Razzismo, polemiche e il dovere istituzionale di pesare le parole

Di Antonello Piraneo / 30 Luglio 2018

Matteo Salvini è un leader giovane – almeno per la media italiana – ma ha comunque l’età giusta per sapere e ricordare che le parole fanno male e che in alcuni casi sono state trascritte con l’inchiostro rosso del sangue. Il commissario Calabresi, per dire e certamente non a caso, prima che dalle pallottole fu raggiunto da sventagliate di insulti, accuse e slogan feroci. È storia, oltre che risvolto della vicenda giudiziaria.

Eppure Salvini sembra fare spallucce di fronte alla preoccupante serie di episodi che mettono insieme violenza, intolleranza, rabbia, sfumature xenofobe, sui quali invece s’è opportunamente espresso nella maniera più ferma il presidente Mattarella. Salvini no. Non abbassa i toni, anche se pienamente consapevole – anzi forse proprio per questo – di parlare alla pancia del Paese tutto e non a sparute comunità valligiane come invece capitava al suo predecessore Umberto Bossi. Che infatti, quando per attaccare i magistrati di Mani Pulite disse che una pallottola costava poche lire, provocò un fastidioso solletico e nulla più.

Ma Salvini non è Bossi. È leader indiscusso di una forza politica stimata nei pressi del 30 per cento, è colui che è riuscito laddove hanno fallito tutti i D’Alema, ovvero mettere Berlusconi ai margini della partita. Soprattutto, è il ministro dell’Interno, il responsabile della sicurezza e delle forze dell’ordine.

Un conto è porre ai livelli più alti il problema dei flussi migratori, chiedere all’Unione Europea di essere appunto un’unione di Paesi alleati, distinguere fra profughi e criminali, un altro è eccitare comunque gli animi guardando ai sondaggi. Il ministro dell’Interno, non il leader di un partito, non può derubricare il mix micidiale di sentimenti rancorosi a «invenzione della Sinistra», che peraltro non ha neanche la fantasia necessaria per intestarsi una battaglia e che quasi non esiste più. Invece Salvini la rispolvera, agitandola alla maniera del primo Berlusconi. Quello secondo cui i comunisti mangiavano i bambini, mentre, come tutti ormai sanno, si sono divorati i propri elettori.

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Redazione
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