Lucia Borsellino ricomincia da sé «Rimessi i panni da tecnico, guardo oltre»

Di Mario Barresi / 07 Novembre 2015

Sanità e legalità: le due linee parallele che si sono sempre incontrate, nel suo lavoro. Lucia Borsellino ricomincia da sé. Senza nostalgie per la sua vita di una vita fa, quella da assessore regionale. «Guardo avanti, guardo oltre».
Con il suo distacco – algido, ma soltanto in apparenza – dal logorio della politica siciliana. Non parla, com’è ovvio che sia, di rimpasti né di veleni. Ma rinnova, da Roma, l’impegno per la sua terra. Che «si può amare e servire anche da lontano». A distanza. Alla giusta distanza. Siede accanto al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, e al capo dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone. E illustra il lavoro che il direttore dell’Agenas, Francesco Bevere (che dallo scorso settembre l’ha chiamata come dirigente) le ha affidato: una sorta di “vademecum” per le aziende sanitarie e gli ospedali.

Qual è il valore aggiunto di questo strumento anticorruzione in sanità?
«A differenza delle esperienze precedenti, è la prima volta che, in sede di primo aggiornamento del Piano anticorruzione, si definisce una sezione specifica per la sanità. Rispetto agli altri settori della pubblica amministrazione, in sanità bisogna incidere attraverso misure specifiche. Lo spirito di questo nuovo approccio al tema dell’anticorruzione è quello di cogliere l’opportunità per un’autoanalisi dal punto di vista dell’organizzazione e andare a verificare quegli ambiti dove si possono verificare sprechi, comportamenti opportunistici o disordine organizzativo».

E in pratica cosa succederà?
«Lo sforzo che abbiamo voluto fare, mettendo assieme Anac, ministero della Salute e Agenas, è di fare degli esempi concreti rispetto ai processi in modo da dare alle aziende degli strumenti operativi per accompagnare questo processo di revisione interna. E per questo l’Agenzia, che ha il compito di fare da interfaccia fra il ministero e le Regioni, disporrà attraverso un proprio link istituzionale una serie di esempi per le aziende perché possano individuare in alcuni settori delle misure specifiche».

Avete elencato alcuni esempi pratici?
«Noi ne abbiamo fatti alcuni, in questa prima sezione, che riguardano alcuni ambiti sensibili tra le quali le liste d’attesa, l’attività libero-professionale, la gestione contabile e patrimoniale delle aziende, i rapporti col privato accreditato, il ciclo degli acquisti, con un focus particolare sui farmaci. Sono le aree dove si concentrano parecchie risorse e dove confluiscono anche molteplici interessi. Vorremmo lanciare un messaggio positivo: la sanità è foriera di eccellenze, ma bisogna preservarla da tutti i rischi che ne possono minare le fondamenta».

Questo piano è anche l’ammissione di una doppia consapevolezza: in sanità c’è corruzione e bisogna avere strumenti per combatterla.
«Assolutamente. Credo che questa sia un’esigenza sentita e diffusa da parte delle organizzazioni sanitarie: avere un supporto ulteriore per rivedere i processi interni e i modelli di gestione e organizzazione. È stato un atto di autocritica da parte del sistema sanitario che si guarda dentro e vede in sé le possibilità di un miglioramento. Vista la quantità di risorse che si spendono in sanità, noi dobbiamo dare delle risposte sia in termini di qualità dei servizi, ma soprattutto di non discriminazione, dimostrando di saper guardare in quelle sacche dove ci sono degli sprechi».

E tutto ciò nel momento in cui si stringe la cinghia sui servizi sanitari regionali.
«Non bisogna sempre vedere tutto dal punto di vista della spending review. Questo può essere uno strumento che, assieme a tutti gli altri del Patto per la salute, può contribuire a rendere il sistema sostenibile».

Accanto a lei, oltre al ministro Lorenzin, c’era Cantone. Che oggi viene invocato anche nei verbali delle riunioni di condominio. Ma perché in Italia c’è questo grande bisogno di un uomosimbolo come lui? Non esistono gli anticorpi alla corruzione nella sanità?
«Io la vedo sotto un’altra ottica. L’Anticorruzione è l’autorità che ha uno sguardo su tutte le pubbliche amministrazioni. Ma ci si è resi conto, a 360 gradi, della necessità, in sanità, di utilizzare un linguaggio più vicino a chi opera. Vorrei uscire fuori dai personalismi: accanto all’Agenzia c’erano l’autorità anticorruzione e il ministro della Salute. Non è stata un’iniziativa unilaterale, ma condivisa in un protocollo d’intesa firmato a novembre, prima che io arrivassi».

A proposito: di cosa s’è occupata, da quando, dopo le dimissioni da assessore, è all’Agenas.
«Nell’ambito dei compiti che mi sono stati affidati, ho lavorato sull’implementazione del Patto per la salute e all’interno di questo anche un supporto tecnico alle attività che possano arricchire il tema dell’anticorruzione in sanità, anche attraverso esempi concreti che derivano dall’esperienza».

Un’esperienza sul campo, che aveva maturato con la sanità siciliana. Che magari, in termini di corruzione, è quella che ha maggior bisogno di questo nuovo strumento.
«Credo che ne abbiano bisogno tutte le articolazioni del sistema sanitario. Da quando sono qui, pur essendo siciliana, il mio compito è di guardare a tutta la sanità nazionale. Anche nell’approccio a questo lavoro ho fatto leva sull’esperienza maturata, però anche imparando a confrontarmi con altre realtà, in alcuni casi più virtuose e in altri meno. Non ci sono occhi particolari su un territorio piuttosto che un altro».

Era la prima uscita “ufficiale” dopo il ritorno al lavoro da tecnico. Nostalgia del ruolo da assessore, o magari senso di liberazione?
«No, io non rinnego nulla. Ogni parte della propria vita è importante. Non ho avuto assolutamente problemi a rimettere i panni di tecnico, quale sono sempre stata, in questa nuova esperienza lavorativa. Con tutto l’entusiasmo che i cambiamenti comportano».

Ma, vista da Roma, com’è l’Isola che ha lasciato?
«Non vorrei emettere giudizi. Non voglio apparire come chi, andando via, guarda con distacco la propria terra. Però so anche guardare oltre… ».

Insomma: sta bene dov’è adesso.
«Io quando faccio una scelta di solito sono molto convinta di quello che faccio. Ripeto: ogni parte della vita è importante, ma bisogna guardare sempre avanti».

Ma non pensa che poteva essere più utile alla nostra terra restando?
«Penso che ognuno di noi, per quello che può e che sa fare, può dare il proprio contributo. Penso che anche un lavoro come questo, seppur in un contesto diverso, possa essere utile. Non bisogna necessariamente lavorare nella propria terra, se la si ama e la si vuole servire. Anzi oggi è più frequente che accada questo. E quindi… è toccato anche a me».
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