L’allarme rosso scatta venerdì in tarda mattinata. Proprio quando il governatore Renato Schifani è in volo da Roma verso Catania, dove intanto l’assessore all’Economia Marco Falcone, durante la kermesse del candidato sindaco di centrodestra Enrico Trantino, riceve una telefonata che lo fa sbiancare. «Ci vogliono smontare tre quarti di finanziaria regionale».
A Palermo, infatti, è appena arrivato il “preavviso” d’impugnativa da parte del governo nazionale. L’ultimo di una serie di avvertimenti romani sulla manovra votata dall’Ars poco meno di due mesi fa. Ma stavolta, nero su bianco, c’è la «sussistenza di eventuali profili di illegittimità costituzionale» della legge regionale n. 2 del 22 febbraio 2023. La nota arriva dal ministero del Sud e della Coesione territoriale e dà comunque la possibilità, al governo regionale, di presentare «osservazioni» sulle numerose «criticità» riscontrate a Roma. Tutte concentrate sull’utilizzo delle risorse Fsc (Fondo sviluppo e coesione) per coprire le misure della finanziaria siciliana. I rilievi, secondo quanto apprende La Sicilia da qualificate fonti ministeriali, riguardano due profili.
Il primo, più rilevante in prospettiva del successivo giudizio del ministero dell’Economia, riguarda alcuni interventi a valere sul Fsc 2014/20, per i quali – se fossero impugnati dal governo – non ci sarebbero più i margini di riprogrammazione, poiché c’è già stata la “tagliola” al 31 dicembre 2022. Con questo plafond, tranne che con bandi aperti, non si può effettuare nuova spesa. Su questo versante, sotto la lente d’ingrandimento della Coesione ci sarebbe l’articolo 116 e più nel dettaglio la copertura di tre finanziamenti: 700mila euro per la riqualificazione di un plesso scolastico a Capaci; 800mila euro per impianti sportivi a Floridia; 600mila euro per la manutenzione straordinaria del mercato ortofrutticolo di Vittoria.
Più complessi e delicati, ma tutto sommato ancora recuperabili, i rilievi del ministero sulla nuova programmazione 2021/27. Nel documento si legge un’esplicita critica sul quantum (alla Sicilia sono stati per ora riconosciuti 239 milioni, mentre risultano circa 700 milioni a valere sul nuovo Fsc), già parzialmente spalmato nella finanziaria regionale senza sapere a quanto ammonterà l’effettiva assegnazione. Ma c’è anche una bacchettata sulla «coerenza» degli interventi rispetto alle «finalità» del Fsc: in quest’ambito, «a titolo esemplificativo» vengono citate alcune norme a rischio impugnazione: si va dai fondi per il personale regionale (comprese le stabilizzazioni della sanità) ai contributi alle imprese siciliane. Su questi punti, di certo fra i più identificativi della manovra regionale, sarà la Ragioneria dello Stato a fare le osservazioni e quindi proporre l’impugnazione.
Si tratta del penultimo alert del governo nazionale: da un “cartellino giallo” del ministero del Sud e della Coesione si potrebbe arrivare, in assenza di «osservazioni» convincenti da parte della Regione, a un’ulteriore nota del Mef che darebbe il via libera all’impugnativa vera e propria di Palazzo Chigi. A Roma s’ipotizza che gli atti sull’ennesimo caso Sicilia potrebbero arrivare già sul tavolo della seduta del Consiglio dei ministri di giovedì prossimo. Anche se c’è chi è convinto che vengano concessi i tempi supplementari, soprattutto sui rilievi relativi alla nuova programmazione. Anche perché, con un bilancio regionale in cui quasi tutta al disponibilità è destinata alla spesa corrente, gli unici investimenti sono basati sui fondi Fsc. Con numeri emblematici, diffusi a inizio marzo dal M5S, parlando di «Caporetto siciliana» circa l’incapacità di spesa dei fondi extra-regionali del precedente governo regionale. Ma, in quel contesto, è spuntata una tabella relativa proprio al peso del Fsc nell’ultima finanziaria: un miliardo e 130 milioni nel triennio 2023/25, di cui mezzo moliardo (precisamente 538.342.000 euro) per l’anno corrente.
Adesso Schifani prova a correre ai ripari. Venerdì stesso la chiamata urgente al ministro Raffaele Fitto: sul filo del telefono l’ipotesi di anticipare 500 milioni di nuovo Fsc alla Regione Siciliana. Ma il governatore, a inizio settimana, aprirà un confronto indispensabile anche con Giancarlo Giorgetti, titolare leghista del Mef, con cui i rapporti sono «ottimi». Da Palazzo d’Orléans filtra un tiepido ottimismo sulla soluzione finale, ma anche un certo nervosismo sulla matrice del caso. E cioè la trasformazione dell’iniziale ddl governativo, con un testo asciutto di una decina di articoli, nell’ennesimo assalto alla diligenza, con micro-norme ad deputatum molte delle quali frutto di un compromesso con le opposizioni. Cateno De Luca è stato il mattatore degli accordi trasversali, ma anche il Pd è andato all’incasso (i tre interventi a Capaci, Floridia e Vittoria sono tutti emendamenti dem) e persino i grillini hanno avuto la loro fetta di torta. E allora il governatore, oltre a dover sbrogliare la matassa, avrà forse modo di recuperare dalla recente memoria di quei convulsi giorni di “suk”-Ars, alcune perplessità già confidate a suoi fidatissimi collaboratori: l’eccessivo spazio, in una trattativa gestita soprattutto dall’assessore all’Economia, a emendamenti-marchetta trasversali, in un’Aula di fatto ingovernabile (forse perché non governata), in cui vige la legge – anzi: l’emendamento – del più furbo, del più scaltro. Ma su questi aspetti ci sarà tempo e modo di soffermarsi alla moviola. Ora urge convincere Roma a non smontare la prima finanziaria dell’era Schifani. Come se fosse assemblata con mattoncini Lego. Tutti di colori diversi, uno per ogni gruppo dell’Ars protagonista del maxi-inciucio finale.
Twitter: @MarioBarresi