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Miccichè: «Con stipendi bassi, la classe dirigente sarà sempre scarsa»

Di Mario Barresi |

Presidente, allora lo abolite davvero il voto segreto all’Ars?«Con tutto il cuore. Lo vuole Musumeci, lo voglio anch’io. Ma l’emergenza, adesso, è un’altra. Ho poco tempo. Ma se ha dieci minuti glielo spiego…». Gianfranco Miccichè ci risponde durante la pausa dei lavori a Sala d’Ercole. Subito dopo l’intervista, per l’ennesima volta, il centrodestra andrà sotto. Aprendo di fatto una crisi vera.«Per fare funzionare quest’Assemblea – esordisce il presidente dell’Ars – i problemi da risolvere sono tanti. Io ce la metterò tutta per fare le modifiche che vanno fatte, a partire dal voto segreto. Ma la priorità è il numero legale». Si riferisce quanto sta accadendo in questo momento a Sala d’Ercole?«È ufficiale: non abbiamo maggioranza. Appena entriamo in aula l’opposizione ci chiede il numero legale. Ovvero: che possa votare il 50 per cento più uno del totale dell’Ars. Non ce l’avremo mai. Mai! A meno che non venga istituzionalizzato costituzionalmente il cambio di casacca, e ci compriamo due-tre dell’opposizione, oppure l’inciucio, e cioè trattare qualsiasi legge con l’opposizione. Il che significa dargli due assessorati». Stesso dicasi del voto segreto…«Quando c’è una legge da approvare, qualsiasi deputato può chiedere il voto segreto se non è stato accontentato. Se no quello ti vota contro. L’appello di Musumeci cade a fagiolo: sto cercando di cambiare il regolamento. Ma, probabilmente, il meglio che potrò fare è cambiarlo a partire dalla prossima legislatura. Riscrivere le regole tutti insieme con coscienza, a prescindere da chi sarà maggioranza e opposizione». Così non vale: voi avete vinto e voi dovete governare.«Provateci voi a governare… Se a capo dell’Ars ci fosse Churchill e come governatore ci fosse Eisenhower, comunque sarebbe andata così. Perché non c’era il numero legale…». Perché i conti in aula non sono tornati?«Gli assessori sono quasi tutti deputati e oggi (ieri per chi legge, ndr) erano presenti solo due assessori non deputati che non votavano. Il numero legale mancava per otto, sei erano gli assessori. La nostra maggioranza non c’è…». Anche per i mal di pancia? La Lega vuole l’assessorato, poi ci sono i quattro ribelli del suo partito…«Non so se c’entra con il voto sullo stralcio. Non so chi sono e se sono dei nostri. Il leghista può avere un problema suo, quelli di Forza Italia ce l’hanno con Miccichè. Ma rispetto a Musumeci, rispetto alla Sicilia non so che problemi possano avere. Utilizzare un problema personale per affossare un governo sarebbe allucinante». La situazione, comunque, all’Ars è impantanata.«In questo momento sono presidente di un’Assemblea quotidianamente sotto scacco». E allora che si fa?«Ci vorrebbe un momento di reale presa di coscienza. Di responsabilità pubblica. A prescindere da chi governa e da chi è all’opposizione, si deve trovare una soluzione affinché si possano fare le cose per i siciliani. E sia chiaro: non sto facendo un’accusa a questa opposizione. La scorsa volta eravamo noi all’opposizione e facevamo le stesse cose. Vorrei che si trovasse, anche con una campagna di moral suasion, uno strumento operativo per andare avanti». Crede davvero che sarà possibile?«La situazione è difficile e incancrenita. Io ce la metterò tutta. So che c’è una quantità di deputati responsabili e coscienti che saranno favorevoli a questo tipo di modifiche. Non credo. però, saranno tutt’e settanta…». Il fatturato dell’Ars fin qui è misero: tre leggi, fra le quali l’aggiunta di “Terme” ai nomi delle città termali e i nuovi confini fra Grammichele e Mineo…«Sono accuse pretestuose. Il governo c’è da due mesi. E non puoi pensare che il programma può diventare subito legge, a maggior ragione se non hai una Finanziaria. Finalmente il bilancio e la finanziaria sono nei binari e il programma è partito». Riuscirete ad approvarli entro il 31 marzo o c’è il rischio di un altro mese di esercizio provvisorio?«Diciamoci la verità: non sarebbe un dramma. Il presidente Musumeci vorrebbe evitare la proroga dell’esercizio provvisorio. E io pure. Ma se non ci riusciamo, pazienza…». Perché il centrodestra ha vinto le Regionali e tre mesi dopo alle Politiche i cinquestelle in Sicilia sfiorano il 50%?«Non c’è bisogno che sia io a fare l’analisi. Anche per un bambino è evidente: al di là del sistema elettorale e del vento nazionale grillino, in un’alleanza in cui Forza Italia passa dal 16 al 21%, ma la coalizione perde 11 punti, i voti che mancano sono di altri…». Quanto influì la scelta di Musumeci come candidato?