Pd, Faraone e la scissione dei renziani: «Colpa di una deriva stalinista…»

Di Mario Barresi / 16 Settembre 2019

Davide Faraone, senatore ultrarenziano del Pd, ha già pronte le valigie per la scissione?

«Noi vogliamo che non si smarrisca la stella polare riformista dei primi mille giorni del governo Renzi. Oggi, nel partito, notiamo un’involuzione. A partire dal lessico: ho sentito parlare di “imprenditori padroni”. I lavoratori sono nel nostro cuore, ma per noi gli imprenditori sono lavoratori».

Insomma, questo Pd non vi piace. Ed è pronta la separazione consensuale.

«Ci sembra schiacciato a sinistra, rischia di diventare un grande Leu e sin troppo appassionato ad alcune posizioni radicali del M5S. C’è un patrimonio riformista e liberale, legato non solo al Jobs Act e all’impianto istituzionale del referendum, che il Pd deve salvaguardare. E del quale noi siamo sentinelle. Ma certo, se si continua così…».

«Se si continua così…», voi renziani farete la scissione dal partito.

«Lo capiremo, lo decideremo alla Leopolda. Ma, certo, questo non è il Pd di Renzi, ma non è più neppure quello di Veltroni. Bisogna costruire qualcosa di nuovo, il Paese ne ha bisogno».

Non c’entra nulla la delusione di Renzi che non ha avuto i cinque sottosegretari che voleva?

«Nulla. Matteo non s’è occupato di cariche. E poi una decisione del genere, quando si prende, è radicata su ragioni politiche profonde. Magari legate a una deriva, che in Sicilia ad esempio, ha avuto atteggiamenti stalinisti nella mia vicenda. In un partito plurale si accetta la diversità. Io, da uomo più vicino a Renzi all’epoca premier e segretario, in Sicilia avevo Raciti segretario e Crocetta governatore…».

Nemmeno per lei un posto sottosegretario, magari come risarcimento…

«Me l’hanno proposto, ma è un’idea che non ho mai preso in considerazione. Io il sottosegretario l’ho fatto più volte: non è una sigla a vita. Lo si fa per passione, perché si crede in un progetto. E le dico di più: per me, come carica risarcitoria, sarebbe stata ancor meno esaltante».

Non sembra entusiasta del nuovo governo. E dire che è stato proprio Renzi la scintilla del patto giallorosso…

«Renzi parlava di un governo istituzionale per scongiurare pesanti conseguenze economiche e recuperare i rapporti con l’Ue. Ora c’è chi lavora addirittura ad alleanze con grilini alle Regionali, mutuando il modello di “nuovo Ulivo” con dentro M5S e Leu. Mi sembra si stia correndo troppo».

Cos’è, un rigurgito di autocoscienza di quando diceva «mi cacciano da segretario del Pd siciliano perché ostile all’inciucio col M5S» qualche giorno prima che Renzi lanciasse l’accordo?

«Io dicevo che mi cacciavano per questo, ma anche per la mozione si fiducia a Salvini e soprattutto in quanto renziano non allineato. Confermo le tre ragioni. Ma era un’altra fase. Nessuna contraddizione: chi non ha peccato scagli la prima pietra. Non c’è coalizione o partito che oggi non abbia cambiato idea».

Il “così fan tutti” non le sembra poco come autocritica?

«No, io faccio autocritica, anche rispetto al sistema politico. E comunque questo governo era necessario. E alcuni primi passi, come gli approcci del ministro Gualtieri e sui temi di migranti e Ong, mi sembrano positivi. La squadra, tranne qualche eccezione, è buona. Si può fare bene».

Fra le «eccezioni» annovera anche il suo ex acerrimo nemico Cancelleri, viceministro ai Trasporti?

«Gli faccio un in bocca al lupo. E gli assicuro, così come a tutto il resto del governo, collaborazione sui temi del Sud e della Sicilia. La priorità non dev’essere più l’immigrazione, ma l’emigrazione dei nostri giovani. Se io avessi avuto, da sottosegretario, il 50% della collaborazione che darò ora…».

Il Pd siciliano non ha neppure un sottosegretario. Può bastare l’alibi di avere Provenzano ministro del Sud?

«Il Pd siciliano è scomparso. Quando dovevano cacciarmi facevano un’intervista al giorno. Oggi dibattito zero. I toscani e i piemontesi hanno alzato la voce per l’assenza di sottosegretari, i siciliani no. Provenzano è un ministro competente, ma è uomo dei palazzi romani e di Svimez, non espressione del Pd siciliano».

Il capogruppo all’Ars Lupo l’ha invitata a ritirare l’autosospensione dal Pd. Oggi più che mai non lo farà…

«Non ho alcuna intenzione di farlo».

Se lasciasse il partito non sembra che in Sicilia ci sia una folla di follower. Tanto più che Base riformista, che qui ha Sammartino come alfiere, è orientati a restare nel Pd. Magari lei si ritroverà con Miccichè…

«Da parte nostra non ci sarà alcuna cooptazione di nomenclature. Chi viene lo fa perché ci crede, con lo stesso spirito della prima Leopolda. rifiutando schemi vecchi come quelli che ha in testa chi s’è sempre imbarcato per interesse. Ripartiamo dalle idee e dai contenuti. E ciò vale per tutti».

Magari ai primi di ottobre, alla sua scuola politica “Futura” potrebbe fare talent scouting. Ha copiato l’idea di Renzi al Ciocco di Lucca?

«Veramente l’avevamo pensata prima noi. E volevamo metterla a disposizione del Pd, prima che mi cacciassero da segretario siciliano. La scuola “Futura” sarà un’iniezione di energia giovanile, con partecipazioni importanti, chissà che non venga fuori qualche anticipazione. Ma la nostra scelta sarà alla Leopolda».

Twitter: @MarioBarresi

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Redazione
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