Catania. Ne hanno parlato. Eccome. A lungo. I due Matteo – Renzi e Orfini – venerdì non hanno certo giocato alla Playstation. Magari a Risiko, con la mappa dell’Isola sul tavolo. In cima all’ordine del giorno, dell’incontro fra il segretario e il presidente del Pd, c’erano le Regionali in Sicilia. Un nodo dal valore sempre meno locale e più nazionale (fino al punto di far spingere qualche retroscenista raffinato e informato fino all’ipotesi di dimissioni di Renzi in caso di una Waterloo sicula), una strategia che – oggi più che mai – il Nazareno vuole e deve gestire direttamente. Senza intermediari.
Un gabinetto di guerra sulle Regionali. Ed è la segreteria nazionale che sta gestendo gli ultimi tentativi di convincere Piero Grasso a candidarsi. «Lo stanno pregando come la Madonna di Pompei», è la descrizione che filtra dai salotti della politica. Le ultime ambasciate dem sono giunte al diretto interessato sabato. Lo stesso giorno dell’appello degli intellettuali palermitani al concittadino affinché si candidi come «atto di amore» per la sua terra. Grasso è rimasto colpito dal contenuto della lettera aperta (della quale avrebbe anche apprezzato la matrice), ma non ha risposto. «Poteva ringraziare e rifiutare, ma non l’ha fatto», sottolinea un dem siciliano molto ben radicato a Roma.
Un silenzio che lascia aperta la porta all’assenso? Se per molti «la partita non è chiusa», le persone più vicine al presidente del Senato frenano ogni entusiasmo. Grasso, mentre tutti girano intorno a lui, è sempre fermo: «È una strada impercorribile». Del resto, annotano alcuni attenti osservatori di Palazzo Madama, è come se il «no, grazie» del presidente ufficializzato lo scorso 25 giugno non avesse avuto il valore che invece ha. Certo, anche dal suo entourage erano tutt’altro che minimizzate le due sottolineature (svolgere il ruolo al Senato «finché necessario» e l’impossibilità di candidarsi «stante le condizioni attuali») della nota ufficiale. Ma, in poco meno di un mese, le «condizioni attuali» sono diventare ancor più proibitive. Grasso vede come un «impegno d’onore», oltre che come un obbligo istituzionale, il passaggio in Senato di legge elettorale e manovra. E non gli è certo sfuggito, lui che fu il primo – in tempi non sospetti rispetto alle lusinghe siciliane – a spostare la “sveglia” delle Politiche al 2018, il timbro di un altro palermitano, Sergio Mattarella, sulla durata della legislatura: non più una «conclusione ordinata» anzitempo, ma un finale a scadenza naturale. Che, anche nella testa del presidente della Repubblica, prevede Grasso lì dov’è ora.
Eppure tutti lo cercano, tutti lo vogliono. E in molti restano «moderatamente ottimisti». Come se lui non avesse mai detto di no. Perché? «Tatticismo per prendere tempo in attesa di trovare un altro candidato», ragionano nei corridoi di Palazzo Madama, oppure «Renzi sa qualcosa di cui nessun altro è a conoscenza»? Uno scenario, quest’ultimo, quasi da Apocalypse Now che si spinge fino alla rottamazione del Pd. Un periodo ipotetico del quarto tipo, nel quale le Regionali siciliane sarebbero il mezzo e non il fine.
Per ora prevale il realismo. Che significa: un altro candidato. Renzi e Orfini ne hanno accennato, venerdì scorso. Scambiandosi pure alcune opinioni su chi fra i potenziali “cardinali indigeni”, in assenza dell’agognato “papa straniero”, potrebbe portare a una fumata bianca per Palazzo d’Orléans. Con la consapevolezza che il «simil Grasso» evocato da Leoluca Orlando non esiste in rerum natura e che qualsiasi altra soluzione rischia di essere comunque percepita come un ripiego. Ma tant’è. Sul tavolo del Nazareno, fra qualche giorno, potrebbe arrivare l’esito di un sondaggio sulle Regionali. Per misurare l’attuale forza (o debolezza) del partito, ma soprattutto la riconoscibilità di alcuni potenziali candidati e la fiducia degli elettori nei loro confronti. La lista è top secret, ma ci sono i leader delle correnti (Davide Faraone, Antonello Cracolici e Peppino Lupo), ma anche, più per scrupolo che per convinzione, l’uscente Rosario Crocetta. Ma, oltre a big alleati ed esponenti della cosiddetta società civile, saranno testati altri papabili dem; alcuni nomi sono già usciti nei rumors di queste settimane, altri (quelli forse più credibili) sono blindatissimi.
Eppur si muove, il Pd. Aspettando due eventi-chiave in agenda oggi. In mattinata Orlando riunirà le forze del cosiddetto “modello Palermo”. Al netto delle assenze annunciate, si parlerà (anche) di Regionali. Il sindaco dovrebbe annunciare la presenza delle liste dei territori, ma non si esporrà sul candidato presidente. Gli piace Lupo, ma non dovrebbe lanciarlo. «Grasso resta l’unica via, non farò nessun altro nome», ha confidato ai Centristi venerdì. Due linee parallele che s’incontrano, Orlando e D’Alia. Anche se i Gianpiero-boys, così come gli alfaniani, oggi marcheranno visita a Palermo. Ma saranno in massa a Catania. Dove, nell’assemblea pomeridiana dei Centristi, sarà Pierferdinando Casini a dettare la linea. Il leader nazionale, fra i più laboriosi sponsor di Grasso, ribadirà l’input di insistere sul presidente del Senato. Nonostante qualche alleato meno entusiasta continui a dire che, se si candidasse davvero, «per parlare con lui dovremmo portarci dietro un avvocato cassazionista». Casini dovrebbe smentire la fuga verso il centrodestra: i Centristi restano dove sono, o quasi. Anche da Catania nessun nome di candidato moderato (nemmeno quello dello stesso D’Alia, comunque sul tavolo), ma arriverà un monito al Pd: si assuma le proprie responsabilità e indichi una o più alternative a Grasso. Come se fosse facile. Quanto una partita ai videogiochi.
Twitter: @MarioBarresi
ARTICOLO PUBBLICATO SU LA SICILIA DEL 17 LUGLIO 2017