MASCALI – «Come si fa a non essere innamorati di un posto così meraviglioso? ». La domanda rimbalza sul tavolo del baretto al semaforo dell’incrocio con la Statale. Parole, commosse, di Filippo Monforte. È l’ultimo sindaco di Mascali – ex democristiano, poi lombardiano doc, infine convertitosi alla fede firrarelliana – sloggiato 25 mesi fa quando il Comune fu sciolto per infiltrazioni mafiose. La seconda volta in poco più di vent’anni, manco a Corleone. E Monforte, adesso sotto processo, fu arrestato entrambe le volte assieme, tra gli altri, a Biagio Susinni, ex deputato regionale e sindaco durante il primo scioglimento. Abuso d’ufficio ai fini di lucro nel 1991 per aver aggiudicato l’appalto di rimozione mezzi a una ditta sfornita persino del carro attrezzi; corruzione aggravata dal metodo mafioso nel 2013 per ingerenze e affari su Prg e concessioni edilizie. La cronaca giudiziaria ha in parte sgonfiato quelle accuse, la storia darà il suo giudizio. Ma il segmento che unisce il passato al presente è una scia di sangue (ucciso, nel 1992, il capo ufficio tecnico Vincenzo Mauro, crivellato di colpi a bordo della sua “500”), di attentati, di intimidazioni. E di milioni di pagine di inchieste con decine di arresti. Unendo i puntini viene sempre fuori la mano di Cosa Nostra, e del clan etneo dei Laudani, che stringe forte, fino a stritolarlo quasi, questo paesino che degrada sul mare bellissimo e caotico di Fondachello. Con l’interesse, dimostrato in più processi, di imprenditori, palazzinari, affaristi. E la collusione, spesso, dei politici.
Susinni e Monforte, gemelli diversi, due facce di una stessa medaglia, avversari e alleati. Ognuno per la sua strada, dopo l’ultimo terremoto giudiziario. Con facoltà di punzecchiarsi. «Io sono fuori, Biagio è uno instabile. Che insiste sempre, che non vuole rassegnarsi», dice il sindaco uscente, uscito dal palazzo con i carabinieri. «Gli rimprovero – replica l’ex repubblicano – di essere stato a disposizione degli interessi portati avanti da gente che adesso è candidata. Doveva uscire le palle, ma ha gettato la spugna». Sono i grandi assenti, almeno sul tabellone dei candidati che ostruisce in larghezza la vista del municipio dal centro della piazza-parcheggio. Sono i fantasmi che aleggiano in questo ritorno alle urne vissuto con silenzioso orgoglio da una comunità che rifiuta l’etichetta mafiosa. Si sdegna, ma non s’indigna. E così un po’ tutti – inneggiando alla «legalità» e al «cambiamento» nei pochi comizi – provano però a tenere gli scheletri nell’armadio. A nascondere la polvere sotto il borghesissimo tappeto.
Susinni? Mai avuto nulla a che fare con lui. Monforte, chi è costui? Tutti a rinnegarli, i capri espiatori dell’onta del commissariamento. Eppure tutti (o quasi) tutti a cercarli, a coccolarli nelle segrete stanze. Per un sostegno, per un consiglio, per un caffè. Ma il passato non è una terra straniera. Perché adesso nessuno può dire “io non c’ero”. Tranne i ragazzi del Movimento 5 Stelle, che propongono l’unico candidato fra gli otto in campo – la biologa Laura Mannino – senza nemmeno un “ex qualcosa” attorno. Sono la novità, potrebbero essere la svolta se non fosse che hanno avuto pure problemi a mettere assieme una lista con 13 candidati sui 20 presentabili, attingendo pure ai centri vicini.
Si propone come discontinuità anche Laura Fazzina, giornalista pubblicista corrispondente del nostro giornale, l’unica per la quale i partiti ci mettono la faccia. Il Pd, mollato all’ultimo momento da Pierluigi Bella, e l’Udc, con il “ripieno” della Scelta Giovane di Daniele Capuana, ex assessore provinciale vicino a Enzo Bianco. Il movimento è guidato da Leonardo Fichera, capolista e assessore designato, vittima (come il candidato Isidoro Trovato, destinatario di una testa di capretto) di un episodio intimidatorio: gli hanno bruciato l’auto. «È successo subito dopo che in un comizio a Puntalazzo ho fatto i nomi di quei candidati che hanno avuto ruoli nelle amministrazioni del passato e ho parlato degli interessi, magari legittimi, di un’anomala lista composta tutta da imprenditori». Ma nemmeno Fichera è illibato, perché è lo stesso Susinni a considerarlo «uno che era del mio gruppo».
