La svolta autonomista di Musumeci per creare un grande partito siciliano

Di William Savoca / 16 Dicembre 2018

Nell’auditorium, pieno come un uovo, della Kore rimbomba il colpo di scena: un partito maggioritario regionale, sul modello di Trentino e Val d’Aosta, che «muova il 35-40%» nell’Isola, «capace di condizionare anche le scelte nazionali, facciamolo io ci sto!», scandisce il governatore. Allargando l’invito perché, dice, «se ci vuole stare Forza Italia sia la benvenuta, rinunci al simbolo e stia con noi, ognuno di noi rinunci da simbolo». E allora con buona pace di Roma «che saprà comprendere le ragioni» di una terra bistrattata dal «ruolo fallimentare» di tutti i partiti nazionali, «nessuno escluso». Per la sua storia «è la Sicilia che deve coprire questo vuoto nell’area moderata, non con un solo uomo, ma con più anime, con la partecipazione dal basso». Con «un solo sentimento, senza risentimenti» eppure, aggiunge, «non possono essere le Europee a condizionare il progetto, sarebbe un peccato, deve essere progetto che matura prima e sarà un modello per l’Italia».

Ci crede Musumeci in questo progetto, ma sembrano crederci anche i tanti “orfani” di Raffaele Lombardo, i quali applaudono con convinzione il leader di DiventeràBellissima. Un fiume in piena, il governatore, che travolge il M5S «il vuoto della politica, una setta animata da pregiudizi e rancore». Ma stilettate anche al governo gialloverde (e alla Lega, potenziale partner del movimento di Musumeci), che «non ha vita lunga, ma non ha alternative, sono costretti a stare insieme tra mille contraddizioni». L’alternativa, dice il leader del centrodestra siciliano «dobbiamo crearla noi, quelli che siamo qui, che ritengono che nell’area moderata in Italia ci sia ancora un grande spazio da coprire».

Davanti a sé Musumeci ha personaggi e storie politiche che oggi stanno dentro ma anche fuori dal suo governo: in sala i suoi assessori (Ruggero Razza e Mariella Ippolito su tutti) e i deputati del centrodestra all’Ars, ma anche il segretario di Sicilia Futura, Beppe Picciolo, con il deputato regionale Edy Tamajo e l’ex presidente di AnciSicilia, Giacomo Scala e altri Cardinale-boys in transito verso l’ex Mpa. E poi Basilio Catanoso, in pista per le Europee con Forza Italia, di cui rappresenta la “tendenza anti-Miccichè”. Dietro le quinte, assente ma immanente, l’eminenza grigia dell’autonomismo siciliano: Raffaele Lombardo. Rappresentato da molti suoi “colonnelli”. A prendere la parola, oltre a imprenditori e esponenti della cosiddetta società civile, sono soltanto alcuni. Dal padrone di casa, Francesco Colianni (figlio di Paolo, in giunta regionale con Lombardo), rampante assessore a Enna, all’ex sottosegretario Pippo Reina, fondatore e presidente di “Sicilia-Regione-Nazione”, che ha tracciato «l’identikit ideologico» del movimento, un mix fra «radicamento sul territorio» e «piattaforme informatiche». E Per Innocenzo Leontini, eurodeputato di Forza Italia, ma «votato dagli autonomisti», bisogna «riformare le politiche Ue penalizzanti per la Sicilia».

Il nodo non è l’Europa. Ma le Europee. Perché se i temi classici dei lombardiani restano gli stessi (il Ponte sullo Stretto, l’alta velocità ferroviaria e la fiscalità di vantaggio), quello che cambia è lo scenario delle alleanze. Significativa la presenza a Enna di Andrea Del Mastro, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. Non è un mistero che gli ex Mpa guardino con interesse alla federazione di conservatori e autonomisti di Giorgia Meloni, sostenuta in Sicilia dal senatore Raffaele Stancanelli, ex coordinatore di DiventeràBellissima. Del Mastro, su precisa delega di Meloni, esterna un «grande interesse verso il vostro movimento».

E se nel comunicato stampa dell’evento si ammette che gli autonomisti guardano «con interesse» al progetto Meloni «ipotizzando un rapporto federativo fondato su un programma di pochi punti essenziali», altrettanto chiaro è stato l’intervento conclusivo (subito dopo Musumeci) di Roberto Di Mauro, che ha indicato «con molto realismo» l’ipotesi di «un’alleanza con un partito nazionale, con un rapporto federativo fondato su un programma minimo di fiscalità di sviluppo e di infrastrutture, che possa consentire l’elezione di uno-due eurodeputati siciliani. Il vicepresidente dell’Ars, da vecchia volpe, non cita il nome del «partito nazionale». Ma lo lascia intendere, per esclusione, dopo aver bocciato le politiche della Lega per il Sud e dopo aver espresso, rivolto al governatore, dei dubbi che «Miccichè e la Prestigiacomo rinuncino al simbolo per fare una lista autonomista con noi». Per sottrazione, nel futuro prossimo degli eredi di Lombardo, c’è il patto con Meloni. Prospettiva diversa dalla proposta lanciata (pur con molti applausi) da Musumeci.

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Redazione
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