Senatore Matteo Renzi, con il suo governo ci fu un investimento significativo sulle opere pubbliche nell’Isola: Patto per la Sicilia, Patti per Palermo, Catania e Messina. Che fine hanno fatto quelle risorse? E i cantieri?
«È una domanda che dovrebbe fare al presidente Musumeci. Verrà un giorno in cui qualcuno ricorderà che il più grande e sistematico investimento sul Sud lo ha fatto il mio governo, anche grazie all’azione di Claudio De Vincenti. Vedo che Musumeci reclama un Piano Marshall per il Sud. Lodevole iniziativa. Ma perché prima di chiedere altri soldi, la Sicilia non spende quelli che il nostro governo ha già stanziato? La cerimonia nella Valle dei Templi, con la firma dell’accordo, fu bellissima. Adesso, per favore, possiamo spendere questi benedetti quattrini anziché chiederne altri?».
A proposito: cosa pensa di Musumeci e che giudizio dà sul suo governo?
«Rispetto per la persona. Può sembrare banale, ma, in un momento politico in cui chi sta al governo nazionale educa a odiare, penso sia necessario ribadire che noi abbiamo grande rispetto umano e personale per i nostri avversari. Certo, il giudizio sulla Regione, purtroppo, non può essere positivo. E il blocco dei cantieri del Patto, ahimè, è un pessimo segnale. Noi abbiamo cercato di mettere al centro la Sicilia, non solo con i soldi per la cultura o per le infrastrutture ma anche con la mia personale decisione di togliere il G7 a Firenze e darlo a Taormina. Scelta che – le assicuro – mi è costata molto. Oggi mi sembra che la Sicilia sia di nuovo scomparsa dal dibattito politico. Non parlano più di Padania, ma nei fatti con i nuovi governanti il centro del dibattito politico è tornato interamente al Nord. Musumeci che fa? Lo spettatore di Zaia?».
Cosa pensa della proposta di autonomia differenziata imposta dal Veneto e dalla Lombardia al governo Conte? E come si spiega questa forza della Lega anche nel Mezzogiorno?
«Per il momento la parola autonomia vale tutto e il contrario di tutto. Che cosa significhi concretamente nessuno lo sa. La Sicilia, peraltro, ha forme di autonomia costituzionalmente garantite, ma nessuno ha la certezza che dietro il richiamo di Fontana e Zaia all’autonomia non ci sia per il Sud l’ennesima fregatura. Personalmente vengo dall’esperienza delle autonomie locali: preferirei un’autonomia incentrata sui Comuni, non nuovi centralismi regionali. Ma in realtà è solo un dibattito teorico, per il momento. Questi litigano su tutto e alla fine spesso arrivano a copiare le cose che avevamo proposto noi».
I litigi sono tanti. Ma a cosa si riferisce quando parla di «copiare le cose che avevamo proposto noi»?
«Sui litigi pensi solo alla Tap, all’Ilva, alle Olimpiadi, agli 80 euro, al Bonus diciottenni. E poi alla madre di tutte le battaglie che è la Tav. Toninelli ci ha fatto perdere un anno ma alla fine la Torino-Lione si farà come avevamo immaginato noi. Vedrà che presto qualcuno tornerà a dire che l’idea della Tav Napoli-Palermo è una buona idea e alla fine accetteranno persino il Ponte sullo Stretto. Opera che peraltro io ritengo fondamentale per la Sicilia, nonostante tutti gli insulti che ho preso quando l’ho rilanciata. Intanto però Musumeci e Toninelli sblocchino la Ragusa-Catania che noi abbiamo finanziato».
Che bilancio fa del Reddito di cittadinanza? E cosa cambierebbe dell’ “antenato”, ovvero il suo Rei?
«Il reddito di cittadinanza è una buffonata. Nel merito è poco più del Rei, ma dà un messaggio devastante e negativo ai nostri giovani. Nel Sud stanno diminuendo le domande per il servizio civile: conviene chiedere il reddito. E molte aziende in tutto il Paese non trovano lavoratori, specie stagionali. Il Reddito di cittadinanza è assistenzialismo allo stato puro: costringe il Sud a vivere in attesa del sussidio del potente di turno e non incita i ragazzi a mettersi in gioco. Del Rei cambierei il nome: è stato un clamoroso errore chiamarlo “reddito” per inseguire il M5S. Bisognava chiamarlo semplicemente “assegno temporaneo”. Ma nel merito sono fiero: quando sono arrivato al governo c’erano venti milioni di euro in budget per la povertà. Quando sono andato via c’erano due miliardi e settecento milioni. A tutti quelli che dicono: non vi siete occupati di povertà, dico “state dicendo una cosa obiettivamente falsa”».
Parliamo di Pd. Ha già firmato la petizione #senzadinoi lanciata da alcuni dem siciliani ? Il testo è questo: «Pd e M5s hanno valori in comune? Noi non li vediamo e non staremo mai in un partito che fa un accordo in Sicilia con i 5 stelle».
