Scuola, così fan tutti (o quasi): prof “gratis” per fare punteggio. E c’è chi denuncia

Di Mario Barresi / 28 Settembre 2021

Così fan tutti. O quasi. Da sempre. Un fenomeno, diffuso nel tempo quanto nell’intensità, che si fonda su un assioma. Per insegnare nelle scuole si entra vincendo un concorso, oppure accumulando punteggio nelle graduatorie dei precari. Ed è su questo secondo criterio d’accesso alla professione che, soprattutto per i neolaureati, s’insinua un atavico rito iniziatico: lavorare gratis, negli istituti privati, per incassare i 12 punti (se va bene) annuali che permettono di “smuovere la classifica”. Uno, due, tre anni. Poi possono arrivare le supplenze statali. E lo stipendio vero.

Ma c’è chi dice no. Come Giulia, una giovane docente catanese che s’è rifiutata di sottostare ai ricatti. Ha detto no. No alle buste paga fasulle, no ai bonifici da restituire in contanti, no allo sfruttamento del lavoro, alle truffe e alla dignità violentata. Giulia ha denunciato, raccontando la sua storia. Non soltanto al nostro giornale. Ma anche ai magistrati della Procura di Catania, con tanto di prove.  
Purtroppo Giulia è una coraggiosissima eccezione in un sistema consolidato di «reciproche convenienze». Così le definisce Giusto Scozzaro, responsabile nazionale del settore scuole non statali della Flc-Cgil. «I gestori cercano di massimizzare i profitti, sfruttando i giovani docenti con la trappola del punteggio», ammette.

E Paolo Italia, segretario regionale Flc-Cgil aggiunge un’altra categoria di sfruttati, forse più conniventi:  «Nelle scuole paritarie  lavorano anche molti ingegneri, avvocati, commercialisti, anche per 3-4 ore settimanali per avere il punteggio per entrare poi nelle scuole pubbliche, accoppiando la libera professione all’insegnamento». Il meccanismo è arcinoto ai sindacati: «Si entra spesso per raccomandazione, magari c’è l’onorevole amico del prete della scuola cattolica, oppure – aggiunge Italia – accettando consapevolmente di lavorare con stipendio  ridotto, spesso con i soli contributi pagati, talvolta gratis. E non riceviamo denunce dai docenti». E dire che le regole ci sono. Oltre che dalla legge di settore, la 62/2000,  i rapporti di lavoro, ricorda Scozzaro, sono disciplinati da tre tipi di contratti nazionali: uno con «l’associazione più forte», la  Fism (Federazione italiana scuole materne), che rappresenta paritarie, ormai non solo dell’infanzia, di ispirazione cattolica; un secondo, «più low cost per i datori di lavoro», con l’Aninesi (Associazione nazionale istituti non statali di educazione e di istruzione), afferente a Confindustria,  che unisce scuole laiche e cooperative; un terzo, «il migliore per i docenti», con l’Agidae (Associazione gestori istituti dipendenti dall'Autorità ecclesiastica), sigla storica degli istituti religiosi vicina alla Cei.

