«Buon pomeriggio. Mi chiedono di smentire la cena a casa mia. Ma non c’è niente da smentire, perché nel pezzo l’ha già fatto lei. Che è un genio, ma del male, perché in un periodo di calma piatta, quando non succede un bel niente e io non volevo parlare, scrive quella cosa e mi costringe a telefonarle».
(Alle 16,39 di un sonnacchioso 25 Aprile il display del cellulare s’illumina con il nome di Gianfranco Miccichè: la giornata svolta…)
Allora la cena con Renzi e i forzisti Ronzulli, Mulè e Cattaneo, più Cuffaro per il caffè, non c’è stata. Ma potrebbe esserci?
«Con questa composizione è complicato. E non ora. Non avremmo di che parlare».
Un argomento a piacere: l’enorme spazio che s’è creato al centro.
«Sarebbe soltanto l’analisi del caos: nelle due coalizioni c’è incertezza e al centro ci sono poche idee e tutte confuse».
Eppure il quadro è chiaro. Il centrodestra dominato da Meloni ha vinto e governa, Pd e M5S scivolano a sinistra, il terzo polo di Renzi e Calenda è miseramente fallito.
«Sì, ma bisogna andare oltre. A me la Meloni piace, è pure brava. Ma mi preoccupa il peso che, nella coalizione di destracentro, hanno le uscite dei suoi. Quando si parla di “sostituzione etnica” non è questione di memoria o dna, ma è un problema attuale, concreto, sulla tenuta dei diritti civili. Ed è un forte motivo di preoccupazione…».
Che Forza Italia, dopo la svolta governista, magari sta sottovalutando?
«La Forza Italia filo-Meloni è una scemenza. Berlusconi non ha mai auspicato un partito schiacciato su altri, ha sempre voluto che fossimo noi a guidare gli altri».
Dati elettorali alla mano è strategia di sopravvivenza. Incompatibile con la fronda forzista contro La Russa presidente del Senato. Per lei fu l’inizio della fine…
«Nella riunione prima di quel voto Berlusconi fece una domanda: “Chi di voi ha trattato l’elezione di La Russa?”. La risposta fu il gelo: nessuno. Però loro s’erano permessi di dire no alla Ronzulli ministro. Quel giorno abbiamo perso una grande occasione: poteva essere un momento di chiarezza. Invece è diventato un casino».
Su quella parte di Forza Italia ora c’è la fatwa meloniana. Magari le conviene davvero invitare Renzi a cena a Cefalù…
«Io lo posso pure fare, perché lui, oltre a essere una persona piacevole, resta un fuoriclasse, anche se è mezzo pazzo. Portò il Pd al 40 per cento e bruciò tutto subito dopo. Ma ebbe un’intuizione grandiosa: la rottamazione. Bisognerebbe riprenderla e poi aggiornarla: la principale emergenza, che in Sicilia è ancor più drammatica, è il rinnovamento della classe dirigente. Ci ha provato paradossalmente Cuffaro, col primo approccio della sua Nuova Dc: niente uscenti, quasi tutti giovani, molte donne… Ma ora il mio amico Totò sta reclutando pure quelli di 90 anni purché abbiano i voti. Alla Regione, dove Armao s’è svenduto l’accordo con Roma, servirebbe un concorso non per 200, ma per 2.000 nuovi dirigenti. La nostra burocrazia ha un’età media di 63 anni, il mondo è tutto digitale e noi siamo rimasti analogici».
Il che, detto dal settantenne Miccichè…
«Io non faccio testo, ho fatto tutto quello che dovevo fare, ho avuto tutto. Sono felice e voglio aiutare anche gli altri a esserlo. Ma è un cammino lungo».
Quello verso la felicità?
«No, quello è complicatissimo. Parlo dello spazio immenso che c’è al centro per dare voce alla maggioranza silenziosa dei moderati. Io sono convinto che di qui alle Europee non succederà nulla, né in Italia né in Sicilia. Ma c’è un anno di tempo».
Per fare cosa? Cos’ha in testa?
«Un cammino lento. Recuperando lo spirito del Renzi rottamatore, anche senza Calenda che secondo me non ha dove andare, e ancorandolo ad alcuni valori, come ad esempio la grande visione di Craxi. In Forza Italia, e nel centrodestra, non tutti vogliono morire meloniani. E c’è chi non va a votare perché non si riconosce negli opposti estremismi. C’è tanto spazio».
Rieccoci al punto di partenza: la cena a Sant’Ambrogio che non c’è stata, ma…
«… ma che per ora non ci sarà. Io, fin quando ci sarà Berlusconi, sto bene in Forza Italia. Finché il presidente la terrà aperta e se ne occuperà, non farò nient’altro».
