PALERMO – «Avrei tutto il diritto a pensar male, secondo la filosofia andreottiana. Ma siccome continuo a credere nella leale collaborazione fra le istituzioni, prima di esprimere giudizi definitivi voglio confrontarmi con il ministro Giovannini. L’ho già sentito nei giorni scorsi per l’autostrada Ragusa-Catania e presto ci vedremo per parlare anche di collegamento stabile sullo Stretto». È malcelata l’ira del governatore Nello Musumeci per la brusca battuta d’arresto imposta dal ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, alla realizzazione dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, all’insaputa della trattativa istituzionale in corso fra la Regione e il governo nazionale, in particolare con la ministra per il Sud, Mara Carfagna, sugli interventi in Sicilia da inserire nel “Recovery Plan”. Tuttavia Musumeci non perde il suo notorio aplomb .
«La Commissione tecnica – aggiunge però categorico Musumeci sull’incidente – avrebbe dovuto concludere i lavori già alla fine del 2020. E, dunque, si perde tempo a Roma, dove non hanno ben compreso che l’intero sistema di mobilità del Sud d’Italia ruota attorno al transito veloce tra le due coste siculo-calabre. Sul piano procedurale, eviterei facili suggestioni: il primo nodo da sciogliere è il contenzioso tra lo Stato e il soggetto che si è aggiudicata l’opera. C’è poi il tema della soluzione tecnica del collegamento (ponte o tunnel). E poi il finanziamento necessario. Il mio governo ha trasmesso già nei mesi scorsi a Roma, da finanziare con i fondi del “Recovery”, un elenco di infrastrutture prioritarie, con in testa l’opera sullo Stretto. E su questo ci confronteremo, senza ammettere furbizie e scorciatoie ad alcuno».
Si sta portando ovunque l’Alta velocità, mentre in Sicilia si vuole mantenere i traghetti. Che ne pensa?
«Il trasporto ferroviario in Sicilia, pur rivestendo un ruolo prioritario, rimane una delle grandi vergogne delle politiche per il Meridione del Dopoguerra. Sono decenni che si parla per l’Isola di elettrificazione, di raddoppio di binari e di adeguamento agli standard europei delle tratte ordinarie. Era tutto previsto nella “Legge Obiettivo” di vent’anni fa, ma le scelte progettuali di Rfi si sono mosse in tutt’altra direzione. Solo negli ultimi tre anni si muove qualcosa, sotto l’incalzare del mio governo e dell’assessore alle Infrastrutture Falcone. È mancata la volontà politica di vari governi centrali: a rendere poi tutto più complicato ci pensano le leggi e le procedure autorizzative: cose da criminali!».
L’Ue chiede di colmare il divario Nord-Sud. Se lo Stato non dovesse farlo, la Regione cosa potrebbe fare con le proprie forze? E i privati?
«Il recupero economico e sociale del Sud Italia non è solo una nostra esigenza. Noi siamo la proiezione del Continente nel Mediterraneo: più dotate e competitive saranno le nostre Regioni, maggiore sarà il protagonismo dell’Ue nel bacino afro-asiatico. Quanto all’intervento dei privati, lo spero proprio. Abbiamo già alcune interlocuzioni, ad esempio, per la realizzazione di un Porto-isola sulla nostra costa Sud e per altre iniziative. La pandemia ha rallentato, ma non impedito che si vada verso la definizione».
Lei ha in corso un confronto con la ministra Carfagna, che fra l’altro martedì e mercoledì prossimo terrà due giornate di ascolto sui progetti per il Sud. Cosa si aspetta?
«Conosco la tenacia e la perseveranza della ministra Carfagna. Mi è sembrata molto motivata e attenta alle nostre richieste. Che non sono cento ma pochissime. Sarebbe un gravissimo errore continuare con i metodi campanilistici e con la polverizzazione della spesa pubblica, come si è fatto con la Cassa per il Mezzogiorno: 20 mld del “Recovery” bastano appena per dare alla nostra Isola alcune delle infrastrutture essenziali, utili a superare la marginalità geografica ed economica rispetto al Continente».
