Ad Arcore, ieri pomeriggio, Gianfranco Miccichè non ha portato al Cav i saluti ricambiati da Nello Musumeci. Certo, s’è pure chiarita, col dovuto rispetto, la deliziosa gaffe di Silvio Berlusconi che sabato scorso ha telefonato nel corso del vertice del partito a Palermo riservando al «caro Nello» (ovviamente assente) un’affettuosa citazione. In compenso, però, il leader regionale di Forza Italia, all’indomani dell’ennesima mozione di sfiducia interna, nel salotto di Villa San Martino ha portato, ben infiocchettata, l’idea di un potenziale candidato governatore: Raffaele Stancanelli. Non «un nome da bruciare», ma una sorta di «asso nella manica», come riferiscono fonti forziste informate sul contenuto dell’incontro. L’eurodeputato di Fratelli d’Italia, nel ragionamento di Miccichè, sarebbe, in prospettiva, «l’unico in grado di poter arrivare a una sintesi finale» sulle Regionali nel centrodestra siciliano. A maggior ragione nel probabile scenario di rottura fra Giorgia Meloni (che sostiene il bis del governatore uscente) e Matteo Salvini (che rivendica un suo candidato, con la nomination di Nino Minardo) nell’imminente vertice, sin qui rimandato, che potrebbe tenersi domattina.
E così Miccichè, in un colloquio «come sempre schietto e affettuosissimo», ha messo tutte le sue carte sul tavolo di Berlusconi, alla presenza di Marcello Dell’Utri e Licia Ronzulli, con Gianni Letta nelle immediate vicinanze. Il presidente dell’Ars ha chiesto (e ottenuto) la conferma della sua leadership regionale, dimostrando «con i fatti e con i numeri» la crescita di Forza Italia in Sicilia. S’è difeso dalle accuse di «linea ondivaga» lanciate da Marco Falcone a nome di mezzo partito, chiedendo (e ottenendo) un credito di fiducia, che «ho sempre saputo ripagare con i risultati» sulla gestione del partito in Sicilia, compreso il contestato ingresso dei nuovi acquisti renziani Edy Tamajo e Nicola D’Agostino. Ma tutto ciò a un patto: «Devono essere ascoltate e prese in considerazione anche le ragioni dell’altra parte», gli dice il leader azzurro, istituzionalizzando così per la prima volta che i forzisti siciliani non hanno una sola anima.
Stop alle faide interne. Ma anche una «strategia condivisa» del partito all’interno del centrodestra, che «in Sicilia deve restare unito», a partire dalle candidature. Su un tema Berlusconi sarebbe stato chiaro: il «gradimento» per il sostegno a Roberto Lagalla candidato sindaco di Palermo, mettendo di fatto in stand-by la corsa di Francesco Cascio. Sarà un caso, ma l’assessore regionale dell’Udc accelera i tempi: oggi presenta la sua corsa. In effetti faida ed elezioni sono legate, perché uno dei principali motivi di rottura con la fronda dei contestatori è il netto rifiuto di Micicchè alla ricandidatura del governatore. E anche su questo punto il presidente dell’Ars ritiene di essere stato convincente sul concetto che «con Musumeci si perde». Pur dicendosi pronto a verificare la sua tesi con futuri sondaggi (strumento da sempre molto utilizzato da Berlusconi) sul gradimento dell’uscente, magari da confrontare con le rilevazioni sugli altri competitor della coalizione, l’uomo del 61-0 in Sicilia ha messo sul piatto il «dato di fatto» che «Nello lo vuole solo la Meloni», elencando tutti «gli altri alleati che non lo appoggeranno mai».
Berlusconi ne prende atto, pur non esponendosi più di tanto con un verdetto finale. E qui pesa il quasi trentennale rapporto con l’ex giovanotto di Publitalia assoldato all’epoca della prima discesa in campo. «Presidente, si fidi di me». L’esortazione resta con i puntini di sospensione, proprio mentre qualcuno dei presenti propone un compromesso: il partito siciliano resta fermamente nelle mani del commissario contestato, a patto che lui si “converta” all’appoggio a Musumeci. Ed è a questo punto che il viceré berlusconiano di Sicilia (per inciso: già candidato ufficialmente da Forza Italia) tira fuori la carta a sorpresa. Dopo un accenno al fratello Gaetano Micicchè, manager bancario, che «sarebbe il migliore di tutti, ma per ora purtroppo resta un sogno», parla dell’ipotesi Stancanelli. Alternativa rispetto al governatore sostenuto da Meloni, ma anche al leghista Minardo. «Ma è l’unico che può davvero mettere d’accordo tutti», lo slogan lanciato ad Arcore. Magari conscio che Raffaele Lombardo, nei pochi attimi trascorsi a Palermo senza altri presenti, avrebbe sussurrato a Salvini che l’eurodeputato, «se la proposta di Minardo non dovesse convincere fino in fondo tutti gli altri», potrebbe diventare «una soluzione». E allo stesso Capitano, nel corso dell’ultimo vertice con i parlamentari siciliani, sarebbe scappato il nome di Stancanelli. In un passaggio sulla trattativa con Meloni, come tattica per «metterla alle strette proponendole uno dei suoi che non è Musumeci». Soltanto una coincidenza?
