Il racconto del Cuffaro-party a Roma (con Lagalla e Romano)

Di Mario Barresi / 23 Febbraio 2017

Ma no. Macché. Niente torta. Né candeline. Candelotti, semmai. Di dinamite. Sui già precari equilibri del centrodestra siciliano.

Martedì era il giorno del compleanno di Totò Cuffaro: 59 anni, quasi cinque dei quali trascorsi a Rebibbia.

«E quindi, da ex detenuto, non dico bugie», ironizza l’ex governatore quando gli chiediamo se – all’hotel “Del Senato”, a due passi dal Pantheon – abbia davvero festeggiato parlando di politica siciliana, insieme con l’ex rettore di Palermo, Roberto Lagalla, e con Saverio Romano, che prima di essere verdiniano è sempre e comunque cuffariano. La risposta (sincera, ma poco credibile) è: «Assolutamente no».

Ma Cuffaro conferma l’incontro capitolino: «Parlavo nella hall con Lagalla, mio amico da mezzo secolo, quando mi ha chiamato Saverio. “Che fai? Dove sei?” E, dopo un quarto d’ora, l’ho visto spuntare, assieme ad altri amici». Ovvero: Michele Pisacane (ex deputato campano di Udeur-Udc-Pid-Pdl; ora leghista, ma democristiano nel dna), Angelo Sanza (ras diccì della Basilicata; sottosegretario con Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Goria e De Mita; transitato da Ppi, Cdu, Ccd e Udr; ex deputato di Fi e poi dell’Udc; ultimo avvistamento con Tabacci), Gino Alaimo (ex parlamentare di Dc, Ppi e Udc, cellula cuffariana di Canicattì, oggi dirigente di Sicilia Futura) e Decio Terrana (di Grotte, ex deputato regionale dell’Udc, poi col Pid, uomo forte di Romano).

Una bella combriccola, non c’è che dire. «Eravamo quattro amici al bar», minimizza Cuffaro. Che giura: «Nemmeno un brindisi, quando Saverio ha ricordato del mio compleanno. Solo acqua. E caffè…». Fra loro non c’era – nonostante i rumors, tanto fragorosi quanto tendenziosi – il deputato di Ncd Dore Misuraca. «Smentisco categoricamente», ci risponde con cortesia quando chiamiamo il suo nome all’appello nel registro della festicciola. Dunque: assente con giustificazione autocertificata. Un vero peccato, per chi – soprattutto fra gli alfaniani, divisi al bivio palermitano fra Ferrandelli e Orlando – accarezza ancora il nostalgico sogno del centrodestra old style.

Certo che cotanto consesso cuffariano, alla presenza di Lagalla (il più candidato fra i candidati governatore), è una dose quasi letale di caffeina per i sonni giammai tranquilli di Nello Musumeci, battistrada delle primarie del centrodestra. Del resto è circostanza arcinota che Salvatore detto “Vasa-Vasa”, «interdetto dai diritti politici, ma non dalla politica», non sia fra i tifosi della corsa, data vincente dai bookmaker di coalizione, del capo di #DiventeràBellissima.

«Ci vuole un moderato, per battere i grillini» è il mantra che risuona fra i Cuffy-boys. Lagalla, assiduo frequentatore di Davide Faraone e molto stimato da Angelino Alfano, forse è ora consapevole degli spazi stretti e accidentati di una candidatura col centrosinistra. E quindi sull’assessore regionale alla Sanità del governo del festeggiato viene costruito un ragionamento più che avanzato. Ripartire dal centro, con un nome autorevole che strizzi l’occhio allo schieramento avversario. A partire dall’altro Totò (Cardinale), iperattivo per indole, ma oggi più che mai. L’effetto più o meno collaterale? Frantumare, per causa di forza (centrista) maggiore, le uova nel paniere delle primarie di coalizione.


Un’idea meravigliosa, pure per Gianfranco Micciché, viceré forzista di Sicilia: lui in quel «bagno di democrazia» invocato dagli alleati non vorrebbe proprio tuffarsi. Alla fine, compulsato dagli alleati, s’è dovuto arrendere, mettendo la colomba Marco Falcone fra i saggi delle primarie, pur consapevole che sono mal digerite da Silvio Berlusconi. Il quale per Palazzo d’Orléans, pur stimando Salvo Pogliese, ha un chiodo fisso: Stefania Prestigiacomo. Ma senza lo stress-test dei gazebo.

