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il retroscena

Ars, il centrodestra e l’inciucio con De Luca e il M5S per mettere all’angolo Miccichè

Dal dialogo “spiato” alle conferme dal centrodestra: la matrice (e il prezzo) dei voti per l'elezione di Galvagno alla presidenza dell'Assemblea regionale  

Di Mario Barresi |

Nulla è come appare. E dire che il pallottoliere dell’Ars, subito dopo l’elezione di Gaetano Galvagno alla seconda votazione, sembra di lettura elementare. In tutto 43 voti per il giovane pupillo paternese di Ignazio La Russa, frutto di un’operazione algebrica di sottrazione (i malpancisti del centrodestra che danno quattro voti a Giorgio Assenza e uno a Riccardo Gennuso) e di addizione (gli otto del doppio gruppo di Cateno De Luca). Del resto, il Pd è al di sopra di ogni sospetto: ognuno degli 11 deputati vota per se stesso, “firmando” di fatto la scheda, mentre il numero di bianche corrisponde esattamente agli 11 del gruppo del M5S. Tutto ciò col consueto balletto della accuse (i dem parlano apertamente di «soccorso messinese», mentre gli Scateno-boys smentiscono indignati), ma senza troppi patemi d’animo. Come se in fondo il risultato fosse scritto.

Tutto troppo semplice per essere vero. E in effetti, il cronista, intrufolatosi nelle stanze della presidenza poco prima del brindisi al quale Galvagno ha invitato tutto il centrodestra, s’imbatte in un dialogo dietro la tenda del balcone di uno degli appartamenti reali. I due protagonisti, che non si accorgono della presenza indiscreta, sono Marco Falcone, il forzista più vicino a Renato Schifani dopo essere stato il più leale con Nello Musumeci, e Tommaso Calderone, il più raffinato adepto di Gianfranco Miccichè. «Gianfranco ha combinato l’ennesimo pasticcio e ora ne piange le conseguenze». Falcone cita una definizione del leader forzista di Totò Cardinale: «Un autolesionista che si fa male da solo, condannandosi all’inconsistenza». Calderone ribatte dicendo che «però gliel’avete portato voi, perché non può essere trattato così: Renato ha sbagliato tutto con lui».

A questo punto, però, intercettiamo la frase-chiave: «Con 40 voti potevamo stare tranquilli, senza avere bisogno di nessuno. E adesso, invece, De Luca ci ha dato un segnale chiaro e poi ci sono i grillini a cui dobbiamo pagare un prezzo», il sussurro con la erre moscia. «L’avete voluto voi. E poi l’accordo con Cateno e Di Paola mica l’ho fatto io…», la replica. Alt. I conti non tornano più. E, sgattaiolati dal salone delle feste, cerchiamo conferme su questa nuova pista. Trovandole, in almeno tre autorevoli fonti del centrodestra. Ognuna delle quali ci racconta un pezzo della vera storia andata in scena ieri a Sala d’Ercole. Una doppia trattativa con M5S e De Luca per un “aiutino” a Galvagno. Che da un lato sfrutta il rapporto di «amicizia fraterna» con l’ex deputato Danilo Lo Giudice, delegato a gestire i due gruppi. E dall’altro, col placet di Renato Schifani (informato di tutto e ben lieto di sterilizzare la fronda di Miccichè, ufficialmente snobbato con un «mi occupo di governare la Sicilia, il mio obiettivo è governare bene» in cui sembra risuonare la voce del Musumeci dei tempi d’oro), alcuni esponenti della maggioranza arrivano a un accordo con i grillini, sancito da un eloquente scambio di sorrisi fra Nuccio Di Paola e Luca Sammartino, colto per caso all’ingresso.

La previsione iniziale degli sherpa della maggioranza, dopo la prima votazione a vuoto, è di ricevere 6 voti da De Luca e 5 dai grillini. Alla fine il travaso è minore: «Quattro voti dagli uni e quattro dagli altri». I quali, sommati ai 35 del centrodestra, fanno esattamente 43. I franchi tiratori sarebbero quattro o cinque: tutte schede bianche, attribuite ai fedelissimi di Miccichè, magari con un malpancista di FdI, dopo la virtuale “rottamazione” di Giusi Savarino e Giorgio Assenza dalla giunta, per dare spazio – fino a ieri mattina uno scenario dato per «certo» – a Elena Pagana, moglie di Ruggero Razza, e a Francesco Scarpinato, entrambi su «forti sollecitazioni dei vertici nazionali del partito». Potrebbe essere di questa matrice il voto a Gennuso. Anche se per alcuni è lo stesso deputato forzista a votarsi (ma il padre Pippo, intercettato in corridoio, smentisce), per altri è una preferenza-civetta annunciata da De Luca per restare personalmente fuori dalla mischia. «Se Gianfranco avesse avuto più coraggio l’avremmo sostenuto, ma noi abbiamo votato scheda bianca alla seconda chiama », giura l’ex sindaco di Messina. Ma dall’entourage del leader forzista si apprende invece che la resa è arrivata proprio «dopo che abbiamo scoperto che c’era l’accordo con De Luca e i grilini». 

Il dato politico, comunque, non cambia. Il centrodestra elegge Galvagno non con una stampella, ma con due. Compreso il M5S. Qualche sospetto, dopo il vertice delle opposizioni, nel Pd serpeggiava già: «Perché Di Paola ha detto di no alla proposta di firmare tutte le schede facendo votare ogni deputato per se stesso?». Il referente regionale grillino ribatte con una semplice tesi: «Preferivano questa strategia perché non si fidavano di loro stessi; le nostre 11 schede bianche parlano chiaro».

Ma nel centrodestra c’è più di un big che attesta il doppio scambio. Quello di De Luca è stato «un raffinato segnale politico a Schifani: se tu hai problemi con i tuoi, noi possiamo aiutarti». Quello del M5S sarebbe invece un sostegno con incasso cash: la vicepresidenza dell’Ars proprio per Di Paola, in attesa della presidenza della commissione Antimafia a cui aspirerebbe però anche il deluchiano Ismaele La Vardera. Fantapolitica? Coperti dal segreto dell’urna, i diretti interessati smentiranno la ricostruzione con sdegnosa caparbietà. Ma la vera prova non è agli atti della seduta di ieri: bisognerà aspettare mercoledì prossimo, con l’elezione di vicepresidenti, questori e segretari, per capire se questi conti tornano. E se l’inciucio di cui si accusa “Scateno” non sia invece un inciucione che coinvolge anche i pentastellati. Vedremo. Twitter: @MarioBarresi COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA