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Il rancore di Musumeci per il “banditismo politico” che l’ha fatto fuori e quella staffetta avvelenata con Schifani

All’evento sulla sanità di Razza l’onore delle armi: «Chapeau per il vostro lavoro». Ma il governatore non trattiene la rabbia per il mancato bis

Di Mario Barresi |

Doveva essere il vero passaggio di testimone. A Catania. Fra Nello Musumeci, governatore uscente, e Renato Schifani, candidato del centrodestra che aspira a succedergli. Nel corso del meeting “Il diritto alla salute dei cittadini siciliani”, organizzato da Ruggero Razza per congedarsi da assessore col bilancio dei cinque anni, davanti al gotha della sanità.

E lo è stato. Quasi fine alla fine. Un evento “politico” (in sala molti candidati di FdI), ma soprattutto un rito catartico. Concepito anche per dissipare i dubbi su un certo malessere del presidente della Regione, non rivoluto dalla coalizione, alimentato dall’assenza alla kermesse di lancio della candidatura del senatore forzista a Politeama di Palermo, proprio all’indomani della plateale uscita di sala di Musumeci, al Bellini di Catania nell’evento di una nota catena di distribuzione, prima che prendesse la parola il suo potenziale successore. Abbastanza per ipotizzare il sospetto che «gli unici a non volere la vittoria di Schifani sono quelli che credevano che Musumeci fosse insostituibile», alimentato  da Gianfranco Miccichè, a sua volta additato di «scarso impegno» per la causa del candidato di bandiera e guardato storto per l’eccessivo dialogo con Cateno De Luca.  

E quella di ieri diventa l’occasione perfetta per dimostrarsi uniti e vincenti. Smentendo, con sorrisi e belle parole, tutte le maldicenze. I tre protagonisti, prima dell’inizio della manifestazione, si chiudono per un po’ in una saletta riservata del Catania City Airport Hotel. Escono, Razza a braccetto con Schifani, mentre Musumeci si attarda per entrare in sala per ultimo.

Nei discorsi è uno scambio di amorosi sensi. A partire dall’assessore, che cita la frase stampata «al secondo piano della scuola Nunziatella». E cioè: «Entriamo con la presunzione dell’io, usciamo con la consapevolezza del noi». Razza, ringraziando Musumeci «che mi ha voluto e rivoluto», snocciola il suo quinquennio, fra video emozionali e applausi convinti. E lo fa con sobrietà ed efficacia. «Ruggero, hai fatto quello che non abbiamo saputo fare in cinque anni: raccontare i risultati», gli dirà poi il governatore. Dalle risorse umane (17mila assunzioni a tempo indeterminato, più 7mila reclutati per l’emergenza Covid, la cui claque è la più rumorosa in sala), alla programmazione, con la riduzione dei “viaggi della speranza” dei pazienti siciliani («per la prima volta le prestazioni sono scese sotto i 200 milioni») e la nuova rete ospedaliera, «nonostante qualcuno del M5S fosse andato dall’allora ministro grillino per chiederle di non approvarla». E poi gli investimenti, 1,5 miliardi al netto degli 800 milioni del Pnrr, in cui «la Sicilia è stata la prima ad approvare il piano».

In mezzo la gestione della pandemia, per la quale l’assessore andrà a processo a Palermo con l’accusa di falso nei dati Covid. Razza cita con un esplicito sorriso una recente intervista di Schifani: «Abbiamo operato con dignità, amore e competenza». Ed è proprio «al nuovo governo di Schifani» che l’assessore consegna la sanità siciliana, spesso «sotto attacco» da parte dei portatori di «interessi», dicendosi certo che resisterà grazie a «un galantuomo» come l’ex presidente del Senato.

