CATANIA – «Non parlo di politica politicante». Questo è il patto. Siglato il quale, Raffaele Lombardo rompe il silenzio per intervenire sulla “secessione dei ricchi”. Un tema su cui l’ex leader dell’autonomismo siciliano (oggi sotto processo a Catania per concorso esterno all’associazione mafiosa e corruzione elettorale) dimostra di avere le idee chiare. Per difendere le quali s’infervora. Ancora. Oggi come ieri.
Lombardo, la riforma del regionalismo differenziato non sembra riscaldare gli animi dei siciliani.
«Purtroppo, la Sicilia è rimasta quasi del tutto assente nel dibattito sulle autonomie differenziate delle Regioni del Nord. Molti intellettuali e giornalisti hanno esposto le loro posizioni. Da noi “La Sicilia” ha dedicato due pagine all’argomento, c’è stata la lettera di Musumeci al premier Conte e poco altro. È importante, in tale contesto, la seduta dell’Ars convocata da Gianfranco Miccichè per domani (oggi per chi legge, ndr). Mi auguro che il dibattito sia di alto profilo. Si può trarre spunto dalle argomentazioni di Gianfranco Viesti o di Pino Aprile e dalle puntuali analisi del presidente della Svimez, Adriano Giannola. I partiti nazionali sono divisi al loro interno, sia Forza Italia che il Pd sono condizionati dai loro dirigenti di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Fortunatamente il M5S ha azionato un po’ il freno e poi devono schierarsi apertamente i movimenti autonomisti e i partiti regionali».
Cosa si aspetta dall’Ars?
«Spero che si arrivi ad approvare una mozione unitaria che non sia però un capolavoro del compromesso, che dice e non dice. Occorre una posizione netta sulle risorse finanziarie».
Cosa pensa dell’autonomia differenziata reclamata da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna?
«Che talune Regioni intendano governare alcune competenze va bene, ma che non pretendano di trattenere parte del gettito fiscale o è la fine del Sud e dell’unità d’Italia. Si innescherebbe un meccanismo che porterebbe alla desertificazione economica, occupazionale e demografica del Mezzogiorno. Immaginiamo la formazione scolastica e accademica. Già oggi chi può permetterselo spedisce i propri figli a studiare al Nord e paga le tasse e il costo della vita altissimo a Milano o Torino. Figuriamoci se quelle scuole e università dovessero avere più soldi e le nostre di conseguenza meno. Sarebbe la secessione ufficializzata».
I suoi “eredi” autonomisti rivendicano la diversità del federalismo fiscale varato nel 2009, che lei affrontò da presidente della Regione…
«La cosiddetta riforma del federalismo fiscale, la legge 42 del 2009, era positiva. Conteneva per il Sud e la Sicilia, fra l’altro, il principio della perequazione infrastrutturale e la fiscalità compensativa. Posso vantarmi che furono il frutto di una serrata trattativa col ministro Calderoli».
Argini sono rimasti solo sulla carta.
«La perequazione infrastrutturale è uscita dai radar, oggi però al centro del dibattito nazionale campeggia esclusivamente la Tav Lione-Torino… Di infrastrutture al Sud non parla più nessuno. Tanto clamore sulla Tav Lione-Torino e il ponte sullo Stretto …dimenticato. Nessuno tra quanti mietono o mieteranno voti da noi parla di costi-benefici e di quanto verseremo di risarcimento al general contractor, vincitore della gara…».
Che differenza c’è fra la Lega di Bossi, quella con la parola “Nord” nel simbolo e il rito dell’ampolla a Pontida, e il nuovo partito nazionale di Salvini?
«Le rispondo solo in materia di autonomismo. La Lega Nord di Bossi era autenticamente federalista e soprattutto disponibile a ragionare. Oggi Salvini, che ha cancellato la parola Nord, vuole surrettiziamente far passare il il progetto di una potenziale secessione mascherata da regionalismo differenziato».
Anche dal punto di vista fiscale il conto, per la Sicilia, sarà salatissimo.
«Sento parlare dei tributi versati dal Nord produttivo … Ci si vergogna a denunciare che prima dell’Unità al Nord non si stava meglio che da noi e che il sistema industriale fu finanziato con le riserve auree del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli? E che da allora, salvo la parentesi poco più che ventennale della Cassa del Mezzogiorno, nei restanti 140 anni lo stato “unitario” ha disunito ininterrottamente il Paese? Vogliamo chiedere con forza che si inverta questa maledetta tendenza e non a parole? L’Ars può fare la sua parte, ma ci vuole altro».
A cosa si riferisce?
«Intanto a delle buone leggi che ci scrollino di dosso l’immagine di classe dirigente incapace e sperperatrice. Se devo citarne due: il decentramento amministrativo dalla Regione a Province e Comuni e la semplificazione burocratica. Il presidente dell’Assemblea potrebbe lavorarci con l’impegno di tutti i gruppi. E poi servirebbero una grande manifestazione popolare e l’indizione di un referendum per l’attuazione integrale dello Statuto, a cominciare dal ripristino dell’Alta Corte illegittimamente abrogata e di cui oggi più che mai si avverte l’esigenza».
Un’ultima domanda. Visto che le altre Regioni avranno un’autonomia meno “ordinaria”, la Sicilia potrebbe enfatizzare la propria “specialità” magari pensando a un modello più spinto in stile Catalogna?
«Quella è un’altra storia: si parla indipendenza, non di autonomia. Epperò io mi sento molto vicino a quel popolo, che mostra coraggio e solidarietà ai leader. Reclamano un diritto. E sono pronti a sacrificarsi per ottenerlo».
Oggi lei è fuori dall’agone. Ma nella politica di casa nostra, se proprio non vogliamo parlare di un Puigdemont siciliano, c’è un leader all’altezza di continuare la battaglia autonomista di Lombardo?
«Aveva detto che la scorsa era l’ultima domanda. Tempo scaduto… Ne riparliamo un’altra volta».
Twitter: @MarioBarresi