Strategia per Mobilità e Aree interne: come pensa sia possibile integrare le risorse del “Recovery” con le altre fonti disponibili?
«La condizione di abbandono in cui si trovano 15mila km di strade provinciali costituisce un freno alla mobilità ed alla crescita delle aree interne. Il governo precedente, con una pseudo riforma, ha condannato le Province siciliane alla paralisi. Per le strade provinciali ho chiesto al governo Conte un miliardo da dare ad un suo commissario tecnico con poteri in deroga. Nulla. Ho ripetuto la richiesta al governo Draghi e colgo stavolta segnali di attenzione. Staremo a vedere. Nel frattempo la Regione sta intervenendo in oltre un centinaio di cantieri per migliorare la viabilità provinciale, pur non essendo nostra diretta competenza. Certo, le aree interne hanno bisogno anche di altro: infrastrutture immateriali, politiche di sostegno contro lo spopolamento, riqualificazione edilizia. È questo uno dei nostri obiettivi nella nuova programmazione dei fondi europei».
Un ottimo Pears e ora la candidatura al Centro nazionale di Alta tecnologia per l’idrogeno. La Sicilia avrà le infrastrutture per essere hub energetico del Mediterraneo, ma l’autorizzazione agli impianti di produzione da fonti rinnovabili è in forte ritardo. Come pensa di risolvere il problema?
«Abbiamo l’ambizione di dare alla Sicilia un ruolo da protagonista nel campo energetico. È mancata nel passato una sana e chiara programmazione nel campo delle rinnovabili. Ho già tenuto incontri con dirigenti interni e soggetti esterni per rimuovere le cause di ritardi e lungaggini ed ho affidato questo compito al nuovo assessore all’Energia, Daniela Baglieri, competente e motivata. Saprà fare bene e presto».
Tutti gli osservatori attribuiscono alla Sicilia un ruolo di hub logistico del Mediterraneo. Ma mancano una strategia unitaria dei porti e le Zes, bloccate dal contenzioso sollevato dalla Regione avanti la Consulta. Lei ha recentemente dichiarato di avere trovato un accordo con la ministra Carfagna…
«Le Zes dell’Isola possono dare un impulso a nuovi investimenti. L’assessore Turano vi ha dedicato tempo e passione nell’ascolto dei principali attori sul territorio. I commissari saranno nominati d’intesa con la Regione, come è normale che avvenga, e la ministra Carfagna ha dato la propria disponibilità in tal senso. La strategia dei grandi porti, come si sa, è di competenza nazionale, ma al nuovo ministro alle Infrastrutture ho già anticipato l’esigenza di affrontare finalmente la questione, senza alimentare sciocche gelosie.Ogni porto ha una sua diversa vocazione, che va incoraggiata con interventi mirati. L’unica cosa certa è che la Sicilia ha bisogno di un porto hub e di un capiente retroporto, se vuole finalmente intercettare buona parte del traffico mercantile del Mediterraneo».
Prima la “Finanziaria di guerra” del 2020 impantanata nella burocrazia, ora i tagli a quella in esame. Non si sente sconfortato, lei che nel fondare “Diventerà bellissima” sognava di cambiare la Sicilia e ora appare con le armi spuntate a due anni dalle prossime elezioni?
«Armi spuntate? Abbiamo messo in campo in questi anni quasi 4 mld di euro. Stiamo aprendo cantieri ovunque, accelerando al massimo la spesa pubblica. Neppure un euro è tornato indietro a Bruxelles. Altro che armi spuntate! La crescita della Sicilia non passa solo dalla Finanziaria, ma da una programmazione concreta che fissa obiettivi e risorse, nazionali ed europee. Anche i conti adesso tornano in ordine, dopo decenni di allegra contabilità, come bene evidenzia la Corte dei conti. Pazienza, stiamo pagando gli effetti di un passato che nessuno deve dimenticare, se non vogliamo ripeterlo. La Sicilia cambia lentamente, al passo con il cambiamento culturale dei siciliani. Lo so: è una strada lunga e tortuosa, ma il viaggio è già cominciato!».