In gergo si chiama «prova di vasca». Quando, cioè, un vino viene assaggiato per capire come sta maturando. E ieri mattina un test di questo tipo è stato effettuato in uno dei più apprezzati stand del padiglione Sicilia. «Sta venendo bene, sono soddisfatto. Ma ancora deve dare il meglio di sé. C’è qualcosa da migliorare, sia in vigna sia in cantina», afferma – dopo un’attenta degustazione – il vignaiolo direttamente interessato. Che è Nello Musumeci. «Serve un altro po’ di affinamento in bottiglia», il verdetto finale, condiviso dagli esperti.
Il presidente della Regione, in visita al Vinitaly da lunedì, s’è concesso un’ora per una questione personale. Il primo assaggio del suo vino – prima annata stimata fra 400 e 500 bottiglie, «ma soltanto per distribuirle agli amici» – che sarà prodotto dalla cantina “Judeka” di Caltagirone. Nello spazio dell’innovativa azienda condotta da Cesare e Valentina Nicodemo, il governatore ha invitato pochi intimi ospiti (fra cui il dirigente regionale Dario Cartabellotta, che ha molto apprezzato) per aprire in anteprima un paio di bottiglie: Per ora non c’è l’etichetta, ma il nome sì. Si chiamerà, ovviamente, “Ambelia”, un brand nel cuore di Musumeci, che ha il suo piccolo vigneto in contrada Annunziata a Militello. Il “vino del presidente” (35% Nocera, un raro vitigno autoctono e 65% Nero d’Avola) viene da un terreno collinare con conduzione ad alberello. «Fa un passaggio iniziale in acciaio, poi un appassimento e infine un po’ di legno», spiega l’imprenditore Nicodemo, che per gestire la conduzione del vigneto e la vinificazione per conto di Musumeci s’è affidato a due giovani e talentuosi enologi come Giuseppe Bennardo e Matteo Todaro. «Il presidente Musumeci – rivelano i Nicodemo – è maniacale quando viene in vigneto o in cantina. Controlla tutto con meticolosa attenzione, parla con tutti gli operai e talvolta li rimprovera se c’è qualcosa che secondo lui non va».
Non l’ha assaggiato il suo “collega” Totò Cuffaro, veterano del Vinitaly. L’ex governatore fa il padrone di casa nel corner di “Tenuta Cuffaro”, dove ha ricevuto la visita del governatore in carica. Sono lontani i tempi in cui, da giovane e ambizioso assessore regionale all’Agricoltura, adottava la strategia di mangiare preventivamente la mollica di un intera forma di pane per potersi permettere una perfomance da record: visitare tutti gli stand delle cantine siciliane per salutare, baciare. E assaggiare. «Più che viticoltore, io mi sento un agricoltore», precisa il leader della Nuova Dc. Nel “feudo” di San Michele di Ganzaria, attorno al casale che prende il nome della moglie Ida, non troppo lontano dal “buen retiro” bucolico di Raffaele Lombardo, Cuffaro produce soprattutto fichidindia.
Ma anche «vini di nicchia, che mi danno grande soddisfazione». Blend con vitigni non siciliani, come il Petit Verdon e Traminer. «Avete amici qui a Verona? Mi sono rimaste decine di bottiglie e non me le riporto in Sicilia…», dice ai cronisti col solito sorriso spalancato. Che poi si vela di tristezza quando ricorda il metodo che usava in carcere: «Correvo in spazi angusti, facevo quasi dieci chilometri al giorno perché volevo assommare la distanza da Rebibbia all’Isola. E quando correvo chiudevo gli occhi e immaginavo di essere fra le pale di fichidindia e i filari dei miei vigneti». Ora, da libero cittadino, si occupa anche di allevamento: il “cane di mannera” e la “capra girgentana”. «Fa il latte più simile a quello materno, lo vendo a chi lo liofilizza per farne un prodotto da farmacia. Ma per me ha un valore di cultura millenaria: quella capra, con le corna “inturciniate” come noi siciliani, era già oggetto di venerazione dei greci».