Per chi la guarda da fuori sembra una storia come tante altre. Un sindaco uscente (di più: eterno) che vuole tornare in sella; il suo ex vice, battuto nell’ultima tornata che vuole prendersi la rivincita; gli altri aspiranti in corsa con ambizioni di vincere o di far perdere; e poi le coalizioni, che si rompono dopo aver tentato di unirsi, magari in attesa di ricomporsi, più per necessità che per voglia, al ballottaggio. Ma Misterbianco non è questo. O meglio: è anche questo, ma è molto altro. E soltanto scrutandola dall’interno, dalle sue viscere – i respiri e i sospiri, gli amoreggiamenti e i tradimenti, il rampantismo e la vendetta, l’orgoglio e il pregiudizio -può tentare di capirla, l’elezione più delicata, strana, grottesca, imprevedibile degli ultimi decenni.
Il punto di partenza è una macchia. Lo scioglimento del Comune, nel settembre di due anni fa, per «accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali». Che le cosche controllassero territorio e affari, in questo immenso agglomerato dell’hinterland etneo era una verità già scritta in quintali di carte giudiziaria. Ma che la mafia fosse di casa dentro il municipio è stata la novità, durissima e sconvolgente allo stesso tempo. Nonostante le avvisaglie spiattellate nell’inchiesta “Revolution Bet 2”, che portò all’arresto dell’allora vicesindaco Carmelo Santapaola: al Comune, secondo i magistrati, ci sarebbe stata «una occupazione sistematica dell’istituzione volta ad avere un controllo pieno di appalti e assunzioni».
Le mani della mafia sulla città? Una domanda tanto gigantesca quanto scontata, un polarizzatore naturale di opinioni. O di qua o di là, critici e negazionisti, innocentisti o colpevolisti, apocalittici o integrati. Il più dirompente, come da suo costume genetico, è Nino Di Guardo, 78 anni, il «sindaco che non si arrende» nello slogan elettorale, in carica per la quinta volta al momento dello scioglimento. «Una solenne bugia, un’impostura» per l’ex deputato regionale, oggi nel Pd, anima critica della sinistra etnea sin dai tempi di falce e del martello. Di Guardo ci riprova. Come usato sicuro, come protagonista di tante impensabili vittorie, spesso in solitudine. Ma questa è la sfida finale, la battaglia della vita. «Morirò con la fascia tricolore addosso», è il suo ultimo desiderio. Se non dovesse riuscirci sarà la sua morte politica. E si gioca tutto proprio sul tema della legalità: «Un mafioso non ha mai messo piede in municipio», il solenne giuramento.
Difesa e attacco, durissimo. Come quello sferrato in un comizio in cui l’ex sindaco cita i casi di suoi candidati al consiglio, «un giovane» e «una donna», sottratti, a suo dire, dallo sfidante Ernesto Calogero, «burattino di Luca Sammartino e Valeria Sudano», con promesse di posti di lavoro o minacce di licenziamento. Di Guardo, sul palco, s’è offerto di testimoniare davanti ai magistrati, ma – secondo quanto risulta a La Sicilia – non è stato convocato né sentito. Ma la vicenda potrebbe finire in tribunale anche per la legittima risposta (una o più querele) delle persone citate. Il passato può anche essere una terra straniera, ma la politica resta la Disneyland delle nemesi. E così Di Guardo, che ulula di voler impedire che «costoro mettano le loro mani sporche su Misterbianco», ha perso il bacino di voti che furono decisivi nel 2017 per stravincere al primo turno con oltre il 52%: quelli frutto dell’accordo proprio con Sammartino, all’epoca suo compagno di partito nel Pd. Una posizione piuttosto complicata (per non dire contraddittoria) per l’ex sindaco. Tanto più che proprio l’ex vice di Di Guardo, Santapaola, fra gli indagati di “Revolution Bet 2”, era considerato un fedelissimo proprio di Sammartino: nelle carte dell’inchiesta, nella quale il deputato regionale non è sfiorato, emerge anche una chat (nome in codice: “Fratellanza”) per scambiarsi informazioni e strategie politiche. E poi c’è un aspetto squisitamente politico: Sammartino, in attesa di due processi a Catania per corruzione elettorale, punta tutto proprio su un candidato dal profilo pulito, soltanto omonimo (e lontano parente) di quell’Ernesto Calogero, in lizza alle Regionali del 2017 con DiventeràBellissima, tacciato di essere uno degli impresentabili dopo lo screening dell’Antimafia. Il Calogero reo confesso di un «appoggio amichevole» di Sammartino (che sperimenta il peso del brand della sua lista civica diversamente leghista, “Il Quadrifoglio”) è un ex consigliere provinciale e comunale a Catania, molto apprezzato a Misterbianco anche per il radicamento nella formazione professionale con il Cirs.
