A Roma ne sono certi: Giuseppe Conte «vuole giocare la partita siciliana in prima persona». Se non addirittura sedendo fisicamente al tavolo giallorosso delle Regionali, almeno gestendo tutta la faccenda (sia dentro il Movimento, sia nei rapporti con il Pd) con mani libere soprattutto da quella che l’ex premier definisce «l’eccessiva litigiosità» dei “galletti” siciliani.
Questo è il principale motivo per cui il leader del M5S lunedì ha reagito in modo così rigido all’autocandidatura di Dino Giarrusso, bollata come «un’iniziativa assolutamente personale non concordata con i vertici», pur sapendo che non era la prima disponibilità in campo. Tant’è che la stessa ex Iena ha avuto gioco facile nel parlare di «veti ad personam».
L’uscita di Giarrusso tocca un nervo scoperto. Anzi: due, legati l’uno all’altro. Il primo è la lentezza, snervante per i grillini e imbarazzante nei confronti degli alleati, con cui Conte si sta muovendo (anzi: sta fermo) sul coordinatore regionale. Una mancata nomina diventata l’alibi perfetto per chi vuol perdere tempo sul candidato governatore di centrosinistra. Il secondo è un corollario: fino all’inizio della pausa festiva, come confermano fonti interne, l’ultima idea del leader era non designare alcun capo siciliano, ma indicare nove coordinatori provinciali, che, a loro volta, avrebbero eletto uno di loro – una sorta di primus inter pares per rappresentarli nelle trattative regionali. Un modo per non incoronare un viceré grillino di Sicilia, ma una figura più annacquata.
Ma il pressing sull’avvocato continua: «Lo schema può valere nel resto d’Italia, ma la Sicilia ha bisogno di un leader subito». E Conte alla fine potrebbe pure nominarlo. Con un identikit preciso: «Non divisivo», anche a costo di perdere in termini di carisma e pelo sullo stomaco. E qui tornerebbe il nome dell’ex ministra Nunzia Catalfo, col deputato regionale Antonio De Luca come outsider. I due scenari avrebbero innervosito pure un “contiano doc” come Giancarlo Cancelleri, papabile per antonomasia, fino a tentarlo di tirarsi fuori dalla corsa per la leadership siciliana. Ma non da quella per Palazzo d’Orléans.
E anche per questi motivi la mossa di Giarrusso è tutt’altro che avventata. Qualcuno, fra i suoi nemici, sottolinea il rischio di rompere con Conte e di uscire dal movimento, rinvangando anche un paio d’incontri (uno dei quali in pubblico, nel salottino dell’hotel Excelsior di Catania) fra l’eurodeputato e il segretario regionale della Lega, Nino Minardo, risalenti all’epoca in cui la designazione dell’odiato Cancelleri sembrava irreversibile.
Ma lo scenario, da inizio estate a ora, è molto mutato: Giarrusso non avrebbe gradito i nuovi acquisti siciliani, tant’è che da agosto in poi ogni contatto s’è interrotto; ma soprattutto oggi si sente più forte, o quanto meno avverte la subentrata debolezza degli altri rivali. Ed ecco la discesa in campo, che è decisamente dentro il perimetro del movimento. Invisa a quasi tutti i deputati regionali (che non ne sapevano nulla), ma apprezzata da uno zoccolo duro di attivisti e non sgradita alla frangia anti-Cancelleri. Ma l’ex Iena ha già sondato il gradimento al di fuori del M5S. Nel mondo moderato, ma anche dentro il Pd. Da dove arriva il primo like: quello dell’ex grillino Santi Cappellani, vicinissimo a Enzo Bianco del quale la madre dell’eurodeputato è stata storica collaboratrice.
Giarrusso fiuta anche il consenso della base. E invoca le pre-primarie, un voto online degli attivisti siciliani per scegliere il candidato governatore da proporre al Pd. Un’idea che potrebbe piacere molto anche a Luigi Sunseri, l’unico davvero in lizza (la candidatura di Nuccio Di Paola, eletto capogruppo all’Ars, è una boutade, visti i rapporti simbiotici con Cancelleri), uno dei pochi dell’Ars con un dialogo aperto con l’eurodeputato. Ma Conte, confermano a Roma e a Palermo, «di parlamentarie interne non vuol sentirne».
L’ex premier, semmai, è orientato a scegliere un suo nome da sottoporre a Enrico Letta, al quale non ha mai nascosto l’ambizione che «il candidato in Sicilia dev’essere del M5S». E allora, se Claudio Fava gongola perché non è più solo a invocare scelte rapide e primarie, il Pd (sbandierando i sondaggi che lo vedono avanti anche nell’Isola), si sente rinvigorito per la ragione opposta. «La nostra è la casa delle primarie, ma se proponiamo un candidato forte e di prestigio – è la tesi dei big regionali – anche il M5S dovrà accettarlo». A maggior ragione se logorato da una guerra di tribù.