Anche Luigi Messina, l’aspirante sindaco ritenuto favorito, ha subito un’intimidazione. Un incendio nella sua agenzia immobiliare. Oggi è un manager, fu anche vice presidente del consiglio con il sindaco Silvio Carota. Ma a Mascali lo ricordano anche, appena maggiorenne, come presidente della coop “Pulietna” finita nelle carte del primo arresto dell’allora sindaco Susinni, con annesso scioglimento. Lo sostengono tre liste forti, con molti ex Mpa e candidati “acchiappavoti” come i coniugi Virginia Silvestro e Salvatore Gullotta, ex assessora e consigliere di Monforte.
Uno degli avversari più accreditati è Ernesto Pino. Avvocato ed ex assessore a Giarre, è l’uomo di Pino Firrarello e di Ncd, con il parlamentare Pippo Pagano come main sponsor, oltre che il via libera dell’europarlamentare di Forza Italia, Salvo Pogliese. E ha pure messo d’accordo due nemici storici, come l’ex sindaco Carota e l’ex assessore Agostino Mondello. L’altro contendente è Giovanni Pellizzeri, imprenditore nei settori della grande distribuzione e dell’accoglienza immigrati, da sempre in buoni rapporti con Firrarello. Schiera uno degli assessori più longevi, Alfredo Musumeci, in carica con Carota e con Monforte. Parte più indietro Leonardo Zappalà, ex sindaco con An dopo il primo scioglimento, che ha come capolista Giuseppe Susinni, cugino del più noto Biagio.
Gli outisider? Carmelo Portogallo, benedetto dal deputato regionale Marco Forzese (Pdr) e fratello di Gaetano, ex consigliere di Monforte. Infine, Giuseppe Calà, che ha perso per strada una lista (quella legata a Nello Musumeci) per carenze nella documentazione, in campo è entrato già “caldo” poiché in campagna elettorale da quasi due anni. Non sarà facile fare il sindaco di Mascali. Né sciogliere il delicatissimo nodo del Prg, appena sfiorato dalla terna di commissari. Il bilancio è sano, ma i problemi (dalle incompiute all’acqua) sono tanti. Uno di questi, forse il più urgente, è liberarsi del passato.
L’ex sindaco Monforte, al bar, garantisce l’auto-rottamazione: «Vado a votare, ma non faccio votare per nessuno». Poi confessa: «Forse avrò fatto qualche sbaglio, compreso quello di non dimettermi dopo un mese. Ma non sono il diavolo. Per come parlano tutti, peggio di me non ci può essere nessuno. Allora: auguri al prossimo sindaco». Che dovrà fare la disinfestazione del municipio, per togliere quella puzza di Piovra. «No, si sbaglia. Mascali non è un paese mafioso. Ci sono solo ladri di biciclette», giura l’ex sindaco. Chissà perché non ci viene facile, però, credergli sulla parola.
L’INTERVISTA
Allora, da che parte sta? «In che senso? ».
Lei chi sostiene in queste elezioni?
«Nessuno». (Squilla il telefono e lui risponde: «Pronto? Sì, signora… Certo, ci vediamo fra mezz’ora nella mia segreteria che le do quelle cose»). «Scusi».
Prego, ci mancherebbe.
«Dicevamo? ».
Del disimpegno in campagna elettorale.
«Ah, sì. Io non posso candidarmi: il mio nome è nella relazione sullo scioglimento. Faccio felice chi dice che qui comando io da 30 anni. Non mi sono reso conto di aver comandato. Come passa, il tempo… ».
Ma qualcuno è venuto a cercarle i voti?
«Che vengono a portare la corda a casa dell’impiccato? E poi non hanno le carte in regola, per venire da me».
Perché?
«Il livello dei candidati è scadentissimo».
Quindi voti non ne cercherà…
«Mai andato a bussare a casa di nessuno. Ora mio cugino è in lista con Zappalà. Gli ho detto: chi te l’ha fatto fare? Io sono fuori».
