PALERMO – Un incontro «cordiale e molto rilassato», lo descrivono da entrambe le parti. Martedì pomeriggio, dopo le 16,30. Quasi un’ora, in una stanza defilata. Una Ztl rispetto al traffico di politici (e soprattutto di giornalisti) in transito a Palazzo Madama. Di fronte, per la prima volta dopo tanto tempo, Matteo Salvini e Nello Musumeci. Con Ruggero Razza nel ruolo di testimone interessato e osservatore non silente.
Il leader della Lega, azionista di maggioranza relativa del centrodestra nazionale, e il governatore siciliano, eletto da tutta la coalizione ma ora alla guida di una nave dalla quale il Carroccio è sceso dal un bel pezzo.
Ma cosa dovevano dirsi (e cosa si sono detti) Salvini e Musumeci? Hanno parlato di Sicilia, certo. Delle emergenze finanziarie della Regione, della «distanza preoccupante» del governo Conte – quello sempre giallo, ma con i rossi al posto dei verdi – dalle emergenze isolane. Della difficoltà di avere «qualcuno a Roma che ti ascolti davvero, senza far pesare le differenze politiche». Il “capitano” ascolta. Prende appunti mentalmente.
Si parla di scenario nazionale. «Questo governo, dopo la manovra, non durerà molto», è l’opinione condivisa dai due interlocutori. Con la consapevolezza che il 2020 potrebbe essere l’anno buono, quello del voto e della vittoria.
Si parla degli equilibri di centrodestra, di Forza Italia che si svuota come un circolo di combattenti e reduci, dei molti berlusconiani che salgono e saliranno sull’Arca di Matteo. Come Nino Minardo, astro nascente del leghismo siculo, accolto a braccia aperte dopo il trasloco da Forza Italia.
Si parla di Giorgia Meloni, amabilmente detestata da entrambi, e della crescita esponenziale di Fratelli d’Italia. A quanto può arrivare, dove vuole arrivare?
Si viene al punto. Perché uno dei motivi dell’incontro di martedì pomeriggio (chiesto da Musumeci dopo un fugace colloquio nel backstage del comizio di piazza San Giovanni) era confrontarsi con il grande capo del Carroccio su una scadenza che si avvicina. «Matteo, a gennaio si terrà l’assemblea del mio movimento. Io non avrei fretta di trovare una collocazione nazionale – precisa il leader di DiventeràBellissima – eppure molti dei miei spingono perché si prenda presto una decisione». Salvini sgrana gli occhi, ma sa già dove il suo interlocutore vuole andare a parare. E così Musumeci viene al sodo: una delle opzioni sul tavolo sarebbe «intraprendere un dialogo privilegiato che ci porti a una federazione con la Lega». Non è l’unica strada, ma è quella più logica. A maggior ragione dopo il rifiuto, poco prima delle Europee, di sostenere FdI, scegliendo una neutralità ufficiale che ha di fatto creato una distanza quasi incolmabile con Meloni, soprattutto dopo l’uscita di Raffaele Stancanelli da DiventeràBellissima. Certo, non sono pochi – per storia politica personale e per idiosincrasia salviniana – i Nello-boys che preferirebbero una sponda meloniana.
Si entra nel dettaglio. Un matrimonio si fa in due. E Musumeci chiede a Salvini il “permesso” di proporre ai suoi l’accordo con la Lega. Il governatore continua a ripetere i suoi di «non avere un urgente bisogno di una collocazione nazionale, perché per me la priorità resta governare la Sicilia e salvarla dal disastro». Ma sono in molti, nel suo ristretto club di confidenti e amici, a considerare il salto romano «non più rinviabile». Perché l’asse con un partito forte potrà garantire una sponda nel futuro governo nazionale, oggi inesistente. E anche perché c’è una classe politica, ben più lunga di una semplice generazione, che ha diritto di pensare al “dopo di lui” (lui inteso come Musumeci, politicamente) magari con uno sbocco romano. Più che per Razza (spesso tacciato di carrierismo personale per la sua ostinata risolutezza sull’accordo con la Lega), che il governatore vuole tenere al suo fianco fino al 2022, gli spazi si aprirebbero per il sindaco di Caltagirone, Gino Ioppolo, e per il neo-assessore a Catania, Enrico Trantino.
E Salvini cos’ha risposto? Nulla osta, per il leader leghista, sul “referendum” fra i musumeciani. Ma è ancora tutta da verificare l’applicabilità del modello di federazione “intima” col Partito sardo d’azione. «Andata avanti Nello, a gennaio facciamo il punto». Che non è proprio un “benvenuti a bordo”, ma non è neanche una porta chiusa in faccia. Matteo e Nello si rivedranno l’anno prossimo, diciamo. Ma prima, forse già fra Natale e Capodanno, Musumeci e Razza vedranno Candiani. Che martedì li ha incrociati al Senato. Il commissario regionale della Lega sta preparando la “fase 2” dell’onda verde al di sotto dello Stretto. «Noi non governiamo la Sicilia. Quando lo faremo, i siciliani se ne accorgeranno», continua a dire per prendere le distanze da una coalizione siciliana fondata su un rapporto di forze per lui “anacronistico”. «Sono lieto che finalmente Musumeci abbia compreso che la Lega è l’unica novità, ma soprattutto l’unica prospettiva, dell’Italia e della Sicilia prima ancora che del centrodestra». Anche in questo caso non è un tappeto rosso srotolato a Musumeci ma non più quell’«abisso che ci separa» evocato da Candiani in un recente colloquio col nostro giornale.
Insomma: qualcosa si muove. Anche perché il senatore di Tradate, ormai esperto di cose di casa nostra, sta per rompere il tabù del “non expedit” all’Ars. Nessuna campagna acquisti spregiudicata, niente mercato delle vacche. Ma un pensierino su un mini-gruppo a Sala d’Ercole i leghisti cominciano a farlo. Non certo imbarcando quelli di Ora Sicilia, ma mettendo in campo il forzista ibleo Orazio Ragusa (molto vicino a Minardo) o magari dando una chance a Vincenzo Figuccia, con l’apporto di qualche altro «veramente presentabile» del centrodestra. Due-tre deputati. Non di più. Senza chiedere assessorati, al netto dell’offerta di Musumeci nel “tagliando” della giunta previsto per giugno 2020.
«Sì è vero, vedrò il governatore presto», ammette Candiani. Precisando: «Ma non per parlare di Ars o di seggiole. Noi vogliamo parlare della Sicilia, in fondo a tutte le classifiche nazionali dominate da regioni e città governate dai nostri amministratori. A pensarci bene anche Musumeci è in fondo alla classifica dei governatori. Noi vogliamo aiutarlo, vogliamo aiutare lui e la Regione su temi concreti. Ci sono molte cose che non vanno, c’è tanto da cambiare». Ad esempio? «La prima cosa che chiederò a Musumeci è di buttare quella sciarpa rossa che indossava l’altro giorno al Senato…». Se bastasse davvero soltanto questo, sarebbe tutto molto più facile.
Twitter: @MarioBarresi