Allora perché non raccoglie i segnali di distensione che il governatore le ha lanciato? Può tornare al gruppo dell’Ars…
«Non ci torno, in un posto da cui mi hanno buttato fuori. E poi, quella siciliana , non è più la mia Forza Italia».
Soltanto perché non comanda più lei? Anche qui è la dura legge dei numeri: all’Ars 12 deputati su 13 con Schifani, lei fa la particella di sodio al gruppo misto…
«È facile, quando si gestisce il potere. Un deputato, prima di lasciarmi, mi ha detto: “Mi offrono il manager dell’Asp della mia provincia, se dico no gli mettono il mio peggior nemico”. Vabbe’, vai pure… Ma li perderanno tutti, quando non potranno dare quello che hanno promesso. Sembrano uniti, ma non lo sono. E poi sono tutti tristi».
Che fa pure lo psicologo adesso?
«Mi hanno raccontato la manifestazione di sabato a Palermo. Poco entusiasmo, niente sorrisi. Quando organizzavo io poi ce ne andavamo in 50 a pranzo, c’era il piacere di stare assieme. Invece ora è un atto di presenza. Pure Falcone era triste, ma lui sembra triste anche quand’è allegro. L’unico che se l’è goduta è Tamajo perché gli ha riempito mezzo Politeama. Ma nessun guizzo, anche Schifani era spento: ha dovuto dire “ho finito”, al termine del suo intervento, per farsi fare un applauso…».
Ad applaudirlo c’era anche il suo vecchio amico Cancelleri. Che effetto le ha fatto?
«Ho ricevuto un meraviglioso sms, glielo leggo: “Forza Italia in Sicilia sostituisce Miccichè con Cancelleri. Come dire: esce Maradona, entra Miccoli”».
Però Schifani ha vinto, lei ha perso…
«Schifani è stato scelto da Fratelli d’Italia, con la stessa prepotenza con cui La Russa è stato eletto presidente del Senato. Ed è a loro che, non dico obbedisce, deve comunque rendere conto».
Il governatore, sulle spese del Turismo, ha comunque tenuto il punto con FdI.
«Perché ha capito che era una porcheria che rischiava di travolgerlo. Ma anche sul cinema siamo lontani anni luce: io parlavo con Francis Ford Coppola, mentre Schifani prendeva appunti, su come trasformare la Sicilia in un set internazionale attirando le produzioni di Hollywood, e ora questi qui spendono milioni per farsi le cene con le modelle a Cannes».
Schifani le ha comunque reso l’onore delle armi. Ora toccherebbe a lei fare un gesto di fair play.
«Lui e i suoi chiamano ancora le persone vicine a me per dire: “Se fai un comunicato in cui ti dissoci da Miccichè sei il benvenuto”. Io non ho più nulla da dirgli. Anzi, una cosa sì. Ho saputo che s’è seccato perché l’ho chiamato Giuda, che a me non piace perché non mi sento Gesù, così come non mi sentivo Giulio Cesare quando in aula lo chiamai Bruto. Mi dica lui come vuol essere chiamato. Mi dia un sinonimo di “traditore seriale”. Perché questo è: l’ha fatto prima con La Loggia, poi con Berlusconi e infine con me. E ora s’è messo pure in testa di fare il leader moderato, candidandosi a sostituire Berlusconi. Schifani è uno che si esalta facilmente, del resto fu lui a coniare la definizione di “seconda carica dello Stato” per farsi etichettare così da presidente del Senato. S’è montato di nuovo la testa. Mi viene da ridere, anzi da piangere…».
Continua a fare il kamikaze. Anche perché ormai non ha più nulla da perdere…
«Tutti mi hanno detto che mi sono suicidato. Ma se l’ho fatto, allora voglio la lapide a San Gianfranco martire, con un epitaffio: “Morto suicida da eroe per difendere ciò che non è utile, ma giusto”. Parliamoci chiaro: Musumeci, nel centrodestra, non lo rivoleva più nessuno. La Russa viene a Palermo e mi dice: “Ti do tutto quello che vuoi”. Se accettavo avremmo Musumeci, ho rifiutato e c’è Schifani. Che mi ha fatto fuori in modo subdolo quanto violento. E soprattutto senza motivo».
E ora, oltre a organizzare cene e a insultare il governatore, che farà? Si riposa?
«Se io non faccio mi sento male. Ma se c’è chi pensa che io stia tramando, per lasciare il partito e lanciare un nuovo soggetto, è davvero un cretino. Da qui alle Europee c’è tanto tempo, le cose importanti si costruiscono senza premura. E prima bisogna aprire un dibattito. Ecco, sa cosa faccio adesso? Mi metto a organizzare convegni. Sto già lavorando al primo sul tema dell’etica. L’etica della bugia contro l’etica della verità, l’etica dell’utile contro l’etica del giusto. E poi voglio fare un libro. Raccontando la verità. Tutta la verità…».
Twitter: @MarioBarresi