Catania – C’è già un impegno, nella nuova agenda di Nello Musumeci aspirante leader del centrodestra a trazione leghista. Il prossimo 26 giugno il governatore sarà a Roma, dove, fra gli altri, vedrà i più influenti colonnelli di Matteo Salvini (di certo Stefano Candiani, forse pure Giancarlo Giorgetti) e chissà che non ci sarà tempo e spazio per un caffè col capo del Carroccio.
Ma il neo-interventismo politico del presidente della Regione – lo stesso che disdegnava i vertici di maggioranza e assicurava di non volersi più ricandidare – avrebbe un respiro corto se si limitasse a trasformare il suo movimento in #DiventeràLeghistissima. Il percorso, prefigurato insieme con l’apostolo-consigliere Ruggero Razza quasi un anno fa, quando a molti altri appariva un’eresia, oggi ha una forte concretezza in quella che Musumeci definisce «una prateria» politica. Ma come si fa a issare la bandiera sicilianista mentre si porta avanti la federazione (o l’alleanza) con Salvini? Se si scioglie l’anacoluto politico, quella del governatore può diventare una mossa vincente. Con un paio di rischi calcolati. Il primo è quello che il flirt col Carroccio (come già emerge dai commenti sui social) possa impaurire chi ha votato il “fascista perbene”, apprezzandone la capacità e lo stile di governo, pur non essendo di destra né di centrodestra; sull’altro piatto della bilancia, invece, i siciliani che – bontà loro – sono folgorati dalla Lega continueranno a preferire l’originale. Il secondo rischio è ricopiare il modello Mpa (ma con molti meno voti di quanti non ne avesse 15 anni fa Raffaele Lombardo), con un interlocutore – Salvini, appunto – che sembra avere più un interesse tattico, il quid in più per strappare i collegi siciliani al M5S, che un sincero afflato verso l’Isola.
Ed è anche per sterilizzare questi due rischi che il progetto di Musumeci è ben più ambizioso: «Dobbiamo essere l’elemento di novità, ecco perché al Sud vogliamo esserci per intercettare milioni di meridionali che hanno bisogno di sentirsi rappresentati», ha detto sabato a Palermo. Con Razza che annuiva platealmente. È proprio l’assessore alla Salute a gestire l’extended version della svolta del presidente. Una rete di contatti già avviata con una decina di parlamentari nazionali del Sud, che «certo non sono di centrosinistra». Soprattutto calabresi e campani, con l’ambizione di «formare una componente del gruppo misto in almeno un ramo del Parlamento». Ma con un preciso sbarramento: «Niente riciclati o rifugiati politici». Ed è per questo che ogni singolo curriculum viene scandagliato prima di trasformare il contatto in un incontro. Anche deputati e senatori siciliani, ça va sans dire, sono osservatori interessati dell’attivismo musumeciano.
Roma, ma non soltanto. Visto che pure all’Ars l’uscita del governatore – seppur prevista e prevedibile – suscita una certa curiosità. A partire dai Genovese’s. Il giovane deputato regionale Luigi sabato era in piazza Verdi. «Sono qui per sostenere il presidente», ha detto esternando la sua «stima» per Razza filo-leghista. Un cavallo di Troia con cui la famiglia messinese del ras Francantonio, sostenitore di Angelo Attaguile alle Europee, vuole introdursi nella nave leghista dopo che il commissario Candiani ha rifiutato il permesso di salire a bordo? Vedremo. Ma il punto non è questo. Il progetto del leader di DiventeràBellissima ha un certo appeal per molti altri. A partire dagli Autonomisti. Lombardo osserva e dice ai suoi che «Salvini oggi è per Musumeci ciò che per me era Berlusconi nel 2005: l’unica scelta possibile». L’ex governatore non si espone, ma chi ha parlato con lui in queste ore assicura di aver colto «un certo interesse» soprattutto se «Nello riuscirà a mettere sul tavolo della flat tax la fiscalità di vantaggio per chi investe in Sicilia e riaprire, con i leghisti che si battono per la Tav, il discorso del Ponte e di un piano straordinario di infrastrutture per l’Isola». Ma anche da ambienti forzisti e centristi – per convinzione o per istinto di sopravvivenza – non si nasconde un tiepido interessamento. Soprattutto, rivela un deputato regionale della coalizione, se «si pensa a un grande soggetto dal cuore siciliano, non distante ma distinto dalla Lega». E Musumeci, che ha chiuso il comizio di sabato con un’invocazione divina «ma senza il Rosario in mano», sta parlando – direttamente o per interposta persona – anche con tutti loro. E con Salvo Pogliese, sindaco di Catania politicamente “senza tetto” dopo l’addio a Forza Italia.
E domenica prossima, nel periodico “ritiro spirituale” della giunta, magari illustrerà anche agli assessori questa nuova rotta: dove si va e con chi. Si parlerà delle sfide del governo regionale e anche del “rimpastino”, con i successori di Sebastiano Tusa e Sandro Pappalardo da nominare «non oltre la fine di giugno», dicono da Palazzo d’Orléans. Perché, continua a ripetere Musumeci ai suoi, «la mia priorità resta quella di ricostruire la Sicilia dalla macerie che ho trovato». E magari altri cinque anni di un mandato-bis, garantiti dalla “polizza” salviniana, adesso gli possono pure tornare utili.
Twitter: @MarioBarresi