E il peggio deve ancora arrivare. La seconda estate di Renato Schifani a Palazzo d’Orléans poteva essere distesa e rilassante come una vacanza in un resort con spa. E dire che c’è pure stata la miracolosa moltiplicazione delle pagnotte e dei pesciolini nella manovrina stagionale, ed è stato archiviato ieri il rimpastino con le nomine di Salvatore Barbagallo all’Agricoltura e Giusi Savarino al Territorio e ambiente. A due anni dall’elezione, spinto anche dal trionfo di Forza Italia alle Europee, il governatore dovrebbe veleggiare col vento in poppa. Rotta verso il secondo mandato, un’ambizione – non ancora proprio un’ossessione – subordinata soltanto al vecchio sogno inconfessabile dell’ascesa al Colle.
Invece no. E non c’entra la Sicilia assetata, né la cenere dell’Etna (problema incomprensibile a Palermo), né i roghi. La principale minaccia al governo regionale – fino al punto da trascinare nervosamente il conto alla rovescia verso la pausa ferragostana, «e poi se ne riparla» – è la crescita, più o meno silenziosa, dell’esercito degli scontenti. Soprattutto in Forza Italia, proprio nel gruppo più vicino a Schifani.
«Ci ha lasciato a pane e acqua», la lamentela emergente dal blocco che ha portato al boom elettorale di Edy Tamajo. Che s’è dimesso per fare accomodare Caterina Chinnici a Bruxelles: un enorme credito politico nei confronti di Antonio Tajani incassato per intero dal governatore. Niente upgrade di deleghe per “Mr. 120mila preferenze” (che tutto sommato sta bene alle Attività produttive, a dispetto dell’opzione Salute gradita al suo pigmalione Totò Cardinale), niente assessorato per il gruppo degli ex sicilfuturisti. «Il presidente ci ha liquidato con una pacca sulla spalla, come se i voti di Tamajo fossero tutti suoi», si sfoga uno schifaniano in crisi d’identità. Il più nervoso, raccontano, è Gaspare Vitrano. «Non ci siamo nemmeno visti una sola volta dopo il voto, nessun riconoscimento del risultato», va ripetendo il deputato palermitano, mancato assessore, ai colleghi. Mentre Nicola D’Agostino, altro portatore di voti a oriente, aspirante a un posto in giunta se le cose fossero andate in modo diverso, è già in vacanza in Africa a curare il mal di Palermo.
La scelta di Alessandro Dagnino, già socio dello studio Pinelli-Schifani, è di alto profilo, «ma il suo nome lo abbiamo scoperto da un lancio di agenzia» si lamentano alcuni forzisti dell’Ars, i quali l’hanno presa come la certificazione che nel gruppo non ci fosse «nessuno all’altezza». E il neo-assessore tecnico, già nelle prime sedute di giunta, «ha cominciato a fare il professorino», racconta un collega, facendo le pulci ad alcuni atti. «Se sono arrivati così, significa che si possono votare», l’avrebbe gelato Schifani. Che l’ha scelto anche per non doversi privare di Totò Sammartano, insostituibile capo di gabinetto, potente quasi quanto l’ex sottosegretaria alfaniana Simona Vicari, ufficialmente «esperta del presidente della Regione», ma già ribattezzata «la nuova zarina di Palazzo d’Orléans» con citazione, nemmeno troppo velata, dell’era di Patrizia Monterosso. Sono Sammartano e Vicari, assieme al fedele segretario e coordinatore regionale del partito,Marcello Caruso, i dioscuri del “governo del presidente”. Partita con la regola d’ingaggio dei deputati-assessori, la giunta adesso ha tutti tecnici presidenziali nei posti chiave: Dagnino all’Economia, con la conferma di Giovanna Volo (sotto la tutela dell’influente dirigente Salvatore Iacolino) alla Salute e la nomina di Barbagallo all’Agricoltura, prof di matrice sammartiniana già in idilliaca sintonia con Schifani. «In aula con loro sarà un disastro», preconizza un azzurro disilluso.
