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Pogliese, la tentazione delle dimissioni: ma forse l’addio sarà solo prima del processo

Il sindaco sospeso: «Stavolta ci sto pensando davvero». Oggi però sarebbe l'ultimo giorno utile per votare il 12 giugno

Di Mario Barresi |

A Catania è ormai diventata come la leggenda del crollo del ponte di tondo Gioeni. Che adesso non c’è più. Ma, prima che nel 2013 fosse abbattuto davvero (dal Comune), ogni tanto c’era qualcuno che di buon mattino lanciava la notizia (falsa) del disastro sulla circonvallazione, con  morti e feriti. Così è per Salvo Pogliese.

Da quando sono iniziati i suoi guai giudiziari, ciclicamente si rincorrono voci di imminenti dimissioni del sindaco (sospeso), poi smentite dai fatti. Ma stavolta è diverso.

«Ci sto riflettendo, ci sto pensando davvero», è la sofferta confessione consegnata ai pochissimi con cui in queste ultime 48 ore ha parlato.

Pogliese medita l’addio, per la prima volta dall’inizio della  telenovela giudiziaria: la condanna a 4 anni e 3 mesi per peculato nel processo a Palermo sulle spese da capogruppo del Pdl all’Ars; la sospensione dalla carica per effetto della legge Severino; la “sospensione della sospensione” e il reintegro, in pendenza di pronuncia della Corte costituzionale sulle questioni di illegittimità della norma, poi ritenute «infondate»; la ripresa della sospensione, fino al marzo  2023, disposta dal prefetto e contestata dalla difesa di Pogliese con un ricorso  che si discuterà il 10 aprile al tribunale civile. Che però ha già rigettato la richiesta di sospensiva. Con motivazioni tanto tranchant da anticipare tra le righe l’orientamento sul giudizio di merito.

Ecco, forse l’ultima tentazione di Pogliese scaturisce proprio dalla lettura di queste nuove carte. E dalla  consapevolezza che, al di là delle speranze sull’ultimo ricorso, l’unica via d’uscita resta quella politica: il “Salva-Salvo”. Quel disegno di legge presentato da Fratelli d’Italia alla Camera (anche il Pd ne ha depositato uno analogo per risolvere il caso del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà) per equiparare lo status di amministratore locale a quello di parlamentare nazionale ed europeo, cancellando la sospensione dopo il primo grado di giudizio. L’iter a Montecitorio è partito, ma ci vorrà tempo. E un accordo trasversale, con un prezzo politico che Giorgia Meloni (contraria al quesito referendario sull’abrogazione della Severino) dovrà pagare per riabilitare il suo sindaco. Venerdì  prossimo il braccio destro della leader, Francesco Lollobrigida, incontrerà i vertici siciliani di FdI. E il “caso Catania” sarà uno degli argomenti sul tavolo, assieme a strategie elettorali e riorganizzazione del partito di cui Pogliese è coordinatore per la Sicilia orientale. 

E allora lui, che non è certo tipo da decisioni di pancia, stavolta ci pensa davvero alle dimissioni. Con una prima scelta immediata: quando farlo? In queste ore un tam-tam incontrollato fornisce addirittura una data precisa: venerdì. Che, secondo queste voci, oltre alla data del summit di FdI,  sarebbe l’ultimo giorno utile per far sì che a Catania si voti il prossimo 12 giugno, assieme a Palermo e Messina. Ma, secondo fonti dell’assessorato regionale alle Autonomie locali consultate da La Sicilia, il termine in questo scenario scadrebbe oggi. Perché ci vogliono prima 20 giorni per rendere irrevocabili le eventuali dimissioni, per poi far decorrere i 60 giorni fino alla data del voto. A  Roma, come conferma l’assessore Marco Zambuto, risalgono però le quotazioni del 29 maggio come election day che il Viminale sollecita alle Regioni per unificare amministrative e referendum. Se fosse così, il tempo sarebbe scaduto: a Catania si voterebbe ormai nella primavera del 2023, a prescindere dalle scelte di Pogliese.

E quindi a questo punto c’è un’altra via, forse la più probabile. Secondo i minuscoli spifferi che filtrano a tarda sera, l’orientamento sarebbe di non lasciare subito, nonostante la forte tentazione e l’indubbio effetto-sorpresa dal punto di vista politico ed elettorale. Il sindaco sospeso aspetterebbe l’esito del ricorso del 10 aprile. Del resto, in caso di verdetto negativo, ci sarebbe l’exit strategy del  ddl in parlamento. Per arrivare comunque al bivio della scelta più dolorosa per chi ha sempre sbandierato «l’amore per Catania». Dimettersi, semmai, alla vigilia della prima udienza dell’appello a Palermo prevista il prossimo 9 giugno. «Per affrontare il processo da cittadino semplice». Lasciando la città a un commissario (nominato da Musumeci) e col consiglio comunale in carica. E i suoi fedelissimi in piena attività, senza prematuri trambusti elettorali. Pronti alla prossima sfida di Salvo. Non tanto l’Ars, piuttosto un seggio a Roma. Ma sempre con  l’obiettivo coltivato sin da militante del Fronte della gioventù: fare il sindaco di Catania. Un sogno realizzato e poi un incubo sospeso. Un pallino, quasi un’ossessione. E fra più di un anno – tempi e sentenze della giustizia permettendo – riprovarci. Per rientrare a Palazzo degli Elefanti dal portone principale.

Twitter: @MarioBarresi COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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