«Neanche io starò mai con i Cinque Stelle. E i loro valori quali sono? La lotta ai vaccini, il rifiuto della scienza, la mancanza di democrazia interna, il giustizialismo, la lotta contro la competenza, l’elogio di chi non studia, l’assistenzialismo? Non scherziamo… L’accordo con i Cinque Stelle serve solo per trovare una cura a qualche politico dem di lungo corso in crisi di astinenza. Astinenza da poltrona».
Non si è ancora spenta la polemica sull’annullamento del congresso del Pd siciliano e sul successivo commissariamento. Al Nazareno parlano di irregolarità nelle procedure, mentre Faraone ha tutt’altra tesi: «Mi hanno fatto fuori perché sono contrario agli inciuci col M5S». Lei che ne pensa?
«Che ha ragione Davide. Totalmente. Mai vista una decisione come quella di tornare sopra due volte lo stesso procedimento: la commissione di garanzia aveva già deliberato. Non importa essere laureati in legge per conoscere il principio “Ne bis in idem”».
Zingaretti ha nominato come commissario il franceschiniano Losacco. Che, in una recente intervista ha dichiarato: «Creare muri insormontabili fra noi e i cinquestelle in questa fase non mi sembra una scelta politica lungimirante», confessando di guardare «con grande attenzione» a «figure come Conte e Fico». Dopo la nomina, lo stesso Losacco ha rassicurato: «La Sicilia non sarà laboratorio di nuove alleanze». C’è da fidarsi?
«Dario Franceschini ha sempre immaginato un percorso diverso dal mio. Lo dice da mesi: io non sono d’accordo, ma rispetto la sua coerenza. Fortunatamente non mi occupo più del Pd. Se vorranno fare un accordo con chi ci dice che siamo il partito dell’elettroshock e che ruba i bambini alle famiglie, vadano loro a spiegarlo alla nostra gente. Io non ci sarò».
Faraone è fra i dem più sensibili al dialogo con i moderati, che in Sicilia ha visto anche uno scambio di amorosi sensi fra Miccichè e Sammartino. Lei pensa che ci potrebbe essere lo spazio per una nuova forza politica che parli a quel mondo? Qui da noi in molti sembrano spaesati e costretti in recinti innaturali dopo l’esplosione della Lega Nord anche al Sud.
«Messa così non mi convince. Esiste, certo, un grande tema moderati. E penso che la gente di centro in Sicilia non si riconosca in chi a Lampedusa va a insultare i migranti e i volontari: la grande tradizione cattolica democratica siciliana non può finire in un contenitore bislacco guidato da un istigatore seriale di odio come Salvini. Tuttavia sarebbe un errore pensare di costruire nuove iniziative politiche partendo dai vertici. Io spero che noi torneremo a prendere il voto di chi alle ultime elezioni ha scelto il Movimento Cinque Stelle o Forza Italia, ma riusciremo a farlo solo se saremo profondamente innovativi. Non se metteremo insieme pezzi di ceto politico. Questa è la sfida».
Faraone è stato molto attivo: tour in discariche e siti culturali, marcia sulla Ragusa-Catania, sfida a Salvini sui migranti e sul divieto “russo” di sciopero al Petrolchimico di Siracusa. Ma qualcuno ha storto il naso: «Non s’è occupato del partito siciliano». Che è l’unico col tesseramento fermo al 2017 e senza congressi locali. C’è una sana via di mezzo fra fare il segretario “on the road” e il segretario della “ditta”?
«Faraone è stato fatto fuori perché argine al disegno politico di un accordo con il Movimento Cinque Stelle. Penso che le sue iniziative “on the road”, dalla cultura ai rifiuti, da Siracusa a Ragusa siano sacrosante. Ma Davide è anche quello che l’anno scorso, proprio in questo periodo, ha fatto lo sciopero della fame per chiedere i fondi per le persone disabili. Prendo atto che Davide adesso è fuori dal Pd, avendo restituito la tessera. Spero che chi di dovere affronti il tema, altrimenti sarà solo l’inizio di una lenta emorragia. Poi se vogliono tenersi la ditta, ce ne faremo una ragione».
Perché, a un certo punto, da segretario nazionale non ha staccato la spina al governo Crocetta? Magari la storia per il centrosinistra siciliano sarebbe stata diversa…
«Forse sì. Molti dei miei amici ancora mi accusano per questo. Ma io dovevo pensare a governare il Paese, non a fare la guerra di correnti. E per noi parlano i risultati del nostro triennio, non le fake news di Salvini o Casaleggio. Io non ho mai preso decisioni dal nazionale, su nessuno, mai: il Pd è un partito democratico. O forse lo era. Nemmeno su Marino a Roma, contrariamente a quanto si dice. Ero affezionato a un partito che lasciava agli enti territoriali la propria autonomia. Non abbiamo mai commissariato nessuno, noi. Né ci siamo sostituiti agli eletti».
Insistiamo sulla petizione #senzadinoi. Dice: «Non staremo mai in un partito che fa accordi con il M5S». La stessa cosa vale anche per lei?
«Può dirlo forte. Se vuole, lo scriva pure in grassetto».
Twitter: @MarioBarresi