Eppure – dal 2007, quando urlava in piazza contro il caro-bollette in attesa del primo V-day con i Grilli Nisseni, a oggi, con la mesta uscita dal M5S «distrutto e senza consensi» – lui non è mai cambiato. Giancarlo Cancelleri s’è raffinato nell’estetica (via il pizzetto, belle cravatte, abiti sartoriali) e soprattutto nella tecnica politica. Ma è rimasto «il più democristiano dei grillini», come lo definimmo una decina di anni fa senza che lui, grande capo dei 5stelle di Sicilia, s’offendesse. «Non l’ho mai votata, la Dc, ma mi piace». Stesso patentino ricevuto da un’autorità in materia: Raffaele Lombardo, suo alleato mancato.
«Al movimento ho dato tanto, tutto me stesso», ripete agli amici. E ha ragione, visto che il M5S siciliano lo ha incarnato per un paio di lustri. Ricevendo almeno altrettanto: due volte deputato all’Ars (di cui è stato vicepresidente), ai Trasporti da viceministro con Giuseppe Conte e da sottosegretario con Mario Draghi, più il “reddito di fratellanza” decennale per la sorella Azzurra parlamentare a Roma.
E così, nel giorno del divorzio unilaterale con addebito – «deluso da Conte» e «insultato» da chi prima lo osannava – senza che la controparte lo degni d’un sospiro («Non voglio sparare sulla Croce Rossa», sibila l’eterno rivale Luigi Sunseri; fra i pochi amici l’erede penta-dc Nuccio Di Paola), Gianca’ è finalmente libero di essere se stesso. Di parlare, e pure d’inciuciare, con chi vuole, senza sentirsi Alvaro Vitali nell’armadio di Edwige Fenech. Come quella volta in cui, lui “pontista” convinto, da uomo di governo si prendei gli insulti del 99,9% dei grillini che sullo Stretto non vogliono né campate né il «tunnel subalveo» del viceministro. «Ma ho convinto Conte a rifletterci», esulta. Ed è tutto vero. Del resto il dialogo senza tabù è da sempre la sua specialità. Dal «modello Sicilia» con Rosario Crocetta (che l’ha appena sconfitto nel 2012) all’offerta di «un foglio e due penne» rifiutata da Nello Musumeci (che l’ha appena sconfitto nel 2017) fino al «campo larghissimo» anti-FdI concepito con Gianfranco Miccichè (e non soltanto), con cui la scorsa estate pensa di entrare finalmente a Palazzo d’Orléans.
Ma “Giuseppi” dice no. Al famolo strano e al terzo mandato dell’eterno aspirante governatore in asse col Pd. Un rifiuto ora ribadito al “catanese” Giancarlo (neo-residente per amore di Roberta, psicologa nissena da anni trapiantata sotto il Vulcano) che vuole fare il sindaco. O almeno provarci. Col favore dei primi sondaggi e col benestare di Anthony Barbagallo – indimenticabili le foto da “Thelma&Louise” del primo flirt giallorosso – nonostante l’astio di portavoce (si chiamano ancora così?) e attivisti etnei. Che fanno un salto sulla sedia quando Gianca’ si presenta, con la sua faccia di flosculo, alla riunione che dovrebbe incoronare l’ex ministra Nunzia Catalfo «candidata d’alto profilo» per convincere Conte a concederle la stessa deroga negata a lui. Ma non demorde. «Un fronte civico progressista allargato ai moderati per battere le destre», la proposta in un’intervista a La Sicilia rimasta inascoltata. O quasi. Cancelleri parla con Enzo Bianco e ne diventa l’alfiere. Ma il “patto della pedana”, con l’ex sindaco in campo e lui assessore in pectore («abbiamo la stessa idea di smart city»), dura fino allo stop della Corte dei conti. Gianca’ è già pronto a immolarsi da candidato civico-moderato. Bianco, senza dirglielo, converge su Maurizio Caserta, adorato totem grillino. Il fronte s’allarga, come auspicato da Cancelleri. Aveva ragione. Ma a sua insaputa.
Un vicolo chiuso. Non al dialogo: lo riprende con Giuseppe Castiglione affinché interceda presso Carlo Calenda; l’avvia con i big etnei di Forza Italia, puntando a Renato Schifani.
Ora Cancelleri salta un giro: non sarà candidato, neppure in consiglio. Ma lui non molla mai. È un incassatore e un lottatore nato. «Orgoglioso» d’aver fatto, dal 2000 al 2007, il magazziniere in una ditta metalmeccanica, promosso impiegato tecnico col diploma di geometra, l’ex m5s più potente di Sicilia (adottato da Beppe Grillo, che suole definirlo «un miracolato ingrato: lo avevo accolto come un figlio, portandolo pure a casa mia»; viceré siculo nel regno di Luigi Di Maio, poi mollato per diventare contiano di ferro) è certo d’un biglietto di ritorno nel viaggio dall’altare alla «cruenta polvere».
E ora che fa? Lo danno dialogante – ah, quanto gli piace dialogare – con Forza Italia, ma anche con Cateno De Luca. Che, apprezzò molto l’apertura sul Ponte: «Solo i cretini non cambiano idea!». Ma che poi, nell’ultima campagna elettorale, lo etichettò come «ubriacone delle notti romane, tanto hai l’autista del ministero che ti riaccompagna». Gianca’ alla corte di “Scateno” per «costruire un percorso bello»? Sì, forse. Ma non subito. «Peggio di Dino Giarrusso, gli è finita…», il perfido commento di un ex adepto dei bei tempi da Marchese del Grillismo.
Twitter: @MarioBarresi