Quindi ogni scuola privata sa benissimo come e quanto pagare i propri docenti. E la regolarità contrattuale dei dipendenti – assieme a standard legati ad aule, sicurezza e accessibilità per i disabili –  è uno dei criteri richiesti per ottenere l’ex “parifica” (oggi si chiama “parità”) che, ricorda Scozzaro, «inserisce le scuole private nel sistema pubblico a tutti gli effetti». Ed è questo accreditamento che permette ai quasi mille istituti siciliani  (690 dell’infanzia, 84 elementari, 24 medie e 23 superiori) di ricevere, oltre alle rette degli studenti, voce più rilevante dei bilanci, anche i fondi  pubblici. Nel 2020 le scuole dell’infanzia siciliane hanno ricevuto 7,2 milioni di contributi ordinari e 7,7 milioni di sostegno per la crisi Covid, quasi 6 milioni per primarie e secondarie. Altri 8,3 milioni sono stati stanziati dalla Regione: 5,5 milioni «per il recupero delle spese sostenute durante l'emergenza sanitaria e delle minori entrate», 850mila euro per dotazioni informatiche, 2 milioni per «opere di edilizia leggera».
Insomma: la crisi c’è stata, ma viene in parte risarcita. E in ogni caso nessuna congiuntura negativa legittima  l’illegalità. Come ammette con onestà intellettuale Dario Cangialosi, presidente regionale della Fism: «Purtroppo la crisi economica che ha travolto le imprese educative sta facendo riscoprire dei fenomeni che sembravano essere scomparsi. Non è giustificabile tuttavia cercare la sostenibilità gestionale e far quadrare i bilanci degli istituti sulla pelle dei lavoratori, che devono sempre e ad ogni costo essere tutelati.

Ne vale dell’autenticità del progetto educativo e del rispetto delle norme a cui una scuola, prima di ogni altro insegnamento, deve sempre tendere». Cancelosi auspica che «questi casi, anche se pochi, vengano sempre affrontati, risolti e ristabilite le normali condizioni di funzionamento delle scuole», Anche perché, precisa,  «è un danno di reputazione che cade su tutto il sistema delle scuole paritarie, per questo va contrastato con ogni mezzo». Nel mondo degli istituti privati, però, si sussurra che la maggior parte delle violazioni si consumerebbero negli istituti laici, soprattutto quelli gestiti da cooperative. «Basta osservare i bilanci – ci fa notare un addetto ai lavori – e laddove ci sono rette basse e pochi alunni, a fronte di una dotazione di organico standard, allora è probabile che le buste paghe siano taroccate». Ma chi deve controllare? Quando giriamo la questione al direttore dell’Ufficio scolastico regionale, la risposta è secca: «Noi non possiamo fare alcuna ispezione, come invece avviene nel resto d’Italia», sbotta Stefano Suraniti. Che ci spiega come in Sicilia, in nome della decantata autonomia, la competenza ricade sulla Regione. «Noi facciamo i controlli in tutti gli istituti sugli esami di Stato, ma nell’Isola la parità la dà la Regione, che deve gestire anche i controlli. Le uniche scuole in cui possiamo entrare sono quelle dell’infanzia, ma non mi risultano che siano state segnalate né riscontrate anomalie sul rispetto dei contratti». In effetti, aggiunge Suraniti, «fino a tre anni fa c’era una convenzione fra l’Usr e la Regione, per cui ci venivano affidati i controlli. Ma questo accordo non è stato più rinnovato». E quindi? «È tutto fermo, per quanto ci riguarda».

I sindacati vorrebbero che qualcosa si muovesse. «Bisognerebbe che le scuole paritarie chiamassero i docenti attingendo dalle graduatorie pubbliche», ipotizza Italia, ricordando che «questo discorso s’è chiuso dalla Gelmini in poi». Scozzaro ipotizza una «riforma del sistema di reclutamento» con  «diverso punteggio per chi lavora nel privato», o in alternativa «un meccanismo di controlli più efficaci e capillari», magari con delle «premialità per chi denuncia». E qui si torna alla casella di partenza.  Cioè alla storia di Giulia. Che il suo “premio” ha deciso di prenderselo da sola. Da ieri ha preso servizio in una scuola del Nord. Pubblica. Supplenza annuale. Con stipendio vero. «E mi danno pure del lei», ironizza con amarezza dopo i tanti «ciao professoressa!» ricevuti anche in scuole private chic sotto il Vulcano. Tutto il resto è un chiacchiericcio. Fin quando la giustizia – come si dice in questi casi – non farà il suo corso.
Twitter: @MarioBarresi 

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Pubblicato da:
Carmela Marino
Tag: buste paga denuncia istituti privati mario barresi procura prof scuola scuole sindacato