E, senza lei, vissero tutti felici e contenti…
«Si sono aperte le gabbie. Come la Libia dopo Gheddafi (ride di gusto)… E abbiamo visto com’è finita lì… Ora, senza di me, avranno campo libero tutti quelli del Piano regolatore che io ho bloccato. Con me a Mascali non s’è costruito manco un ascensore fuori norma. Ora si sono coalizzati tutti e vinceranno. Io ero l’argine al malaffare, così come lo fui, in continuità con l’onorevole Cardillo, ai potenti della Dc e del Psi che a Mascali non hanno mai messo mani».
Ma a lei sono legati entrambi gli scioglimenti del comune per mafia. Due volte arrestato, l’ultima nel 2013…
«Io mi ero già dimesso dal Consiglio, prima dell’ultimo scioglimento. E l’ho fatto (tira fuori una carpetta) denunciando tutto. Io ho bloccato il Prg voluto da altri, ho combattuto l’inerzia degli pseudo-dirigenti del comune. Che sono ancora tutti lì».
Sì, ma nelle carte dell’indagine c’è scritto che lei è il perno delle infiltrazioni mafiose.
«Tutte fesserie. L’aggravante mafiosa è caduta, in quelle carte non c’è niente. Mi difenderò nei processi. La mafia, a Mascali, non c’è. Solo che a tutti fa comodo buttare fango su di me e sul paese. Ma lo sa qual è la cosa curiosa? Una maledizione (e sghignazza)… A chi ha fatto passerella, male gli è finita. Mancino, che nel 1992 portò gli elicotteri come se cercava Totò Riina, è finito nella trattativa Stato-mafia. La Cancellieri, che in 20 giorni sciolse tutto, ha avuto la cosa di suo figlio con Ligresti».
Chi tocca Mascali prende la scossa…
«La verità è qui sono tutti poveri e pazzi. Io, in dieci anni all’Ars, ho portato al paese 300 miliardi di vecchie lire in opere pubbliche. Ora c’è il nulla».
Però s’è sporcato anche le mani. E qualche guaio con la giustizia l’ha avuto.
«In tutto 23 processi e 22 assoluzioni, costati un milione di euro ai cittadini».
Qual è l’unico che le è andato male?
«Abuso d’ufficio per una storia di spazzatura nel 1994. Ma non a scopo patrimoniale».
Ma non le fa rabbia che oggi anche i suoi amici la rinneghino?
«Sì, ma sono amici. Devono fare così, io sono ingombrante. Ma dopo la campagna elettorale torneranno amici… ».
E la mitica storia dei 5 consiglieri della sua lista che si dimisero a raffica per farla entrare in consiglio, subito eletto presidente?
«Macché, io niente ne sapevo. Io presi 1.800 voti per sindaco. Mica mi mettevo a cercarli per consigliere. E così i ragazzi, di loro spontanea volontà, si sono fatti da parte. Per far entrare l’onorevole… Io ho esperienza all’Ars, loro erano quattro carusi da poche decine di voti. E li hanno interrogati come se coprivano la latitanza di un boss… ».
Ma davvero non sostiene nessuno?
«No. Ma non mi dimetto dalla politica. Sono con l’onorevole Nicotra, che è passato al Pd. Io, ex liberale e repubblicano, nel Pd non ci passo. Resto con lui a livello personale. Però una cosa gliela dico… ».
Prego, dica.
«Se proprio dovevo sostenere qualcuno, era Leonardo Fichera (assessore designato da Laura Fazzina, candidata di Pd e Udc, ndr), che è sempre stato con me. Fu lui a organizzare la cosa delle dimissioni dei consiglieri. Ma ormai il gruppo è diviso. I miei sono tutti sparpagliati. Se erano uniti, una mano gliela davo. Ma così io me la guardo da fuori: vinca il migliore. O il meno scarso».
Tanto si sa chi vince…
«Si sa, si sa». ù
(Biagio Susinni, nato a Mascali il 1º febbraio 1948, deputato regionale dal 1987 al 1994, ex sindaco, vicesindaco, assessore, presidente del consiglio; arrestato nel 1991 per abuso d’ufficio ai fini di lucro e nel 2013 per corruzione aggravata dal metodo mafioso; libero cittadino elettore in attesa di giudizio).
twitter: @MarioBarresi