Urne chiuse, vincitori e vinti, amministrazioni e consigli comunali in via di definizione e il dato elettorale che premia il centrodestra e penalizza il centrosinistra. Ma perché Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle non sanno più parlare agli elettori siciliani? O perché trovano la quadra i partiti di centrodestra?
La Sicilia lo ha chiesto a Livio Gigliuto, catanese, presidente esecutivo dell’istituto Piepoli, l’istituto di ricerca indipendente che ha analizzato il voto nei quattro capoluoghi siciliani chiamati alle urne: Catania, Ragusa, Siracusa e Trapani.
«La prima domanda che ci dobbiamo porre è: chi le vince le elezioni? Ovviamente non c’è una sola ricetta, ma nella maggior parte dei casi a raggiungere la vittoria è un grande candidato che anima un gruppo coeso. C’è un’alternativa, per certi versi opposta: può accadere che sia un gruppo unito e coeso ad animare un candidato e condurlo alla vittoria. Quel che è certo è che le elezioni comunali, tra le amministrative, sono quelle in cui è più importante il ruolo del potenziale sindaco. I cittadini il sindaco lo sentono, vogliono “toccarlo”, potersi fidare. Vogliono avere il tempo di immaginarlo a capo della città, familiarizzare con l’idea che quella persona possa guidarli per almeno cinque anni, affrontando e risolvendo i problemi della loro vita quotidiana. Il Sindaco per gli italiani, e ancor più per i siciliani, è come il medico di famiglia: quando qualcosa va male, qualunque cosa sia, il primo che pensi possa risolverla è lui.
E perché questo processo di familiarizzazione si compia, ci vuole del tempo. Per questo, più le campagne elettorali si fanno brevi (perché le coalizioni decidono sempre più tardi le candidature), più gli elettori si trovano costretti, loro malgrado, a scegliere sulla base di sensazioni, criteri legati alla politica nazionale o alla solidità che percepiscono nelle coalizioni. Se i candidati vengono presentati a poco più di un mese dal voto, gli elettori tenderanno a votare per l’area politica che sentono più vicina, quella che sembra più coesa o il candidato che ha fatto loro un’impressione migliore nel poco tempo a disposizione. Ed eccoci al vero tema di queste elezioni amministrative, che ci consegnano un quadro in cui il centrosinistra, in mezzo all’ondata di consensi verso la premier (apprezzata ancora dal 48% degli italiani, più del giorno del giuramento) ha fatto fatica a raccontare ai cittadini una storia alternativa credibile, non solo in Sicilia ma in tutto il Paese».
«Ma a cosa è dovuta questa scarsa presa? Il peccato originale del centrosinistra sembra essere, almeno nella percezione dell’opinione pubblica, una scarsa concordia e coesione tra i soggetti che compongono la coalizione, e in questo la Sicilia non fa eccezione. Questa circostanza è aggravata dal fatto che non sempre il centrosinistra si presenta con la stessa compagine: in alcune città presenta candidati comuni con il Movimento 5 Stelle, in altre con il Terzo Polo, in altre ancora propone coalizioni diverse. Gli elettori, insomma, fanno fatica a “ricordare la formazione” del centrosinistra, per usare un gergo sportivo. Come già avvenuto in altre occasioni, anche in questo caso – quando presente – quella tra Pd e Movimento 5 Stelle è sembrata più un’unione nata da una necessità aritmetica che il primo passo di un cammino comune. I due elettorati, tra l’altro, tendono ancora a guardarsi con sospetto, senza riconoscere nell’altro un alleato naturale. Come ampiamente dimostrato, insomma, in politica la somma non sempre fa il totale, soprattutto nelle elezioni comunali».
«Gli elettori le divisioni le colgono e le hanno colte anche in Sicilia: a Trapani il sindaco uscente Giacomo Tranchida, che nelle passate elezioni era sostenuto anche dal Pd, godeva di un consenso personale che, nonostante le diatribe interne a quel mondo, è riuscito a mantenere anche in questa occasione, ma con proporzioni decisamente inferiori. A Siracusa la candidata del Partito Democratico Renata Giunta non ha raggiunto il ballottaggio ma, sommando il suo consenso a quello del sindaco uscente, esponente del Terzo Polo, avrebbe potuto battere il centrodestra già al primo turno. Adesso, invece, il sindaco uscente dovrà affrontare il ballottaggio contro il candidato del centrodestra e dovrà farlo da inseguitore, partendo da uno svantaggio piuttosto rilevante. Infine Catania, in cui il centrosinistra è riuscito a presentare agli elettori una coalizione variegata di cui però non faceva parte il Terzo Polo. È riuscito a farlo però solo nelle ultime settimane prima del voto, lasciando poco tempo agli elettori per conoscere il progetto e il candidato sindaco Maurizio Caserta».
«A questo punto è facile capire quale sia il “segreto del successo” del centrodestra in Sicilia e in tutto il Paese: prima di tutto, ha una morfologia pressoché identica da quasi 30 anni e – nella grandissima parte dei casi – riesce a presentarsi unito alla cittadinanza. E poi c’è la storia. I territori hanno una loro identità elettorale, che per quanto riguarda la Sicilia guarda tradizionalmente più verso il centrodestra che verso il centrosinistra. L’ulteriore riprova di ciò è il modo in cui si è soliti raccontare alcuni successi del centrosinistra in Sicilia: la narrazione è spesso stata quella di epiche vittorie in cui la forza dei candidati ha concorso in modo decisivo a convincere i cittadini a cambiare. Così è stato nei casi emblematici di Enzo Bianco a Catania e di Leoluca Orlando a Palermo, e successivamente a Messina con Renato Accorinti, che erano riusciti, nelle loro passate esperienze elettorali, ad attrarre anche quote rilevanti di elettorato distanti dai loro steccati, superando così i limiti strutturali dell’elettorato siciliano di centrosinistra».