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Migranti: gli hotspot non decollano

Migranti: gli hotspot non decollano in Italia operativo solo quello di Lampedusa

Fonti Ue: «Mancano personale, finanziamenti e macchinari»

Di Patrizia Antonini |

BRUXELLES – Hotspot, ricollocamenti e rimpatri non decollano. Degli undici hotspot che avrebbero dovuto essere operativi entro novembre (secondo la dichiarazione finale dei leader al vertice informale del 23 settembre), ne sono stati aperti solo due, uno a Lampedusa e l’altro nel Pireo. «Ma responsabili della situazione non sono solo Italia e Grecia», avvertono fonti della presidenza lussemburghese. In generale, i dispositivi messi a punto dall’Ue non stanno dando i risultati sperati e la situazione sarà analizzata al prossimo consiglio Interni di venerdì. Sul fronte dei ricollocamenti ne sono stati eseguiti poco meno dello 0,1%, ovvero, 159 su 160mila, e di questi solo 30 dalla Grecia. Quanto ai rimpatri, al 30 novembre, sono 609 quelli fatti.   Le ragioni del mancato decollo degli hotspot, secondo fonti Ue, è legato alla scarsità di personale, finanziamenti e macchinari. Ad esempio, dei 374 esperti chiesti dall’Ufficio europeo per l’asilo (Easo) gli Stati membri ne hanno inviati solo 176, e 442 guardie di frontiera per Frontex su 775. Ma il problema è connesso anche alle leggi nazionali, «ad esempio per quella italiana i migranti possono essere trattenuti solo tre giorni e questo – sottolineano fonti della presidenza lussemburghese – equivale a non trattenerli». Senza contare poi che con la politica delle porte aperte la Germania si è rivelata “l’elefante nella stanza”. I migranti preferiscono proseguire il loro viaggio piuttosto che farsi inserire in un programma hotspot per il ricollocamento. In più, i trafficanti di esseri umani «indicano ai profughi di non presentare richiesta d’asilo in quelli che loro considerano Paesi di transito, come Grecia e Italia».   Quanto allo schema di ricollocamento permanente, spiegano le stesse fonti “sarebbe pertinente se gli hotspot funzionassero, ma visto che non è il caso”, serve un “reality check”, un confronto con la realtà. Intanto, dopo i colloqui del presidente Jean Claude Juncker col premier svedese Stefan Lofven ai margini del vertice Ue-Turchia e dopo il viaggio del commissario europeo Dimitris Avramopoulos a Stoccolma, la Commissione Ue si dice “aperta” ad usare il meccanismo di ricollocamento anche per la Svezia. «Una decisione in merito è prevista entro fine anno».

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