Province, riforma flop: ecco tutti i rilievi
Province, riforma flop: ecco tutti i rilievi nell’impugnativa scritta a Palazzo Chigi
Dal voto alla gestione dei rifiuti, bocciata la legge dell’Ars
CATANIA – L’impugnativa non è più una minaccia. Ma una realtà. Perché adesso c’è un testo (mittente Palazzo Chigi) già trasmesso, martedì scorso, «a titolo di leale collaborazione» alla Regione. Sei pagine fitte fitte. Nelle quali si dettaglia la bocciatura – clamorosa, seppur ormai annunciata – della legge che istituisce i Liberi consorzi e delle Città metropolitane in Sicilia. Il governo nazionale, più per fair play istituzionale che per altro, chiede di «ricevere quanto prima una nota di controdeduzioni da parte della Regione». Ma, come ha già avuto modo di sperimentare sulla propria pelle l’assessore alle Autonomie locali, Giovanni Pistorio, nel viaggio della speranza a Roma, il governo Renzi ha già espresso un verdetto chiaro: la legge regionale 15/2015, in molte sue parti, tradisce i principi della legge Delrio, qualificata come «grande riforma economica e sociale» i cui principi «costituiscono limite all’esercizio della competenza legislativa esclusiva che impone alle Regioni speciali l’adeguamento della propria legislazione a quella statale nella materia».
E dunque scatta la mannaia dell’incostituzionalità, che sarà messa nero su bianco con tutta probabilità nella prossima seduta del Consiglio dei ministri, che ha tempo fino al 7 ottobre per impugnare la legge siciliana. Dopo di che le strade saranno due: una nuova legge, magari di un solo articolo, in cui l’Ars recepisce interamente la riforma nazionale; oppure un ricorso della Regione in Corte costituzionale avverso l’impugnativa. Per la prima soluzione propenderebbero, oltre al presidente Giovanni Ardizzone (che ne ha discusso ieri sera in una cena catanese col sindaco Enzo Bianco), anche buona parte del Pd – soprattutto i renziani – e degli altri alleati. Il governatore Rosario Crocetta, invece, punterebbe sulla difesa dell’Autonomia siciliana e dunque spinge sul ricorso. In entrambi i casi le elezioni fissate per il prossimo 29 novembre sono fortemente a rischio. Del resto era stato il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, ad anticipare in un’intervista al nostro giornale la linea: «Tutte le differenze rilevanti rispetto alla Delrio sono chiari elmenti di incostituzionalità per la vostra legge regionale».
Ma quali sono i “bubboni” di illegittimità riscontrati dal Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio? Il primo elemento è costituito dagli organi di governo e dal loro sistema di elezione. «Il sindaco metropolitano – contesta il governo Renzi – non è di diritto il sindaco del comune capoluogo (come nella Delrio, ndr), ma è eletto in via indiretta (…) secondo una disciplina in cui l’unico elemento di ponderazione a favore dei comuni con maggior numero di abitanti è dato dalla previsione dell’elettorato attivo ai presidenti di consigli circoscrizionali del comune capoluogo». L’altro organo previsto in Sicilia, l’adunanza elettorale metropolitana, «non è previsto dalla legge statale», così come la giunta metropolitana. Che esiste nell’Isola, con «funzioni che la legge 56/2014 (la Delrio, ndr) attribuisce al consiglio. Un’altra scelta regionale – la conferenza metropolitana – «non è costituita a seguito di elezione indiretta (come il consiglio nella legge nazionale, ndr) in quanto composta di diritto dai sindaci della città metropolitana». Insomma: l’Ars ha creato un mostro a quattro teste, mentre la Delrio prevede una «articolazione organica e funzionale basata su tre organi». Ma non è soltanto una questione di numeri, perché nella riforma siciliana «la suddivisione delle funzioni (…) appare problematica rispetto alla connotazione degli organi per diversi profili».
Non è tutto. «Anche per gli organi del libero consorzio comunale si ravvisano rilevanti deroghe ai principi stabiliti dalla legge». Anche qui quattro organi, anziché i tre della Delrio. Tra i rilievi: nell’Isola è possibile che l’elezione indiretta sia trasformata dagli statuti in suffragio elettorale (ecluso dalla riforma nazionale) e in ogni caso anche la stessa elezione di secondo grado è fissata in Sicilia «senza introdurre gli elementi di ponderazione».
Una sgradita “innovazione” sicula è inoltre la giunta del libero consorzio, «non prevista dalla legge nazionale». Il Dipartimento Affari regionali tira le orecchie all’Ars anche per l’articolo 20: quello che prevede le indennità di carica. Nella legge nazionale «gli incarichi sono esercitati a titolo gratuito». E perché, si chiedono a Roma, gli amministratori siciliani dovrebbero avere dei “gettoni” per ciò che da Reggio Calabria in su si fa a costo zero per le casse pubbliche?
Un’altra parte della legge regionale che «deve ritenersi incostituzionale» è il comma 1 dell’articolo 27, che concede agli enti di area vasta la competenza nella gestione di «impianti di smaltimento di rifiuti e di depurazione delle acque». Questi poteri, per Palazzo Chigi, contrastano con l’articolo 117 della Costituzione e con una lunga serie di norme statali che invece individuano «unicamente» enti come gli «ambiti territoriali o bacini territoriali ottimali e omogenei». Analogo discorso per le competenze in «materia di ambiente», nell’articolo 33, con particolare riferimento alle attività di «prevenzione e controllo dell’inquinamento, anche mediante vigilanza sulle attività industriali». Per Roma «tale previsione appare costituzionalmente illegittima»: un vero e proprio conflitto di competenze, in nome dell’articolo 118 della Costituzione, poiché «la Regione in relazione alla materia “tutela ambiente ed ecosistema” non vanta alcuna competenza legislativa».
Nessun rilievo, invece, sull’ articolo 37 (i dipendenti delle ex Province mantengono posizione e stipendio, purché riferito «esclusivamente alle sole voci fisse e continuative») e sull’articolo 46 (deroga, per il 2015, sulla contabilità, a patto che «si riferisca esclusivamente ai Liberi consorzi comunali»).
Curiosità per i cultori di diritto costituzionale: contestata la facoltà, per i presidenti di seggio delle elezioni siciliane, di «avvalersi delle forze di polizia». Errore segnato con la matita blu: «invasione della potestà normativa regionale», oltre che «infelice formulazione». La Sicilia non può impiegare «rappresentanti dell’apparato amministrativo dello Stato in attività disciplinate in via diretta dalla Regione». Ma questo sembra un affettuoso buffetto, rispetto alla raffica di schiaffi costituzionali arrivati da Roma.
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