Non è soltanto un problema di poltrone. Certo, c’è stato un certo imbarazzo quando da Palazzo d’Orléans è arrivato l’input di ridurre di 80mila euro il budget di ogni forzista nella manovrina estiva. «Anche il presidente è un deputato e dunque si divide per dodici e non per undici», la proposta non trattabile di obolo per le istanze presidenziali. Da qui è nato il contributo di 300mila euro al Trapani Calcio (in cui l’avvocato Roberto Schifani, figlio del governatore, risulta “general counsel”), che il capogruppo Stefano Pellegrino s’è dovuto intestare «come un killer – rivela un collega – che si autoaccusa di un omicidio in cui tutti sanno che non c’entra nulla», e l’“aiutino” di 150mila euro alla Terzo Millennio dello spin doctor Andrea Peria Giaconia. Ma non è un pozzo senza fondo. E così alla fine ci si è accorti che non c’erano più soldi per finanziare la contro-campagna mediatica pensata dal presidente per rispondere alle «tante fake news, dalla siccità al turismo» che danneggiano l’immagine dell’Isola. Sarebbe bastata una minima parte della faraonica comunicazione di ”SeeSicily”, eppure per quest’estate, peraltro già ampiamente inoltrata, è meglio soprassedere. E così i creativi di una quotata agenzia palermitana, informalmente investiti, si sono sentiti dire che «le bozze della campagna non piacciono al presidente». Non ci sono i fondi, si vedrà.
Eppure c’è anche una questione di principio. Come quella che alimenta i silenziosi mugugni di Tamajo. Messo alla gogna dalla sospensione (poi sospesa) dal partito disposta dal collegio dei probiviri. «Possibile che né Tajani né Schifani ne sapessero nulla?», si chiedono nell’entourage dell’assessore. Che pare abbia ricevuto ben quattro chiamate, senza rispondere, dal segretario nazionale. Poi, a freddo, il contatto e Tajani che ci mette una pezz, congelando il caso innescato da una denuncia di Giorgio Mulè. Il vicepresidente della Camera, protettore della causa di riabilitazione di Gianfranco Miccichè nel partito, a Roma non si nasconde più: «Nel 2027 in Sicilia non me ne starò lì a guardare». Una bomba a orologeria sul bis di Schifani, con la stessa matrice psicologica che avrebbe raffreddato i rapporti fra il presidente e l’assessore ed eurodeputato dimissionario. Un argomento da maneggiare con cura, vista la (legittime) aspirazione alla ricandidatura pur alla veneranda età di 77 anni. Raccontano fonti azzurre del «fastidio» del governatore per l’endorsement di Cardinale al suo pupillo Tamajo nell’intervista a La Sicilia, ma anche di una telefonata di protesta al cronista di un’agenzia che aveva “osato”, all’indomani dello spoglio delle Europee, ipotizzare una corsa del recordman dei voti fra tre anni. Un complesso di Edipo all’incontrario, che alimenterebbe la strategia di tarpare le ali all’assessore che «vola troppo con la fantasia».
Tamajo, al di là dello scambio di amorevoli note ufficiali dopo il lieto fine sulla sua “punizione”, mastica amaro. «Per prendere 120mila voti ha fatto promesse che non potrà mai rispettare», certificava qualche giorno fa un big del centrodestra, in trasferta a Roma, passeggiando in Transatlantico. Rinunciando all’Eurocamera ha pagato un prezzo personale in termini economici politici. Senza avere nulla in cambio. Nemmeno, finora, un allentamento del severo controllo di Carmelo Frittitta, dirigente delle Attività produttive molto stimato da Schifani, troppo spesso un “Signor No” su alcuni desiderata dello stesso Tamajo. «Ma lui, che è stato calciatore di livello, è uno che sa fare spogliatoio», ricordano le colombe del suo staff. Anche se da ambienti vicini a Marco Falcone filtra l’indiscrezione di un segnale che l’assessore alle Attività produttive, tramite un influente rappresentante del mondo imprenditoriale, avrebbe lanciato al suo ex collega: «Ricominciamo a parlarci». Il che, dopo i colpi (alcuni ben sotto la cintola) fra i due in campagna elettorale sarebbe davvero un colpo di scena. «Certo che se Edy e Marco si mettono assieme non ce n’è per nessuno», gongola un incendiario azzurro. Ma a breve termine non sarà così. tutto si concluderà con un «chiarimento», una tregua per non guastare il clima della convention nazionale di Forza Italia in programma a Palermo il prossimo ottobre. Del resto lo stesso Falcone, nel fare le valigie per Bruxelles, ha siglato un patto di non belligeranza con Schifani. E anche tutti gli altri, compresi i più infuriati, dovranno calmarsi. «Renato è così e così ce lo dobbiamo tenere: non facciamoci mettere i piedi in faccia, ma evitiamo di tirare troppo la corda», il saggio consiglio di Cardinale ai suoi “ragazzi”. Anche perché in settimana c’è l’infornata dei direttori amministrativi e sanitari di Asp e ospedali.