«In quel momento la ritrovata unità del centrodestra e la riconoscibilità del candidato ha galvanizzato tutti. Il centrodestra che appariva alle nazionali non era lo stesso, perché c’era una Lega che sorpassava Forza Italia. Il che può funzionare al Nord, ma al Sud e in in Sicilia la prospettiva di un Salvini premier non entusiasma il popolo». Qualcuno, nel centrodestra, si lamenta delle mancate nomine che vi avrebbero azzoppato in campagna elettorale. È davvero così? A quando le scelte del sottogoverno?«È una responsabilità che spetta ovviamente e totalmente al presidente. Nel momento in cui Musumeci deciderà di andare avanti su questo tema, saremo disponibili a dargli tutto il sostegno di questo mondo». Fra i suoi qualcuno sostiene che alle Politiche ci sia stato uno scarso impegno di Musumeci. È così?«Quello che ha fatto Musumeci non lo deve chiedere a me… Sappia che io ne ho fatta meno di Musumeci, di campagna elettorale per le nazionali. Mi ero rotto una gamba e non potevo muovermi… Ma non si può addebitare né a lui né a me uno scarso impegno». L’uscita di Sgarbi dalla giunta si poteva gestire in modo diverso?«Non lo so dire, non so quello che è successo. So solo che mi dispiace. Vittorio è un amico, oltre che una persona di grande valore con cui avevamo progetti bellissimi. Magari li realizzeremo col prossimo assessore…». A proposito: chi sarà? Musumeci dice che, al momento giusto, risolverete la questione in un quarto d’ora…«Tutto ciò che abbiamo fatto finora è stato risolto con serenità e in poco tempo. Quando il presidente lo riterrà opportuno, ci incontreremo e parleremo del dopo-Sgarbi». Non sarebbe utile dare il posto ai ribelli forzisti per placarli?«La politica è una cosa seria. Se bastasse ribellarsi per avere un assessorato, immagini cosa succederebbe ogni giorno… Non ho fatto trattative in questo senso. Se le ha fatte qualcun altro, e io spero di no, è un segnale di sfascio totale della politica». All’esordio da presidente fece discutere molto la sua uscita sui tetti agli stipendi dell’Ars. Se n’è pentito? O magari c’è stato un suo errore di narrazione?«Non so se ho sbagliato io o hanno sbagliato i giornalisti. Il problema è serio. Le faccio un esempio. Sto cercando di individuare un manager all’altezza di gestire l’Asp di Palermo, che, con un bilancio di un miliardo e 700mila euro, è la più importante d’Italia. Se avessi un’azienda con questo fatturato non la darei in mano a uno che mi porta 300 voti, né a uno preso da un albo. Cercherei Marchionne, se fosse possibile. Ma se chiedo a Marchionne di venire all’Asp di Palermo, la prima domanda che mi fa è: quanto guadagno? Appeno gli dico 60mila euro, lui mi ride in faccia. Poi non mi dicano che abbiamo una classe dirigente scarsa… È sin troppo evidente che il meccanismo del merito salva tutti. Se Fiat, dopo quello che c’era prima, dimezzava lo stipendio non risolveva il problema… Poi i tetti non sono mondiali: e dunque, io che merito e che sono bravo me ne vado altrove. E non troveremo qualcuno disposto a venire qui». Vale lo stesso per la selezione della classe politica?«Lo stesso sta avvenendo in politica: tu risparmi un milione e ne perdi cento, per colpa di persone non in grado di gestire. Io lo so che significa stare a Roma per un deputato. E so quanto mi rimaneva dello stipendio che avevo una volta. Devi dormire, prendere una casa, mangiare… A meno che, come sta facendo qualcuno adesso, con gli aerei gratis fai andata e ritorno da Palermo ogni giorno. Non è un risparmio, ma comunque un costo per le casse pubbliche. E in ogni caso non è una vita che io vorrei fare…». Lei, insomma, ha già dato…«Io quando nel 1994 lasciai Publitalia guadagnavo oltre 300 milioni di lire l’anno. Diventando deputato, ne persi 110. Ma pazienza: te lo chiede il presidente, è una cosa che fai per il bene del Paese. Ma se da 300 milioni di lire arrivassi a guadagnarne 70, io ora come ora in politica non ci entrerei. Magari qualcuno dirà: “Meglio così, visto che ha fatto danno!”. E forse ha ragione (e ride, ndr)… Ma pensate a tutti quelli bravissimi che perdiamo perché scoraggiati dagli stipendi bassi. Se uno vuole una classe dirigente a 3.500 euro al mese, allora si accontenta di quello che trova. Io, a questi prezzi, se Berlusconi me lo chiedesse oggi, lo manderei aff…». All’Ars i tetti sono subito tornati. Ha cambiato idea o ha subito l’onda mediatica?«Sa quanto ha risparmiato l’Assemblea col taglio di stipendi? Meno di un milione, dopo tutto il casino che è stato fatto… Ma attenzione: non è un risparmio. Questi soldi se li sono tolti i dipendenti, ma non tornano all’erario, a riduzione del debito pubblico. Ora, io ho detto a questi signori: individuate enti di beneficenza o non so che cos’altro, almeno dimostriamo che questo taglio è servito per combattere la povertà…». Insomma, questa cosa dei tagli non la digerisce proprio…«Oggi, in epoca grillina, l’articolo 1 della Costituzione è stato modificato: l’Italia è una Repubblica fondata sulla demagogia, non sul lavoro…».Twitter: @MarioBarresi

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