Strada molto complicata, seppur suggestiva, con la nomination dell’ex ministro siracusano. Ma non con quella di Gaetano Armao, peraltro già in campo con il suo Movimento nazionale siciliano. Il sostegno di Micciché&C. spaccherebbe il tavolo delle primarie, isolando Musumeci e la destra. E mettendo in crisi d’identità anche il neo-leghista Angelo Attaguile, già compagno di merende autonomiste di Armao.

E chissà se all’avvocato palermitano che fu assessore di Raffaele Lombardo (che si dichiara auto-rottamato per impegni giudiziari, pur restando sempre influentissimo nello scacchiere siciliano) saranno fischiate le orecchie, poco più di una decina di giorni fa. Quando, in una trattoria di Santo Stefano di Camastra, Micciché conversava, fra una fritturina di paranza e un sauté di frutti di mare, con Rosario Crocetta. «Una cena casuale», la definisce all’Ansa il governatore. Con quest’alibi: «Mi trovavo a Santo Stefano, spesso vado in quella trattoria. Micciché e Gallo erano già lì, mi hanno invitato a sedermi nel loro tavolo. La mia è stata solo cortesia nell’accettare un invito simpatico, l’avrei fatto con chiunque altro». Il governatore sostiene che «non c’è alcun retroscena politico». E sbotta: «Perché, è vietato mangiare nello stesso tavolo con avversari politici? Io in politica non ho nemici».

Tutt’altro che casuale, però, è l’altro commensale della tavolata tirrenica: Riccardo Gallo Afflitto. Giovane pupillo di Marcello Dell’Utri, al quale è legato con ammirevole coerenza anche da quand’è in carcere; compagno di giochi d’infanzia del concittadino Alfano, con rapporti molto freddi negli ultimi anni; ufficiale di collegamento fra Berlusconi e Lombardo negli anni d’oro romani e palermitani. Il deputato di Forza Italia è noto alle cronache – oltre che per una sanguinaria accusa di un pentito di mafia, ampiamente archiviata – per aver portato Marco Zambuto, allora presidente dei dem siciliani, a Palazzo Grazioli dal Cavaliere, visita di cortesia che portò poi alle dimissioni del golden boy del Pd sotto i Templi. E c’era l’eminente regia di Gallo anche dietro all’accordo “rossoazzurro”, trasversale e vincente, a spalancare per Lillo Firetto il portone del comune di Agrigento. E adesso, da raffinato tessitore, aiuta Micciché nell’operazione Armao, «l’unico capace di battere i grillini», magari assieme a pezzi di centrosinistra in fuga dalla sconfitta preconizzata dai sondaggi. Gallo lavora anche per sé: vuole arginare Cuffaro, sempre in cordiale contatto con Arcore, il quale avrebbe l’ambizione di piazzare il fratello Silvio alle Politiche nell’Agrigentino: un temibile galletto che affliggerebbe il pollaio del parlamentare forzista.

Ma Crocetta, in tutto ciò, che ci azzecca? Nulla, in apparenza. Rosario, più che potenziale un alleato, è «lo sfidante ideale», nello schema dei moderati, per potersi concentrarsi sulla sfida ai 5stelle. Eppure l’attovagliamento con Gianfranco (quello «casuale» non sarebbe l’unico degli ultimi tempi, secondo fonti tirreniche) torna utile anche al governatore. Che, al di là di tutto, resta un ancestrale animale politico. Auto-ricandidato con “Riparte Sicilia”, subisce da sempre le angherie di Pd e alleati assortiti, che hanno tempestato di mine anti-Saro il sentiero della Finanziaria. E allora, comunque vada a finire il voto all’Ars, il governatore (nel cui vocabolario è sempre più frequente la parola «autonomismo») potrebbe davvero fare un passo che ha sempre smentito con sdegno. Azzerare la giunta e tirare la volata fino ottobre con il “governo del presidente”. Che, a Sala d’Ercole, in questo scenario, avrebbe bisogno anche dei voti del simpatico commensale Gianfranco, oltre che quelli di lombardiani e centristi di varia forgia. Mai dire mai. Del resto non si sa mai.

Ps: fantapolitica? Forse. Tutti smentiranno tutto. Eppure le foto a corredo di questo articolo sono state diffuse a cura delle due opposte fazioni di centrodestra, con inenarrabili complicità d’altro schieramento. Ma questa è un’altra storia.

Anzi: un’altra spy-story.

Twitter: @MarioBarresi

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Redazione
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