l'intervista
Pippo Gennuso, i guai giudiziari e il figlio nell’Antimafia all’Ars: «Nessun imbarazzo, una cricca voleva farmi fuori»
L'ex parlamentare: «Ho il casellario pulito: una decina di volte già archiviato o assolto... La mia vita al setaccio, ma non hanno trovato nulla»
Pippo Gennuso, suo figlio Riccardo è stato eletto vicepresidente dell'Antimafia regionale. Nota a margine: siete entrambi a processo a Palermo per estorsione… «Del processo a Palermo bisogna conoscere gli atti prima di poter giudicare. Io e mio figlio siamo vittime di una denuncia temeraria, soltanto perché abbiamo denunciato e fatto arrestare la famiglia mafiosa dei Vernengo. Chi ci ha denunciato ha sbagliato il tiro, perché avevano un contenzioso con i precedenti proprietari del Bingo di Palermo. Abbiamo una chiara e dettagliata relazione del legale di mio figlio, che verrà depositata in commissione Antimafia alla prima seduta utile».
Che effetto le fa vedere La Vardera come altro vice della commissione ? Da "iena" tv, il deputato di De Luca non è stato tenero nei suoi confronti… «Non mi fa alcun effetto. Quel tipo di giornalismo aggressivo e violento lascia il tempo che trova. Spero per lui che sia all’altezza del ruolo che oggi occupa».
Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Ma non pensa che il suo curriculum giudiziario possa mettere imbarazzo il neo-vicepresidente dell’Antimafia? «Nessun imbarazzo. Non capisco…».
Carrellata dei suoi precedenti. Tralasciando alcuni errori di gioventù, lei è stato arrestato nel 2018 dalla Dda di Catania per voto di scambio politico-mafioso, poi l’aggravante mafiosa è caduta al Riesame. Nel 2019 ha patteggiato due anni e due mesi per traffico d’influenze in un filone del “sistema Siracusa”… «Eh, no: la devo interrompere. In quest'ultimo processo sono stato assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari. A questo punto le esibisco il mio casellario: per la giustizia italiana sono “pulito”, non ci sono trascrizioni di condanne passate in giudicato».
Un cittadino al di sopra di ogni sospetto, per citare il celebre film… «Mi sono dovuto difendere a mani nude nelle aule dei tribunali, talvolta ignaro anche delle ipotesi di reato che mi venivano contestate. Ho incassato una decina tra assoluzioni e archiviazioni. Ma i danni che ho subito sono incalcolabili. Danni morali ed economici, oltre che politici».
Si riferisce alla sua ultima legislatura all’Ars, la quarta della serie, interrotta ai sensi della legge Severino? «Lei parlava prima del “Sistema Siracusa”, un’organizzazione di malaffare, di corruzione, che ha visto coinvolti avvocati, uomini d’affari e anche giudici. Bastavano le mazzette per sistemare le controversie, anche i processi. Ecco, io sono rimasto vittima di un “micro sistema Siracusa”. Una persecuzione giudiziaria che non ha portato a nulla…».
Si spieghi meglio, le sue accuse sono troppo generiche… «La mia ascesa politica, partendo da una piccola realtà qual è Rosolini, ha avuto una reazione immotivata. Così si è formata una cricca che avrebbe dovuto distruggermi».
Una cricca? «Si tratta di cinque-sei persone che si sono inventate di tutto e di più, sotto un’unica regia che ritengo sia prettamente locale. La mia vita è stata passata al setaccio e mi hanno finanche accusato di avere legami con la mafia. Meno male che io i mafiosi non solo li ho denunciati quando hanno tentato di estorcermi del denaro, ma li ho pure mandati in carcere. Hanno indagato nei miei confronti per voto di scambio e pure per riciclaggio. È stata violata ripetutamente la mia privacy con intercettazioni, pedinamenti, informative fantasiose. I “complottisti” non hanno trovato un bel nulla».
Da alcune intercettazioni, al di là dell’esito penale, emerge un quadro opaco. E l’ipotesi di voti comprati… «Una cosa sono i processi e le sentenza, un’altra le telefonate date in pasto ai giornali. Tutto questo spero non avvenga più, grazie alla riforma annunciata dal ministro Nordio che ha parlato di “abuso delle intercettazioni”, e con la separazione delle carriere dei magistrati, i pm debbono rispondere al ministro della Giustizia».
Ma in vent’anni di politica non c’è proprio nulla che non rifarebbe più? «Ripeterei ogni cosa. Ho potuto commettere qualche errore, ma sempre in buonafede e mi sono battuto a difesa di quanti non hanno voce per fare valere i propri diritti».
Ha aperto un contenzioso con la Banca agricola popolare di Ragusa per una vicenda legata alla vendita di titoli poi non rimborsati. E s’è preso pure una querela per diffamazione… «Precisiamo subito che il giudice ha archiviato il procedimento perché il mio diritto di critica era sacrosanto. Poi perché anch’io mi ritengo un truffato dall’istituto di credito e per dare voce a ventimila risparmiatori che per l’acquisto di quelle azioni sono finiti sul lastrico. Se un deputato non difende la propria comunità contro i poteri forti, è meglio che se ne stia a casa e non faccia politica».
Ha trasferito il pacchetto di voti a suo figlio Riccardo, eletto con Forza Italia all’Ars. E lei ha appeso il volantino elettorale al chiodo. Anche perché nella condanna per truffa al consorzio idrico Granelli, oltre ai cinque anni di pena, c’è anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici… «È soltanto il primo grado, poi si vedrà. Intanto sono impegnato nella mia azienda agricola di San Basilio, a Ispica. Ma la politica resta una passione».
Un consiglio lo accetta? «Lo ascolto».
Perché non fa come la buonanima di De Mita o come Mastella? Se superasse l’interdizione, chiuda la carriera da sindaco del suo paese, Rosolini… «Non ci penso affatto. Ho ancora qualche obiettivo da portare a compimento e mio affido al buon Dio per coronare questo mio desiderio». Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA