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M5S implode nel paradosso del no al voto su Rousseau

Di Michele Esposito |

Dilaniato, nel caos, con una rivolta contro i vertici al Senato in corso: il Movimento 5 Stelle si avvia al voto di fiducia al governo Draghi sull’orlo dell’implosione. Sin dalla mattina entrano in campo gli ortodossi: prima il grande ex Alessandro Di Battista, poi i senatori Nicola Morra e Barbara Lezzi. L’obiettivo è unico: votare No al nuovo governo.

E sotto accusa finisce il quesito posto su Rousseau: «E’ un inganno, il super-ministero alla Transizione ecologica citato non esiste». Ma l’Opa dei «contras» potrebbe non essere solo parlamentare. «Vogliono prendersi il Movimento», accusa un esponente dell’ala governista.

Nel pomeriggio, ad un certo punto, i senatori scelgono di autoconvocarsi alle ore 18. Sotto accusa c’è l’intero direttivo a Palazzo Madama, a cominciare dal capogruppo Ettore Licheri. I «descamisados» vogliono la testa di chi ha condotto le trattative per il nuovo governo. Con un’appendice: l’ex governatore della Bce ha lasciato uno spazio quasi inesistente alle scelte dei partiti per i ministeri. Sul dicastero del Sud finito nelle mani di Mara Carfagna gli ortodossi gridano vendetta. E anche il fisico Roberto Cingolani, che secondo i vertici del M5S, è stato voluto proprio da Beppe Grillo, finisce sotto accusa.

«Non posso accettare di poter avere fiducia in un governo che mi sembra essere «Jurassic Park, con il recupero di mostri che hanno popolato il passato. Il M5S deve tornare ad essere una forza a difesa dei valori per cui è nato. Altrimenti sfiorirà», è la trincea di Morra.

Lezzi, dal canto suo, guida una sorta di class action di decine di attivisti per chiedere, in una mail inviata a Grillo, a Vito Crimi e al Comitato di Garanzia, che si rivoti su Rousseau. Il malcontento si allarga, i dubbi sul governo Draghi crescono. «Al Senato ne perdiamo la metà», è la fosca previsione di un deputato. E, a testimonianza del clima, la congiunta che era stata ipotizzata per la serata non si tiene. Si riuniranno solo i membri della Camera. «I senatori non hanno voluto», spiega una fonte parlamentare del Movimento. Ma anche a Montecitorio il malumore è tangibile.

Giuseppe D’Ambrosio, deputato alla seconda legislatura, annuncia di lasciare il Movimento: «Io non dimentico chi sono», è il suo messaggio d’addio. Anche un esponente vicino a Roberto Fico come Giuseppe Brescia, non nasconde i suoi dubbi sul nuovo esecutivo. Senza contare i «dibattistiani» alla Camera, da Alvise Maniero a Pino Cabras, con un piede già fuori dal gruppo.

I vertici, per ora, tengono il punto. E, soprattutto, tiene il punto Grillo. «Da oggi si deve scegliere. O di qua, o di là. Scegliere le idee del secolo che è finito nel 1999 oppure quelle del secolo che finirà nel 2099», scrive il Garante, invitando i suoi ad «una transizione cerebrale». Poi è Roberta Lombardi, membro del Comitato di Garanzia, a provare a frenare la slavina. “Io avrei voluto il Conte Ter. Ma anche il Conte Bis mi andava bene. Ma dobbiamo giocare con le carte che abbiamo in mano», scrive in un post. Non basta. Da qui a mercoledì tutto può succedere. «E con un gruppo dimezzato, Lega e FI protesteranno sui nostri ministeri», sottolinea un deputato.

E poi c’è Luigi Di Maio, riferimento dell’ala governista e sempre più lontano dai duri e puri guidati dal Dibba. Chiamato ora a far sentire la sua voce. Anche perché, la settimana prossima, c’è il voto sulla governance a 5, che potrebbe finire in buona parte nelle mani dei «descamisados». Tuttavia, la fronda potrebbe finire in un paradosso: votare No a Draghi violando quel voto sulla Rete che, per i dissidenti e per Davide Casaleggio, è l’eterna stella polare. Lezzi-Morra, «si voti di nuovo». A Senato metà gruppo a rischio. (ANSA) – ROMA, 13 FEB – Dilaniato, nel caos, con una rivolta contro i vertici al Senato in corso: il Movimento 5 Stelle si avvia al voto di fiducia al governo Draghi sull’orlo dell’implosione. Sin dalla mattina entrano in campo gli ortodossi: prima il grande ex Alessandro Di Battista, poi i senatori Nicola Morra e Barbara Lezzi. L’obiettivo è unico: votare No al nuovo governo. E sotto accusa finisce il quesito posto su Rousseau: «è un inganno, il super-ministero alla Transizione ecologica citato non esiste». Ma l’Opa dei «contras” potrebbe non essere solo parlamentare. «Vogliono prendersi il Movimento», accusa un esponente dell’ala governista. Nel pomeriggio, ad un certo punto, i senatori scelgono di autoconvocarsi alle ore 18. Sotto accusa c’è l’intero direttivo a Palazzo Madama, a cominciare dal capogruppo Ettore Licheri. I “descamisados» vogliono la testa di chi ha condotto le trattative per il nuovo governo. Con un’appendice: l’ex governatore della Bce ha lasciato uno spazio quasi inesistente alle scelte dei partiti per i ministeri. Sul dicastero del Sud finito nelle mani di Mara Carfagna gli ortodossi gridano vendetta. E anche il fisico Roberto Cingolani, che secondo i vertici del M5S, è stato voluto proprio da Beppe Grillo, finisce sotto accusa. «Non posso accettare di poter avere fiducia in un governo che mi sembra essere «Jurassic Park, con il recupero di mostri che hanno popolato il passato. Il M5S deve tornare ad essere una forza a difesa dei valori per cui è nato. Altrimenti sfiorirà», è la trincea di Morra. Lezzi, dal canto suo, guida una sorta di class action di decine di attivisti per chiedere, in una mail inviata a Grillo, a Vito Crimi e al Comitato di Garanzia, che si rivoti su Rousseau. Il malcontento si allarga, i dubbi sul governo Draghi crescono. «Al Senato ne perdiamo la metà», è la fosca previsione di un deputato. E, a testimonianza del clima, la congiunta che era stata ipotizzata per la serata non si tiene. Si riuniranno solo i membri della Camera. «I senatori non hanno voluto», spiega una fonte parlamentare del Movimento. Ma anche a Montecitorio il malumore è tangibile. Giuseppe D’Ambrosio, deputato alla seconda legislatura, annuncia di lasciare il Movimento: «io non dimentico chi sono», è il suo messaggio d’addio. Anche un esponente vicino a Roberto Fico come Giuseppe Brescia, non nasconde i suoi dubbi sul nuovo esecutivo. Senza contare i «dibattistiani» alla Camera, da Alvise Maniero a Pino Cabras, con un piede già fuori dal gruppo. I vertici, per ora, tengono il punto. E, soprattutto, tiene il punto Grillo. «Da oggi si deve scegliere. O di qua, o di là. Scegliere le idee del secolo che è finito nel 1999 oppure quelle del secolo che finirà nel 2099», scrive il Garante, invitando i suoi ad «una transizione cerebrale». Poi è Roberta Lombardi, membro del Comitato di Garanzia, a provare a frenare la slavina. “Io avrei voluto il Conte Ter. Ma anche il Conte Bis mi andava bene. Ma dobbiamo giocare con le carte che abbiamo in mano», scrive in un post. Non basta. Da qui a mercoledì tutto può succedere. «E con un gruppo dimezzato, Lega e FI protesteranno sui nostri ministeri», sottolinea un deputato. E poi c’è Luigi Di Maio, riferimento dell’ala governista e sempre più lontano dai duri e puri guidati dal Dibba. Chiamato ora a far sentire la sua voce. Anche perché, la settimana prossima, c’è il voto sulla governance a 5, che potrebbe finire in buona parte nelle mani dei «descamisados». Tuttavia, la fronda potrebbe finire in un paradosso: votare No a Draghi violando quel voto sulla Rete che, per i dissidenti e per Davide Casaleggio, è l’eterna stella polare. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA