Stefano Candiani, chi è costui?
Qualcuno, con interessata malizia, lo ha già definito «il moralizzatore» della Lega in Sicilia. Gli attuali vertici minimizzano: «È un co-coordinatore regionale che ci affiancherà anche per gestire le prossime elezioni amministrative».
Ma, da ieri sera, Candiani (47 anni, di Varese, senatore al secondo mandato) è il nuovo commissario del Carroccio nell’Isola. E Matteo Salvini – in un blitz di 24 ore a Catania, disertando le consultazioni col presidente incaricato, Elisabetta Casellati – ieri porta con sé il suo uomo di fiducia. Per presentarlo ai dirigenti provinciali nella riunione riservata allo Sheraton: «Stefano è il nuovo commissario regionale, è lui che guiderà il nostro movimento in Sicilia in questa fase di crescita», dirà – fra applausi e qualche malcelato imbarazzo in sala – alle undici della sera. Ma lo scopo di Salvini è soprattutto legittimare con chiarezza Candiani agli occhi dei capibastone siciliani: «Ragazzi, da oggi quando parlate con lui è come se parlaste con me», chiarisce ai pochissimi commensali della cena di mezzanotte.
Dopo aver rintuzzato Luigi Di Maio («Non mollo Forza Italia, rispetto il voto: il secondo arrivato alle elezioni non può imporre le regole. Perché Di Maio non fa un passo a lato sulla premiership come me?»), nell’affollata conferenza stampa, Salvini tiene coperta la carta Candiani. E arriva al punto partendo da lontano. Approfittando della sollecitazione dei giornalisti sulla “questione morale” che investe il centrodestra in Sicilia. Compresa la Lega con l’unico deputato regionale, Tony Rizzotto, indagato per appropriazione indebita e i due leader siciliani – l’ex deputato Angelo Attaguile e il deputato Alessandro Pagano – toccati da un’inchiesta che ha portato all’arresto dell’ex parlamentare Salvino Caputo e del fratello Mario per presunti brogli alle ultime Regionali. «Non faccio né il giudice, né l’avvocato: lascio che faccia ognuno il proprio lavoro», abbozza Salvini. Con un sommesso invito ai magistrati: «L’unica cosa che mi sento di chiedere è di fare in fretta per dirci se c’è gente marcia o innocente». I leghisti siculi non temono le inchieste. Pagano, nei corridoi, parla di una «fattispecie di reato, attentato contro i diritti politici del cittadino, che è la stessa di Celentano dopo il discorso contro la caccia alla vigilia del referendum…». Accorata e tratti commovente la difesa di Attaguile davanti ai suoi: «Mio padre, prima di morire, mi ha consegnato l’onore del cognome che porto e io mi sono sempre comportato con onestà e correttezza. Perciò, sull’inchiesta, sono sereno».
Ma gli ultimi guai giudiziari hanno accelerato un percorso già avviato. È quello della Lega che cerca l’antidoto contro i saltatori nel Carroccio dei vincitori: «Noi andiamo avanti, visto che c’è anche qui c’è tanta gente che chiede di entrare. Però – scandisce Salvini – diremo dei sì e dei no. Chiunque d’ora in poi chiederà di aderire alla Lega dev’essere assolutamente al di sopra di ogni sospetto».
E qui arriva l’assist virtuale al “papa nero” in Sicilia. «Una fase di crescita forte – sostiene il leader della Lega – va accompagnata. Non mi interessa l’assalto alla diligenza di parlamentari e consiglieri regionali di altri partiti che chiedono di entrare da noi perché magari vedono nella Lega una garanzia del loro futuro politico. Per quel che mi riguarda: gente nuova, aria nuova». E i vertici commissariati? Continueranno «a essere parte fondamentale della nostra ulteriore crescita in questa regione», assicura ai microfoni. Allo Sheraton, invece, poco dopo andrà in scena il duro attacco di Filippo Drago, sindaco di Aci Castello e candidato nelle retrovie alle Politiche, contro Attaguile: «Ha messo la sua segretaria, Carmen Droise, capolista a Siracusa… Queste cose i nostri elettori non ce le perdonano».
Ma Salvini non fa una grinza. E si professa «grato a chi ha portato avanti la Lega sin qui, uno sforzo incredibile, perché fino a poco tempo fa portare avanti le nostre battaglie in Sicilia era impensabile. Poi è diventato difficile, adesso è più semplice». Anche nell’incontro di partito l’aspirante premier ringrazierà Attaguile «per il gran lavoro che ha fatto fino a oggi». La strategia, però, è definita: «Un movimento che cresce ha bisogno che questa crescita venga accompagnata e quindi ci saranno anche altre energie», anticipa ai giornalisti. Adesso, in Sicilia come altrove, «c’è bisogno di gente che, essendo fuori da logiche locali, è più libera». Perché «quando cresci troppo, c’è bisogno di altre scosse».
La fuitina catanese, oltre che per prendere aria e tempo dall’impasse nazionale, a Salvini serve anche per discutere delicate questioni siciliane. A partire dal mal di pancia per il mancato assessorato nel governo di Nello Musumeci: «Noi abbiamo aumentato i voti, ma siamo fuori dalla giunta regionale», certifica Salvini. Commentando: «Sarebbe stato teoricamente giusto darcelo dall’inizio, visto che a vincere era stata una squadra. Hanno ritenuto che in quella squadra c’era qualcuno che non meritava di giocare da titolare. Non ce ne siamo fatti un cruccio allora e non chiediamo niente adesso». Il leader della Lega augura «buon lavoro» al presidente, prendendo però atto che «i siciliani non sono soddisfatti dei primi mesi del suo governo». Questa, secondo Matteo, la radice del flop del centrodestra siciliano. «Se si vincono le Regionali e poi si perdono le Politiche, vuol dire che hai sbagliato in qualcosa», ridacchia davanti alle telecamere. «Musumeci sta governando male», dirà poco dopo – molto più esplicito – ai suoi dirigenti riuniti.
Da qui si riparte. Un equilibrio precario, ma in evoluzione. Accogliendo i segnali di Forza Italia, lanciati da Gianfranco Miccichè sulla necessità di un centrodestra unito alle Amministrative. «Se ci sono candidati sindaci competitivi e puliti – consiglia Salvini allo Sheraton – allora dobbiamo dialogare con gli alleati, a partire da Salvo Pogliese». Un concetto ripetuto nella cena a base di pesce in un ristorantino di Santa Maria La Scala. Al tavolo con lui Attaguile, Pagano e Rizzotto, ma anche il neo-deputato Carmelo Lo Monte e il mancato deputato Fabio Cantarella, vicesindaco di Mascalucia molto stimato dal capo.
Oggi, forse, un fugace incontro fra Salvini e Pogliese. Per suggellare il via libera della Lega all’eurodeputato azzurro in campo a Catania e il contestuale ritiro della candidatura di Attaguile, magari col ruolo di vicesindaco designato. «Ma non chiediamo poltrone, pretendiamo solo pari dignità», è la linea ufficiale.
Nel frattempo Candiani c’è, ma non si vede. Prima, durante e dopo. In pochi, in conferenza stampa, notano più di tanto la sua presenza. E dire che lui – abito blu di buona sartoria, occhialini con montatura a giorno, aria da sacrestano del Varesotto – tutto sembra, tranne che una camicia verde sbarcata per convertire con la forza i reprobi isolani. Eppure, nel suo stile british, è ritenuto un duro. Ex sindaco del suo paese (Tradate), è stato segretario del Carroccio in provincia di Varese e poi, entrato a Palazzo Madama, due volte vicecapogruppo. «È uno che parla sottovoce e fa urlare i fatti», è il biglietto da visita che arriva dall’Umbria, dove Candiani è stato commissario negli ultimi quattro anni. Un ruolo che, col congresso ormai imminente, terrà per poco tempo ancora. Per poi tuffarsi nel mare tempestoso della Lega sicula.
«Per adesso non parlo, sono qui solo per ascoltare», dice il commissario al cronista curioso.
Lo “specialista” padano ha già capito tutto, della Sicilia.