Assessore Razza, l’Ars ha appena esitato la “pratica” dell’ultima finanziaria della legislatura. Un’ennesima occasione sprecata?
«Come per ogni legge di stabilità, persino quella dello Stato, ci sono norme molto importanti e altre che rispecchiano desideri territoriali. Sul potenziamento delle Zes, ad esempio, si sono create condizioni di particolare interesse per gli investitori. Tra le luci e le ombre ritengo prevalgano largamente le prime, nonostante una difficoltà enorme legata al piano di risanamento che il governo sta realizzando, anche in attesa dei tavoli con lo Stato che segue il vicepresidente Armao. Voglio essere ottimista su quello della sanità: abbiamo ottenuto la certificazione che dal 2006 a oggi sono stati prelevati illegittimamente oltre otto miliardi di euro. I siciliani meritano una risposta positiva dal governo centrale».
Il clima in aula, ma soprattutto nelle riunioni carbonare fra opposizioni e parte del centrodestra, spesso trasudava risentimento nei confronti di Musumeci. Perché in cinque anni non s’è riusciti a creare un dialogo nella maggioranza?
«Tento un’analisi, più che una risposta. Non condivido l’assunto su una litigiosità perdurante nella coalizione di governo. E le faccio alcuni esempi di azioni condivise di grande impatto: la riforma urbanistica, i termoutilizzatori, il piano infrastrutture, il piano asili nido, gli aiuti alle imprese, la programmazione e la verificazione della spesa dei fondi europei e nazionali. Si tratta di un grande fatturato amministrativo. È sbagliato pensare che ci sia Musumeci contro i partiti o che la dicotomia sia governo-assemblea. C’è molto più semplicemente un modo nuovo con cui il presidente cerca di interpretare il suo ruolo: è la “Regione-amministrazione” in cui prevale l’azione di programmazione e realizzazione delle opere. Chi era abituato alla Sicilia “pachiderma politico” oggi si vede proposta una concezione diversa che istituisce un rapporto tra cittadini ed esecutivo nel quale alla richiesta di “buon governo” si deve rispondere con azioni concrete, piccole e grandi».
Ma il rapporto tra governo e partiti sembra inteso come un disturbo, nonostante il presidente si sforzi a ripetere che il suo governo non ha «mai avuto un solo giorno di crisi». Come se ne esce?
«I partiti sono il sale della democrazia, perché sono i protagonisti diretti del rapporto con la società e la sintesi delle sue aspirazioni di crescita. Ecco perché non c’è antitesi tra rivendicare il ruolo della politica, e per essa dei partiti, e impegnarsi nell’amministrazione della cosa pubblica senza distrazioni. La sintesi, anzi, sta in una parola: stabilità. Quella che il presidente della Regione ha ricercato con forza, cambiando solo pochissimi assessori e mantenendo per un quinquennio anche quasi tutti i direttori generali al loro posto. Ed è la stabilità l’obiettivo che invocano da sempre le imprese, le parti sociali, il mondo del lavoro. In questo la regola del secondo mandato, che da noi per certi versi ha una ragione in più nel rallentamento all’attuazione del programma imposto dalla pandemia, ha una motivazione profonda: l’interesse pubblico di un compiuto ciclo di programmazione e spesa. È la migliore risposta a chi guarda alla Sicilia per investimenti, proprio adesso che il Mediterraneo torna centrale e l’Isola strategica per almeno due obiettivi: la sovranità alimentare e quella energetica».
Dicono che la lista unica FdI-Db a Palermo sia una corazzata. Superata l’iniziale crisi di rigetto del trapianto del vostro movimento nel partito di Meloni?
«Le confesso che c’è molta attesa, non solo a Palermo. A Milano, alla conferenza programmatica di FdI, ho visto un entusiasmo senza eguali attorno a Giorgia Meloni, una leader forte e autorevole, con una visione della politica industriale, che mancava persino ad An, e con una serietà nel posizionamento internazionale che in questi giorni è una scelta di campo chiara ed inequivocabile».
A un certo punto la descrivevano come uno dei più convinti sostenitori della federazione fra Db e Lega. Poi non se n’è fatto nulla ed è arrivata l’alleanza con FdI. Cos’è successo in mezzo?
«Ho ottimi rapporti personali con molti dirigenti della Lega siciliana, a partire dal suo segretario regionale. Il fattore tempo in politica è tutto, ma oggi sono molto felice del percorso intrapreso. Accanto a Nello Musumeci sono cresciuto e mi sono formato, avendo avuto opportunità di crescita delle quali sarò sempre grato. Con noi, con Diventerà Bellissima, si è formata una classe dirigente di valore. Tante volte ho letto di possibili divisioni tra i deputati del nostro gruppo, che è cresciuto in Intergruppo con As. Continuiamo a essere una comunità legata da valori comuni e amicizia. Alcuni di noi hanno avuto un percorso di crescita parallelo e, anzi, ci conosciamo da quando militavano nella destra giovanile. In questo contesto Db vuole essere un valore aggiunto, per dare forza alla parte di elettorato meridionale che chiede alla politica onestà, buon governo e tanta passione civile».
