CATANIA – Con buona pace dei catto-dem, c’è chi lo considera «un aborto annunciato». Davide Faraone, in Sicilia, era «un segretario nato morto». Al netto del cinismo appena sussurato, gli Zinga-boys siciliani brindano alla rottamazione del nemico renziano. Già «sfiduciato di fatto, da mesi» dal Narareno che «non gli concesse il simbolo alle amministrative» e «non gli fece firmare la lista per le Europee». La difesa leonina di Faraone? «Solo un modo per accreditarsi come riferimento meridionale della sua corrente, e garantirsi un seggio alle prossime Politiche, se restano nel Pd», è la maliziosa spiegazione di chi esulta sullo “sbianchettamento” di un congresso regionale «che di fatto non c’è mai stato», come commentano nelle chat gli esponenti di spicco dell’area di Nicola Zingaretti. Già pronti – sia gli intramontabili big, sia gli emergenti – al «nuovo Pd anche in Sicilia».
L’unico a esprimersi è Antonello Cracolici: «Io non riesco a gioire», esordisce un po’ a sorpresa su Fb. Ma chiarisce: «Abbiamo perso un anno». Né alt al congresso incriminato, né «segretario unitario di ricostruzione». E ora «siamo al punto di partenza, ma con una situazione peggiorata». E chi ha sbagliato deve pagare. E «non mi riferisco solo a Faraone» ma a quelli che «peggio e più di lui, mossi da rancore e bramosia di potere hanno devastato tutto e tutti».
E da qui si riparte. Venerdì Zingaretti proporrà alla direzione il commissario per la Sicilia, che «non sarà un siciliano». Sul tavolo c’è sempre il nome di Stefano Vaccari, responsabile dell’organizzazione, ma salgono le quotazioni di Roberto Montanari e di Alberto Losacco, membri della direzione, entrambi di AreaDem. «Ma sarebbe meglio che il commissario non fosse uno dei nostri», auspica un franceschiniano doc. Consapevole, forse, della resa dei conti annunciata contro il leader siciliano della corrente, Peppino Lupo. Sotto minaccia di sfiducia da capogruppo all’Ars da parte dei renziani “rottamati”.
Del resto, l’ex segretario Fausto Raciti, oltre a brandire le carte bollate sul benservito a Faraone («vista l’anomalia di un unico grado di giudizio, l’unico posto in cui può essere contestato è un tribunale»), attacca a testa bassa Lupo, capogruppo «nonostante le abbondanti ragioni politiche che avrebbero dovuto indurre – sostiene il deputato orfiniano – almeno una riflessione sull’opportunità di uno spontaneo passo indietro».
Lupo non replica. E prepara, magari puntando sulla stessa Teresa Piccione, rivale-martire del renziano eletto illegittimamente, il dopo-Faraone. Ma prima c’è bisogno di «un commissario ad acta». Con una road map ben precisa: lanciare il tesseramento già a settembre, «nell’unica regione d’Italia in cui siamo fermi al 2017» e poi indire i congressi di circolo e provinciali in autunno. Per arrivare, fra fine anno e il 2020, al «vero congresso regionale». In cui, a sfidare gli zingarettiani oggi gongolanti, potrebbe essere anche Luca Sammartino, silenzioso in queste ore, oggi più che mai leader dei renziani. Purché “Mr 32mila preferenze”, col chiodo fisso del polo dei moderati, resti in un partito un cui nulla, d’ora in poi, è scontato.
Twitter: @MarioBarresi