Palermo – «Con l’aria che tira, più che un consiglio dei ministri ci vorrà un ring forse». Nonostante le apparenze, ha poca voglia di fare battute Gaetano Armao, vicepresidente della Regione e osservatore interessatissimo della riunione prevista oggi a Roma in cui il governo nazionale, almeno in teoria, dovrebbe dare il via libera alle richieste avanzate da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sul regionalismo differenziato.
A chiedere una settimana fa che si rompessero gli indugi è stato proprio il vicepremier Matteo Salvini. Nel frattempo, oltre alle tre regioni che si sono portate avanti con referendum e negoziati, anche Piemonte, Liguria, Puglia, Marche e Umbria hanno avviato, da gennaio a oggi, varie richieste sull’attribuzione di nuove competenze da parte di Roma, mentre la Campania di De Luca ha fatto un passo avanti e poi uno indietro sulla questione: «Al tavolo del confronto con il ministro Stefani – dice Armao- abbiamo ribadito la preoccupazione che questo percorso si sia svolto senza tenere conto della legge sul federalismo fiscale. Non ci può essere regionalismo differenziato senza perequazione fiscale e infrastrutturale e le proiezioni sugli effetti delle altre regioni».
Ci sono voluti due anni per attuare la norma, firmata venerdì dal decreto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che stabilisce che al Sud vada il 34% degli investimenti: «Di questo passo il divario così non si recupererà mai – prosegue l’assessore siciliano – già in questo momento gli investimenti al nord viaggiano con una percentuale del 6-8% in più rispetto alle nostre aree a economia depressa. Dov’è la coesione economica e sociale?». Tra sciatteria amministrativa, indolenza, tempi lunghi e richieste che avanzano, il saldo alla fine per le regioni come la Sicilia, rischia di essere pesantemente passivo. Un rischio che il governo siciliano non vuole correre. Il Mezzogiorno col piattino in mano, del resto, è un’immagine che Armao non accetta: «Non siamo in questo momento un Paese coeso, eguale, occorrono compensazioni, il divario, sulla base di queste premesse, si consolida e si cristallizza».
Il regionalismo differenziato rischia di essere, in un contesto in sé diseguale, la goccia che fa traboccare il vaso. Frenata dei consumi delle famiglie e degli investimenti aziendali senza aumento della spesa per investimenti al Sud produrrebbero il tasso di crescita del Pil, (0,7%) più basso del periodo 2015-2019: «Con le nuove competenze alle tre regioni che ne hanno fatto richiesta, ogni regione che gode già dell’autonomia statutaria valuterà cosa chiedere in più. Un riconoscimento imposto dalla clausola di maggior favore che estende automaticamente alle cinque regioni a statuto speciale», chiarisce l’assessore all’Economia della Sicilia. Senza contare che i piani di investimento di Rfi e Anas al Nord equivarrebbero a centinaia di milioni di euro in più per la manutenzione e la realizzazione di strade nuove e interventi sull’asse ferroviario. Una partita che taglierebbe certamente fuori il Centro-Sud: «Niente sconti insomma o partite al ribasso – chiarisce Armao – La Sicilia non se lo può permettere».
Proprio la materia che oggi è all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri infervora sia l’Armao tecnico, sia il politico, una transizione sempre più in corso e che per lui potrebbe accelerare con un impegno maggiormente caratterizzato dopo il voto delle Europee di domenica prossima: «Con il ring non si governa, si fa spettacolo, bello o brutto che sia, ma si fa solo spettacolo- commenta- Un tema del genere non può ricoprire il sapore elettorale di cui oggi si avverte l’essenza». E se i 5stelle, probabilmente anche oggi, porteranno avanti la melina che ha fatto imbestialire la Lega, è altrettanto vero che le tappe di questi ultimi sei mesi hanno mantenuto un andamento oscillante e ondivago. Qualche giorno fa il ministro per il Sud pentastellato Barbara Lezzi aveva ricordato che «il divario tra le Regioni va eliminato, è nel contratto di governo», avendo ben presente che toccherà alla prossima manovra recuperare il gap del 6% di investimenti (Il centro sud si ferma, come si è detto, al 28%), mentre a proposito di “falsa partenza” del regionalismo differenziato, già a febbraio la delegazione grillina di governo aveva messo in un dossier nero su bianco, tutte le controindicazioni.
Comincia invece a traballare, anche se ancora non viene del tutto meno un altro dei cavalli di battaglia a trazione antimeridionalista relativo al numero particolarmente consistente di impiegati della pubblica amministrazione anche nell’Isola. Come si cita nel rapporto Svimez il dato risulta allineato con quello statale (al 2016 53,7 dipendenti ogni mille abitanti, in Sicilia 54) anche per effetto della drastica diminuzione dei dopendenti regionali, molti dei quali andati in pensione, nell’ultimo biennio. Su una cosa Armao non ha molti dubbi, il negoziato aperto dalla Regione con lo Stato sull’Autonomia finanziaria, con un primo accordo portato avanti il 19 dicembre scorso: «Servono misure congrue previste dalla legge 42 del 2009 – prosegue l’assessore regionale- in modo armonico e secondo i contesti differenziati per singola regione».
Oggi comunque se ne dovrebbe sapere di più, con una seduta dall’ordine del giorno folto che parte dal decreto Sicurezza anche se, ha commentato Salvini durante un comizio della Lega: «Se c’è il Cdm, perché l’ho minga capì amò». E non serve nessuna traduzione per capire che anche oggi finirà con il classico zero a zero che accontenta tutti, nel gioco delle parti della politica 2.0.