E poi a Di Guardo, oltre al sostegno del suo ex alleato oggi nemico numero uno, mancheranno – almeno al primo turno – i voti grillini. A Misterbianco, infatti, l’idillio giallorosso, vincente altrove, è stato stroncato sul nascere. E dire che un tentativo unitario c’era stato: un lungo (e tormentato) caffè al bar Mazzini, promosso dalla premiata ditta Anthony Barbagallo-Giancarlo Cancelleri, alle presenza dei deputati 5stelle Jose Marano (Ars) e Luciano Cantone (Camera), alla presenza dello stesso Di Guardo. Nulla di fatto, anche per i mal di pancia della base grillina. Il M5S, alla vigilia dello scioglimento, chiedeva le dimissioni del sindaco. Che, sul nostro giornale, rispondeva: «Per ‘sti giovanotti, che stanno rovinando l’Italia, ‘u fùttiri è comu ‘u pisciàri». Traduzione superflua. A dare il colpo di grazia all’accordo con l’uscente dem è stato il comizio dell’eurodeputato Dino Giarrusso (molto ascoltato qui, grazie anche al suo fedelissimo Massimo Costanza), in cui il M5S ha ufficializzato l’incompatibilità «con chiunque sia coinvolto nello scioglimento». I grillini controbattono con una candidatura bella e impossibile: il civico Massimo La Piana, formatore aziendale, consigliere per 15 anni e candidato sindaco (col sostegno del Pd) nel 2012, da sempre in trincea con i comitati contro la discarica. Nel M5S c’è stata un po’ di maretta con una dozzina di espulsi e alcuni candidati tacciati di collaborazionismo (voto disgiunto?) con Di Guardo. E non è dato sapere come si comporterebbero in caso di esclusione di La Piana da un ballottaggio in cui ci fosse Di Guardo, al netto di un flirt che qualcuno intravvede fra un’anima grillina e il leghista Sammartino.
In questo “triangolo” Di Guardo-Calogero-La Piana, cresce a vista d’occhio la candidatura espressa da tutto il resto del centrodestra: Marco Corsaro, ex vicesindaco e assessore dello stesso Di Guardo, poi suo più chiaro oppositore. Il progetto di Corsaro, sul quale si scommette in prima persona l’assessore forzista Marco Falcone, è stato preparato con cura durante la doppia quarantena (scioglimento e Covid) e rappresenta l’alternativa più chiara al regno della sinistra. Corsaro, citato nelle carte ma estraneo alle vicende dello scioglimento, è quello che, assieme a La Piana, ha mani più libere sulla discontinuità che strizza l’occhio a quella parte di elettorato convinto che in fondo qualcosa di losco nel Palazzo ci sia stato. Fra gli assessori designati c’è Pippo Bongiovanni, militante azzurro dopo tanti cambi di casacca e nemico giurato dell’ex sindaco Ninella Caruso: proprio per calunnia contro di lei e il suo vice, Francesco Galasso, ha sul groppone una condanna in veste di impiegato comunale. E nelle ultime ore si apprende che un candidato di una delle liste del centrodestra abbia protocollato all’ufficio elettorale il proprio ritiro dalla contesa per un’ipotesi di incandidabilità, che potrebbe avere un secondo caso analogo ancora soltanto sussurrato.
Insomma, la tensione è altissima. E la smania di fare, tutti e subito, i conti col recente passato rischia di mettere in secondo piano il futuro. Con i problemi da risolvere. Tanti e pesanti. La guerra dei rifiuti, con la discarica della Oikos (altro cavallo di battaglia di Di Guardo contro i suoi nemici) più volte nella bufera giudiziaria e ancora al centro dei riflettori per la richiesta alla Regione di una nuova autorizzazione ambientale per il sito di Valanghe d’Inverno, con ancora aperto il mistero sulla sorte di Tiritì, discarica esaurita nel 2013 (bonifica per sospetto inquinamento o tombatura dei rifiuti abbancati?). Eppure il tema dei rifiuti è forse il meno sentito nelle tante periferie, tutte diverse fra loro, che si sentono da anni abbandonate al proprio destino. Proprio come la gloriosa zona commerciale, fiore all’occhiello della Sicilia orientale, oggi trasformata in una Chinatown senza arte né parte. La Cisl vorrebbe rinnovarla, fra insediamenti artigianali e start up. Ma ci vorrebbe un sindaco pronto a raccogliere questa sfida epocale. Che però fa tremare un po’ meno i polsi, rispetto alla vera missione di chi vincerà domenica o, più probabilmente al ballottaggio: traghettare una città in crisi d’identità dall’era delle ombre (mafiose e non solo) fino alla fine del tunnel. Laggiù, questo è sicuro, un po’ di luce si vede già.
Twitter: @MarioBarresi