Alla fine l’autodefinito “grande centro” – epicentro delle speranze dei sempre citati moderati siciliani; concentro di ambizioni e sopravvivenze – rischiava di rimpicciolirsi a tal punto da essere già poco più di un centrino.
Non se ne fa più nulla. A meno di miracolose unzioni democristiane o di minzioni autonomistiche, il progetto – molto ambizioso, eppure con un suo perché – di unificare in Sicilia tutti i pezzi di centro sembra archiviato per impraticabilità. «Liberi tutti», è l’amaro esito dell’ultimo incontro (stavolta senza paccheri), è c’è qualcuno che già prova ad accasarsi altrove.
E dire che avevano pure firmato una “Carta dei valori”, nella quale spiccavano i riferimenti all’«europeismo» così come agli «oratori cattolici» come «riferimento per i giovani», in vista di un’alleanza elettorale che puntava a «una lista che peserà almeno il 15 per cento». Con uno schema iniziale a quattro punte: l’Udc, Cantiere Popolare, Idea Sicilia e un’avanguardia di Italia Viva. E un “assembramento” iniziale di tre assessori regionali (Mimmo Turano, Toto Cordaro e Roberto Lagalla), una decina di deputati all’Ars, più sindaci e amministratori locali assortiti. Tutti (o quasi) adesso pecorelle smarrite nei pascoli del centrodestra siciliano, popolati da tanti lupi e da solo qualche raro esemplare di buon pastore.
Ma cos’è successo? Il giocattolo centrista s’è rotto per una serie di concause. L’ultima delle quali, in ordine cronologico, è l’uscita di scena dell’Udc. Decisivo il no del leader nazionale Lorenzo Cesa, che sin dall’inizio s’era mostrato freddo sul «laboratorio siciliano», adesso bocciato fino al punto di chiedere al segretario regionale Decio Terrana di tirarsi fuori assieme allo stesso Turano, fra gli ideologi iniziali del progetto.
I più maliziosi hanno una chiave di lettura nazionale con una spruzzatina di cose di casa nostra. Sarebbe stato Matteo Salvini, in trattativa con Cesa per una dépendance centrista della Lega (leggasi anche: una manciata di seggi sicuri per gli ex democristiani) a chiedere il boicottaggio dei suoi in Sicilia. E c’è chi pensa che dietro al “consiglio disinteressato” ci sia lo zampino di Luca Sammartino, neo-acquisto già molto ascoltato dal Capitano.
Ma il flop del grande centro ha anche punti di caduta molto più pragmatici: dalla contesa per la leadership (rivendicata, fra gli altri, dall’ex ministro Saverio Romano) alle divergenze sull’appoggio alla ricandidatura di Nello Musumeci, fino al derby fra Lagalla e lo stesso Romano per la corsa da sindaco di Palermo.
«Ognuno per sé e Dio per tutti», sospira deluso un accanito sostenitore del progetto. E così il riposizionamento è già in stato avanzato. Soprattutto da parte dei renziani ex Sicilia Futura. Fonti informate confermano che il discorso di Forza Italia con i deputati regionali Nicola D’Agostino ed Edy Tamajo sia già più che avviato. E con loro, fra gli altri, gli ex dell’Ars Beppe Picciolo (con ambizione di candidarsi a sindaco di Messina) e Michele Cimino, oltre che l’ex sindaco di Alcamo, Giacomo Scala.
Tutti accolti a braccia aperte da Gianfranco Miccichè, che pregusta «una super lista» a Catania (chissà come la prenderanno soprattutto Giuseppe Castiglione e Alfio Papale) e punta a riempire i vuoti palermitani lasciati dagli ultimi addii. Con questa transumanza di massa, Davide Faraone, già abbandonato dai Sammartino’s, rischia di restare l’ultimo dei mohicani-renziani di Sicilia.
E non è un caso che, ieri mattina nel corso della visita della viceministra Bellanova a Fontanarossa, il capogruppo di Iv al Senato sia stato avvistato in un’accorata chiacchierata al terminal partenze proprio con D’Agostino. «Ragazzi, non fate mosse avventate. Noi abbiamo un contenitore nazionale – è il senso del discorso – e sono gli altri a doversi ricollocare. Aspettiamo di capire cosa farà Matteo…». Non è dato sapere se gli ex siculofuturisti ascolteranno il consiglio, o magari proveranno a convincere lo stesso Faraone a fare un passo, magari concordandolo con lo stesso Renzi, verso una federazione con Forza Italia.
E gli altri orfani del grande centro? Romano rafforza l’asse con Raffaele Lombardo e sancisce la pace con Totò Cuffaro; Cordaro pensa di rifugiarsi sotto l’ombrello musumeciano; Lagalla punta tutto su Palermo; quelli dell’Udc, smarriti, s’interrogano sull’exit strategy della seconda lista leghista. Insomma, un magma in divenire.
Si salvi chi può. Perché dal grande centro alla polverizzazione degli atomi centristi è un attimo.