L’unità del centrodestra su Lagalla è un modello virtuoso o un trappolone di chi, un minuto dopo aver chiuso l’accordo sull’ex rettore, tramava già per respingere il bis di Musumeci?
«Non sa quanto sono felice e come abbiamo lavorato fianco a fianco con Roberto perché si raggiungesse questo risultato, che si deve anche a Carolina (Varchi, ndr). Tutti ricorderanno la conferenza stampa che il presidente della Regione ha tenuto per rivendicare con Lagalla l’ottimo lavoro svolto: era il 31 marzo. Ma vorrei proporle anche una diversa chiave di lettura, più nazionale. La scelta di convergere sul candidato dell’Udc dimostra, per chi alimenta continue fake-news contro la destra di governo, la lungimiranza della nostra classe dirigente nazionale e regionale. Altro che lepenismo o isolamento a destra. Si è fatto il centrodestra di governo, per riscattare Palermo, e su questa posizione sono stati coinvolti tutti i partiti della coalizione. Nessun trappolone, ma un centrodestra coeso e, quindi, vincente».
Musumeci ha detto che non si presterà a una «candidatura di testimonianza». Meloni spinge. Salvini frena: «Si deciderà in Sicilia». Ma cosa succederebbe se il centrodestra, a livello locale, non trovasse la quadra sulla ricandidatura?
«Confido nell’unità, che va ricercata anche quando tutto sembra dire che sia difficile raggiungerla. Ci sono incomprensioni personali? Nulla vieta di superarle. C’è l’idea che si possano perdere le elezioni? Potrei dire che ancora oggi il presidente è in testa in tutti i sondaggi. Penso, inoltre, che il modo migliore per perdere tutti è pensare che il nemico sia dentro casa, magari flirtando con l’avversario. Noi non abbiamo un piano B: siamo per il centrodestra e non viviamo tentazioni fedifraghe. Quando al presidente della Regione fu proposto dai grillini il “foglio bianco” per un patto, magari al prezzo di rinunciare a una parte della sua coalizione, la risposta fu “no, grazie”. Una cosa è collaborare fissando obiettivi per i cittadini, altra è mandare all’opposizione chi ha vinto le elezioni per volontà popolare».
Il “campo largo” di Pd e M5S punta ai moderati. Magari pensano di sfilarvi qualcuno dei vostri attuali alleati…
«Il campo largo lo misureremo a Palermo e Messina e vediamo quanto sia largo per autoproclamazione, più che per volontà popolare. Faccio il penalista e sono pronto a subire un processo, quindi tutto voglio fare tranne il moralista alla Fava. Ma mi lasci dire che il governo regionale del Pd, è stato certamente quello di lobby e interessi sui beni comuni. In questi anni c’è stato un mondo di mezzo che è stato tenuto fuori dal portone di Palazzo Orleans e che era abituato a stare dentro e dettare legge. È un mondo che non s’è rassegnato e prova a fare leva su alcuni che sono certo siano in perfetta buona fede, ma da almeno un anno affilano le armi perché altri cinque anni fuori dal Palazzo sarebbero esiziali».
Il M5S è tutt’ora in trincea, lei invece sta tornando indietro di cinque anni.
«Noto un certo mutamento genetico. Abbiamo fatto una campagna elettorale con l’accusa di un” Musumeci foglia di fico del peggiore centrodestra”. Ora siamo agli abbracci e ai selfie con quelli a cui si dichiarava di non volere neppure stringere la mano. Come diceva la canzone? “Come si cambia, per non morire…”».
Uno degli argomenti-must di Musumeci è la moralizzazione delle istituzioni. Quanto le è pesata, anche a livello personale, l’inchiesta sui falsi dati Covid?
«A me molto, alla mia famiglia moltissimo. So che l’accertamento di questi fatti sarà ancora lungo, ancorché oggi muova su contestazioni molto diverse da quelle di un anno fa. Ho rispetto delle istituzioni e la mia professione mi impone realismo: quando su un dato tecnico c’è una lettura divergente tra accusa e difesa, il luogo della prova è il dibattimento. Se necessario, ci prepareremo».
Oasi di Troina: l’inchiesta getta ombre sulla precedente gestione e conferma alcune denunce dell’ex direttore. Ma Volante avrebbe potuto gestire nomine e risorse umane con più attenzione?
«Ci vuole sempre molta prudenza, soprattutto quando si parla di istituzioni sanitarie che svolgono un ruolo sociale così importante. Non entro nella vicenda ma mi consta un dato difficilmente confutabile: in questi anni l’Oasi non avrebbe avuto futuro senza il costante supporto della Regione. Lo abbiamo fatto pensando a tutti i soggetti fragili curati perché vogliamo che possano continuare ad essere seguiti con professionalità, nel rispetto dei valori cristiani».
A novembre, in ogni caso, finirà il suo mandato. Che farà? Candidatura in prima linea oppure ha altri progetti?
«Non ne ho ancora parlato con il presidente. Siamo troppo presi dal lavoro e non vedo come priorità il mio impegno personale. Faccio parte di una squadra che in questi anni è cresciuta e conta parlamentari, amministratori e tanta classe dirigente. Mi sono speso perché rimanesse coesa e continuerò a farlo anche nel futuro».
Twitter: @MarioBarresi