Ecco, adesso il punto è proprio questo. Il lancio in pista di Stancanelli, ammesso e non concesso fosse il nome intimamente più gradito a Micicchè e Lombardo sin dall’inizio, è intempestivo. Troppo prematuro, se doveva essere presentato come «l’uomo della provvidenza» che avrebbe sanato le fratture del centrodestra siciliano. Soprattutto perché arriva prima (e non dopo) l’incontro fra Salvini e Meloni, col rischio di indisporre entrambi. Il Capitano, che ha appena fatto proprio il niet dei suoi su Musumeci, potrebbe vivere la proposta di Stancanelli come un tradimento di Miccichè e Lombardo, che a Palermo lo avevano comunque rassicurato sull’appoggio a Minardo. Quest’ultimo, pur ammettendo di essere a conoscenza dell’«ultima novità di Gianfranco», preferisce non commentarla con La Sicilia. Ma traspare una certa freddezza. Che potrebbe arrivare fino al punto di concordare con Salvini una “desistenza” (che di fatto sarebbe un via libera) sul governatore uscente nell’imminente faccia a faccia con l’alleata-nemica? Questo non è dato saperlo. Perché sulla bilancia dell’ex ministro leghista pesano due fattori: la netta posizione di un pezzo influente del partito siciliano, Luca Sammartino, disposto persino a un disimpegno elettorale in caso di Musumeci-bis; e i consigli interessati degli Autonomisti, federati con la Lega, fra i quali l’ascoltato Roberto Di Mauro non avrebbe mai fatto mistero di gradire l’ipotesi Stancanelli. Dall’altra parte Meloni potrebbe chiudersi ancor di più a riccio sul governatore, pur pagando il prezzo di rifiutare un candidato (autorevole e ben voluto dalla base e dagli stessi dirigenti perplessi dall’accordo con DiventeràBellissima) del suo stesso partito. Lo stesso da lei rimproverato, per interposto emissario, per «l’inopportunità» del pranzo, a casa sua, proprio con Lombardo e Miccichè.
«Chi è contro Musumeci è contro il partito e dunque contro Giorgia», il monito di Giovanni Donzelli a un incontro di FdI a Catania, subito dopo le perplessità espresse dallo stesso Stancanelli sull’accordo col governatore. Proprio Donzelli, responsabile nazionale dell’organizzazione di FdI, che oggi è a Palermo per lanciare in pista Carolina Varchi. E che ieri, in alcuni momenti più informali con i dirigenti della Sicilia centrale e occidentale, si sarebbe per la prima volta lasciato andare a quale dubbio sulla crociata pro-Nello. «È l’uscente e bisogna ricandidarlo, ma se tutti gli altri alleati insistono per il no, Giorgia non va a rompere», il concetto espresso dal dioscuro meloniano. Ora però la leader patriota, pur tentata dall’ipotesi di un proprio candidato ben voluto dagli alleati, potrebbe irrigidirsi su quella che può suonare come una provocazione.
Il diretto interessato, per inciso, non si è mai autoproposto, pur corteggiato da molti che continuano a ritenerlo «l’unico che riesce sempre a parlare con tutti». Compreso Cateno De Luca, che, in una recente ospitata tv, ha pure ammesso che «fino a qualche tempo fa Stancanelli sarebbe stato l’unico di fronte al quale avrei riflettuto sul ritiro della mia candidatura: ha esperienza e farebbe un mandato solo , poi ci sarebbe il ricambio». Pure questo, con “Scateno” che minaccia di «non vincere, ma di far perdere» il centrodestra siciliano, ha un peso. Come Miccichè ha pure fatto notare a Berlusconi e agli altri big di Forza Italia. Fra i quali non c’era Maurizio Gasparri, da sempre amico dell’ex sindaco di Catania, con cui condivide le radici di destra e la militanza in An, dunque in teoria ben disposto oltre che in pratica ben informato sulle ultime evoluzioni.
E Stancanelli che ne pensa? Ieri sera, appena atterrato a Strasburgo, non si pronuncia sulle indiscrezioni che arrivano dal vertice di Arcore. «Non ne so nulla», taglia corto. Pur magari consapevole che adesso c’è stato lo showdown che forse avrebbe voluto rimandare di un paio di mesi: può essere lui, ex raffinato sodale e adesso nemico giurato, l’unica vera alternativa a Musumeci; oppure diventare, per un’imprevedibile mistura fra intempestività e reazioni di pancia, l’inconsapevole goccia che fa traboccare il vaso verso il definitivo via libera al bis del governatore in carica. Lo scopriremo presto. Molto presto.