Schifani sembra un personaggio del Libro Cuore. Sale sul palco, confessa di essere «emozionato» per tutto quello che ha visto. E di essersi «riservatamente confrontato, senza fare proclami» con il governatore, anche alla vigilia di provvedimenti in Cdm, riconoscendo «perseveranza»  a lui ma anche al vice (e candidato terzopolista) Gaetano Armao. «Non sono partigiano né fazioso: è stato un buon assessore al Bilancio». Gelo fra il pubblico. E poi si lascia andare a un lungo panegirico sull’uscente. «Sono orgoglioso di ereditare il vostro buon governo e non avrei mai accettato questo incarico se non avessi avuto la certezza di trovare la condivisione interiore da parte del presidente Musumeci». E qui la sala gli tributa il primo vero applauso.

Miccichè, in serata, farà arrivare il suo disappunto per un (definiamolo con un eufemismo) eccesso di entusiasmo. Poi l’onore delle armi diventa esplicito: «Proseguiremo l’azione del governo Musumeci anche nella sanità, settore in cui Razza ha fatto benissimo». L’assessore s’era congedato con eleganza («Finirò i miei doveri, avrò il compito di difendere i diritti»), quasi come a voler togliere Schifani dall’imbarazzo sul mandato-bis. Ma, in un crescendo d’afflato, il candidato governatore indirizza a Razza un «chapeau, complimenti». Sembra quasi un’investitura: «Se vinceremo voglio che la giunta sia composta da assessori politici – ripete – che siano competenti nel settore che dovranno governare». Se non arrivasse la precisazione: «Ti assicuro che quello che hai realizzato sarà uno stimolo per chi dovrà occuparsi di sanità nella futura giunta Schifani». Quindi: non Razza. Ad ascoltarlo manager pubblici e imprenditori delle cliniche private in bella vista. Fremono per riposizionarsi col nuovo che avanza.

A questo punto parla Musumeci. Riconosce che «il passato ed il presente del presidente Schifani costituiscono una garanzia per il futuro». Sembra davvero fatta: i due presidenti che si passano il testimone. Se non fosse che il governatore non riesce a trattenere la rabbia che cova dentro. Descrivendo la «delusione» dei suoi per il mancato bis, parla di «banditismo politico, e mentre dico “banditismo politico” la stampa prende appunti». Quel «giornalismo che soffre di ipocondria», divaga Musumeci, perché «sa solo parlare male della Sicilia». Il governatore rivendica «i 15 milioni di euro per le testate giornalistiche, ma non certo per imbavagliare la stampa». Alla quale rivolge un appello: «Un po’ di cuore aperto: non siate tristi!». Anche perché «non ha spiegato ai siciliani, caro Renato, perché un presidente dato vincente in quattro sondaggi in ogni contesto si sia ritrovato davanti al veto di qualche personaggio».

Riecco la critica: «La stampa non ha mai fatto un lavoro serio, anzi se in Sicilia un uomo politico lavora per bene e non è chiacchierato lo chiamano “cristianu bonu”». In contrapposizione a chi è «spregiudicato, amico magari di qualche giornalista, se uno è sotto gli obiettivi della magistratura, se è notoriamente spregiudicato al punto di passare da sinistra alla destra più estrema (sembra l’identikit di Luca Sammartino, ndr) è uno “spertu”, uno che mangia e fa mangiare. Avrei tanto voluto che la stampa d’inchiesta, caro Renato, ogni tanto si fosse occupata di questo tipo di politica. E invece no, quello che contava è quello che diceva un certo personaggio (Gianfranco Miccichè?, ndr) e nessuno ha commentato il mio lungo silenzio: se avessi risposto non avrei reso un servizio alle istituzioni».

Schifani sembra in imbarazzo. E Musumeci affonda: «La sanità non è stata in questi cinque anni uno strumento di potere, perché l’ho affidata a una persona perbene come Ruggero».  Infine, l’avvertimento sui tanti aspiranti nuovi assessori, «almeno cinque fra Catania e Acireale, sei o sette a Palermo». Il suo popolo lo osanna. Il prossimo governo, ammette, proseguirà «con la diversa sensibilità del presidente Schifani e nuove energie umane». Ma a lui, il presidente uscente pieno di rancore, questa staffetta non va proprio giù.

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