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Il processo a Lombardo, la difesa all’attacco dei pentiti: «La lotta alla mafia non era di facciata»

Di Redazione |

«La lotta dell’ex Presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, contro la mafia non era solo di facciata, con la nomina di due magistrati antimafia nella sua Giunta regionale, come dice l’accusa. Già da prima l’imputato lottava contro Cosa nostra ed è dimostrato».

E’ iniziata così l’arringa dei legali nel processo di appello a carico dell’ex Governatore siciliano, Raffaele Lombardo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale aggravata. L’avvocata Maria Licata, che difende l’ex politico con il collega Vincenzo Maiello, ha ricordato – come riporta l’Adnkronos – anche il contenuto della requisitoria del 2007: «La Procura Generale ha parlato nella discussione delle competizioni elettorali di Niscemi e Mirabelli Imbaccari del 2007 – dice la legale nel suo intervento – Come se ricercassimo la prova di un patto politico mafioso che riguarda il complesso delle competizioni usando le elezioni di un remoto paesino. Mi sembra un ragionamento che non appare adeguato né sul piano della metodologia probatoria, ma neanche sul piano del sistema della logica. Significa affermare una tesi, al di là dell’evidenza che è oggettiva».

Poi ribadisce: «Non voglio soffermarmi sull’Mpa – dice – ma è un contesto storico dal quale non possiamo prescindere per raccontare i fatti. Non è vero che Lombardo assumerà un atteggiamento di lotta alla mafia solo di facciata quando diventerà presidente della Regione, nominando dei magistrati», cioè Caterina Chinnici, oggi eurodeputata e Massimo Russo, oggi Procuratore dei minori a Palermo. E ricorda che« nel 2007 si votò in molti comuni siciliani. Solo in provincia di Catania si votò in 18 comuni. E perché parlo di Catania? Perché è la provincia dentro cui gravita la consorteria mafiosa con cui l’imputato, secondo l’accusa, avrebbe avuto dei rapporti».

Lombardo, accompagnato dal figlio, Toti Lombardo, è stato seduto in seconda fila ed ha ascoltato in silenzio l’arringa dell’avvocata Licata. Al termine della requisitoria, la Procura generale di Catania, lo scorso 2 febbraio, aveva chiesto la condanna a sette anni e 4 mesi di carcere.

Lombardo venne condannato in un primo processo d’appello a due anni, pena sospesa, per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. Una sentenza che aveva riformato la decisione di primo grado, col rito abbreviato, di condanna a sei anni e otto mesi, emessa il 19 febbraio 2014 del Gup Marina Rizza. In una delle scorse udienze, rendendo dichiarazioni spontanee, davanti alla seconda sezione penale della Corte d’appello di Catania, presieduta da Rosa Anna Castagnola, l’ex Presidente della Regione siciliana, aveva ribadito con forza le azioni politiche intraprese che hanno «fortemente contrastato Cosa nostra». Aveva citato intercettazioni e le dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia. Lombardo aveva parlato poi di Safab, del villaggio di Sigonella, di termovalorizzatori, dello stop ai parchi eolici «così graditi al boss Messina Denaro», dell’opposizione alla realizzazione nell’ennese del Parco tematico. L’ex politico aveva concluso chiedendo alla Corte d’Appello «di essere giudicato come uomo e non come un caso politico, mediatico e giudiziario».

Il nuovo processo di appello scaturisce dalla decisione della Corte della Cassazione di annullare, nel 2018, con rinvio alla Corte d’appello, la sentenza del procedimento di secondo grado, emessa l’anno prima, che era terminata però con l’assoluzione di Lombardo dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e la condanna a due anni – pena sospesa – per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione e violenza. Secondo i giudici d’appello di Catania, che avevano nel marzo 2017 avevano assolto Lombardo, come si legge nelle motivazioni, «il summit tra i vertici mafiosi e Raffale Lombardo nel giugno del 2003 a casa» dell’ex presidente della Regione« è un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio» e «certamente errata la collocazione temporale assegnata dal Gup» visto che Carmelo Puglisi, che secondo le dichiarazioni del boss pentito Santo La Causa sarebbe stato presente, «nell’estate del 2003 era ancora detenuto». Poi ci sono le parole sul pentito Tuzzolino definito dalla difesa di Lombardo come «un truffatore che in questo processo ha raccontato fatti disancorati sul piano storico».

«Un soggetto incredibile, bipolare, che ha spedito la Dda di Agrigento persino a New York per cercare il latitante Messina Denaro. E gli inquirenti, che in un primo momento gli danno credito. Ero convinta che la Procura generale non facesse alcun riferimento a Tuzzolino, invece è accaduto. Ho fatto un salto sulla sedia quando ho letto le sue dichiarazioni» ha aggiunto l’avvocata Maria Licata. «Auspico che la Procura generale si attivi per i danni commessi da Tuzzolino nei confronti dell’amministrazione giudiziaria», dice la legale. Nel processo che vede coinvolto Raffaele Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa, il collaboratore di giustizia-massone ha dichiarato che massoneria e Cosa Nostra avrebbero sostenuto l’ex Presidente della Regione Siciliana. Per l’architetto agrigentino, Lombardo sarebbe stato «in contatto con esponenti della criminalità organizzata siciliana, dagli stiddari di Agrigento alla famiglia catanese di cosa nostra, passando per quella calatina». Tuzzolino ha sostenuto inoltre che gli incontri avuti con Raffaele Lombardo sarebbero avvenuti quando lui era già insediato alla presidenza della Regione. Tuzzolino era stato smentito in aula da diversi testi, tra cui l’architetto Calogero Baldo, ex suocero di Tuzzolino, e l’ingegner Giovanni Romiti della Politecnica srl. Ma anche dall’ex segretaria generale della Regione siciliana Patrizia Monterosso.

«In questo processo il mendacio è clamoroso, è inquietante che alcuni testi siano ancora valorizzati dall’accusa. Perché questa accusa ha l’esigenza di valorizzare questi testimoni?» ha chiesto l’avvocata Maria Licata. E cita alcuni collaboratori di giustizia, come Francesco Ercole Iacona. «E’ davvero preoccupante che possa essere stato usato in un processo una siffatta fonte dichiarativa», dice Licata. Ma cosa aveva detto Francesco Ercole Iacona in aula? «Maurizio La Rosa mi disse che ad Agrigento potevamo appoggiare il presidente della Regione Raffaele Lombardo dando il voto a Enzo Cirignotta, candidato a Gela, e a suo cognato, tale Pepe o Pepi, non ricordo. Ciccio La Rocca lo teneva in mano sua, a Lombardo, lo “giostrava”». Per la difesa sono dichiarazioni «non veritiere». E parla di prove dichiarative «inconsistenti».

Poi ricorda le elezioni a Presidente della Regione siciliana, Lombardo, presente in aula… «Nel gennaio 2008 Cuffaro si dimette e il 13 aprile 2008 si andrà al voto – spiega – all’interno del centrodestra si inizia a discutere delle candidature. Il 23 febbraio 2008 Lombardo diventa il candidato ufficiale della coalizione di centrodestra. L’apertura della campagna elettorale è del 24 febbraio 2008». E dice: «Voglio ricordare che secondo i sondaggi, come quello di Demopolis che ho recuperato, danno il centrodestra al 64 per cento. Dunque, non era una battaglia combattuta. L’esito della competizione elettorale era alquanto scontata. Un candidato che parte dal 64 per cento, secondo i sondaggi, avverte davvero l’esigenza di rivolgersi alla consorteria criminale per avere un aiuto? No».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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