Porto Empedocle) della giunta del defunto sindaco Carmelo Gibilaro, ricordato per la sua militanza nell’Msi e per le sue impeccabili cravatte bianche. La scelta, sostenuta dal deputato regionale Matteo Mangiacavallo, ha spaccato i meetup agrigentini. Contro di lui soprattutto “I Grilli” di Aurelio Bruno, che – oltre alla militanza dell’ultim’ora e alla “fedina politica” non illibata – rinfacciano al candidato del M5S la feroce battaglia contro una struttura d’accoglienza per migranti. Che doveva sorgere nei pressi della sua abitazione.
«Sono solo insetti», li derubrica Dalli Cardillo. Fra gli altri contendenti spicca come sempre, per la creatività e l’efficacia comunicativa della campagna elettorale, Giuseppe Arnone. Avvocato e battagliero fustigatore degli abusivi, ex Legambiente ed ex Pd, oggi nemico giurato dei suoi ex emici Beppe Lumia e Rosario Crocetta, Arnone è un animale politico, nel senso più nobile. Incalza Alessi e soprattutto Firetto (su conflitto di interessi Enel, consulenze a familiari e faccende fiscal-sindacali della villa per ricevimenti della famiglia), tanto da farli tirare fuori dai confronti pubblici: «Se c’è lui, io non partecipo». Poi altre due vecchie conoscenze degli elettori agrigentini.
Peppe Di Rosa (già Udeur, Pdl, Megafono e zambutiano), a Palazzo dei Giganti nelle ultime due consiliature, schiera consulenti della Procura e militari in congedo, ma anche – ad Agrigento – Carmelina Paino, leader indiscussa dei “paninari” che a San Leone stazionano con i loro camioncini sul piazzale del porto.
E infine Andrea Cirino, consigliere comunale da tre lustri, ex Udc e Pdl, già assessore, sostenuto da Fratelli d’Italia – ad Agrigento – come candidato «del rinnovamento». «Ciò che conosciamo di noi è solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa».
In mezzo a tutto questo kaos (calmo), ci imbattiamo in Antonio Nocera, diciottenne alla sua prima volta alle urne. Dopo la maturità al classico “Empedocle” ha già un posto vinto alla Bocconi. Un cervello in fuga senza biglietto di ritorno? «No, se non riuscirò a tornare ad Agrigento, da laureato, mi considererò un fallito». Ammirevole. E la politica? «È bellezza, mi piace. Vorrei farla, ma non posso. Perché, prima dei voti, ci vuole la competenza che io non ho. Ma nemmeno molti di quelli che vedo stampati sui manifesti. Io voglio studiare per essere all’altezza della mia città». Ti aspettiamo, Antonio. Cinque anni, salvo imprevisti. Giusto il tempo di vedere all’opera il prossimo sindaco. Ti aspetta anche Agrigento. Il perché te lo facciamo spiegare da Luigi Pirandello. Come tante altre cose scritte su questa pagina.
«… Perché questa una realtà non ci fu data e non c’è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere».
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