Ci voleva una mosca, svolazzante con discrezione, per spiare quei due sguardi, qui dentro Palazzo d’Orléans. Magari quella mosca avrebbe colto l’emozione di Giancarlo Cancelleri, quasi imbambolato mentre faceva il suo ingresso – da membro del governo Conte su “nomina” di Di Maio – in quel posto dove ha provato a entrare per ben due volte, da governatore eletto dai siciliani, senza riuscirvi. «Ci sono entrato in altre occasioni, in questo posto. Ma stavolta è stato completamente diverso. Ci sono l’orgoglio e l’emozione, ma c’è soprattutto la responsabilità di essere uomo di governo che ha il dovere di dare risposte ai siciliani», dice l’ex vicepresidente dell’Ars a chi gli chiede cos’ha provato nello strano pomeriggio di ieri.
«Benvenuto viceministro, abbiamo grandi aspettative su di te». Magari quella mosca birichina avrebbe assistito all’accoglienza – definita «affettuosamente cordiale» dai suoi fedelissimi – che Nello Musumeci ha riservato al suo ospite, in quella che in una nota del portavoce della Presidenza viene insolitamente definita «visita di cortesia».
Le ruggini, fra il governatore e lo sfidante sconfitto alle Regionali del 2017, sono incrostazioni dell’anima. Un precipitato politico e umano di duri scontri in campagna elettorale. C’è chi vince (Musumeci) e chi perde (Cancelleri), ma senza la telefonata, a risultato acquisito, in cui lo sconfitto rende le armi al vincitore. Nessun fair play, da parte del grillino che stavolta, dopo aver lasciato spazio a Rosario Crocetta nel 2012, credeva di farcela davvero. «Non riconosco la sua vittoria, perché ha vinto grazie agli impresentabili», era il mantra pentastellato di quell’autunno di due anni fa. Né al presidente appena eletto importava più di tanto avere quel riconoscimento da parte di «un uomo che non stimo, perché non distingue la sfida politica dall’ingiuria personale», era la barriera – spigolosa e a tratti rancorosa – di chi non ha mai perdonato al rivale una frase. Buttata lì, quasi con nonchalance. Ma con l’effetto di uno sputo in faccia: «Gli abbiamo fatto fare il presidente dell’Antimafia soltanto perché stava vivendo il dramma della morte del figlio…».
Un’offesa all’intimità più dolorosa. Un’onta da lavare. Con silenzio e con l’indifferenza. «Quello lì per me non esiste: lui vuole essere mio interlocutore, ma non lo sarà mai», la fatwa di Musumeci. Mantenuta persino quando il leader carismatico del M5S regionale, nell’era del governo gialloverde, provò a sublimare gli ammiccamenti del governatore verso Matteo Salvini con l’idea del contratto di governo in salsa sicula: «Due penne e un foglio di carta vuoto». «Neanche per sogno», la risposta agli ambasciatori che già avevano organizzato – durante le vacanze di Natale dello scorso anno – una cena in campo neutro. «Con lui nemmeno un caffè. Neanche un caffè…».
Ma ieri la mosca che ronzava dentro Palazzo d’Orléans – non nella Sala degli Specchi, ma nella Sala Rossa, scelta più intima e conviviale – quel caffè l’ha visto versare. Sorseggiare. Fra sorrisi e distesi scambi di battute. Si chiamano «viceministro» e «presidente», ma si danno del tu. Il che era tutt’altro che scontato. «Un incontro serio». Seduti in salotto assieme agli assessori Marco Falcone (decisivo il suo ruolo di pontiere per organizzare l’incontro, inizialmente rimandato a data da destinarsi) e Ruggero Razza (che con le Infrastrutture non c’entra nulla, ma che ha sempre una certa influenza sulle scelte più delicate del presidente). E non è un caso che siano proprio i due a dare una narrazione positiva. «Un incontro che ci voleva, perché finalmente il governo regionale e quello nazionale possono avere uno spazio di confronto e degli interlocutori che si parlano con la stessa priorità: fare il bene della Sicilia», dice Falcone. «Non c’è alcun significato politico, ma un’unità di intenti istituzionali in un clima positivo che ha sancito una collaborazione», certifica Razza.
Magari alla mosca sbarazzina non sarà sfuggito il fatto che entrambi gli interlocutori, nel corso dell’incontro riservato, hanno espresso – seppur con parole diverse – lo stesso concetto: «Proviamo a lavorare assieme, evitando di sgomitare per metterci il cappello su ogni cosa». Magari non durerà, ma i buoni propositi ci sono tutti. Anche perché seppellire l’ascia di guerra, in fondo, conviene a entrambi. A Musumeci, ora orfano del punto di riferimento leghista al governo, per avere una sponda in un settore importante come le infrastrutture. E a Cancelleri, bersaglio del fuoco amico grillino (dalle critiche per il salto di poltrona alla gaffe del tavolo ministeriale su Cmc con sorella e cognato immortalati accanto), per avere un accreditamento istituzionale che gli consenta di fare il «ministro della Sicilia». Anche perché, sussurrano a Palazzo d’Orléans, «il ruolo di Giancarlo ora è cambiato».
E così il disgelo scioglie anche la chiacchiera. «Abbiamo affrontato soprattutto gli argomenti più importanti su strade e ferrovie, accennando soltanto a porti e aeroporti che ci ripromettiamo di approfondire in un prossimo incontro», racconta Cancelleri ai suoi vecchi colleghi del gruppo all’Ars. E dallo staff di Musumeci trapela che «il clima del confronto era talmente positivo e gli argomenti così importante che un’ora sembra essere volata via subito: i due avrebbero continuato ancora un po’ se non ci fosse stata la pressione dei giornalisti che chiedevano la loro presenza al punto stampa».
E così il governatore concede tempo («fino a fine mese», la richiesta) al viceministro affinché arrivi dall’Ordine degli ingegneri di Roma la valutazione per il progetto della Ragusa-Catania che l’Anas dovrà acquistare da Bonsignore. Nonostante sia la strada indicata dall’odiato Danilo Toninelli, Musumeci si lascia convincere. «Sarà gratis, i fondi ci sono. Ormai siamo avanti – gli dice Cancelleri – tornare indietro sarebbe un errore».
Anche sul commissario per le strade provinciali c’è un’intesa: il Mit non aveva previsto una convenzione Stato-Regione, che adesso ci sarà, assieme alla conferma del nome di Gianluca Ievolella. E Musumeci accoglie con sorpresa (ma anche con favore) la mossa annunciata dal viceministro sulla Siracusa-Gela: «Velocizziamo i lotti in cantiere e quelli in progetto, ma diamo anche un senso di compiutezza all’opera facendo partire il tratto finale da Gela a ritroso. Sarebbe un bel segnale». L’apice del feeling si raggiunge su Anas e Rfi. «Dobbiamo dimostrare che noi siciliani non abbiamo l’anello al naso e che non ci accontentiamo: tempi brevi e opere all’avanguardia». E allora persino il sogno del doppio binario ferroviario sulla Palermo-Catania non è più proibito. Il Ponte? No, su quello la distanza è ancora pressoché immutata. Come fra Scilla e Cariddi. Ma dopo l’alta velocità si vedrà. Chissà.
«Ne riparleremo, presidente». «Sì, ci sentiamo presto, viceministro». Magari la prossima volta saranno sdoganati persino i nomi di battesimo. Ma nessuno – nemmeno l’esterrefatta mosca di ieri – avrebbe mai immaginato che fra Nello e Giancarlo potesse scoppiare la tregua.
Twitter: @MarioBarresi