«Il Ponte sullo Stretto? Ce lo facciamo da soli»: il patto di Musumeci con Salini

Di Mario Barresi / 22 Aprile 2021

Il Ponte sullo Stretto? «Non è più una questione di soldi, ma se c’è la minima volontà politica possiamo farcelo anche da soli». Da Catania è partirà un messaggio-shock destinato al resto d’Italia, ma soprattutto al governo nazionale. Una posizione che supera, di fatto, il mancato inserimento dell’opera nei progetti del Recovery e che apre un nuovo scenario.

MUSUMECI: «Chiameremo il Ponte Ulisse»

A lanciare la sfida Pietro Salini, l’Uomo del Ponte: amministratore delegato di WeBuild (ex Salini-Impregilo), capofila del general contractor Eurolink, ma anche protagonista della rinascita dell’ex Morandi: «Noi il Ponte siamo in grado di farlo e si può partire anche subito». E, utilizzando il tanto decantato “modello Genova”, c’è anche una stima sui tempi: «Entro massimo quattro anni».

L’altro elemento nuovo è fra le due sponde: le Regioni hanno un’unica strategia. E sono disposte anche a metterci i soldi. 

Gli assessori regionali alle Infrastrutture, Marco Falcone e Domenica Catalfamo, hanno avuto più di un confronto con Salini e i suoi manager per fare il punto sull’aggiornamento delle procedure (revisione del progetto e nuovo piano finanziario), ma anche sul «ruolo propulsivo» che potranno avere le Regioni.

Il succo è questo: se WeBuild assicura di poter sostenere l’investimento (circa 4 miliardi) della “pura” costruzione del Ponte, restano quasi 2 miliardi di infrastrutture di terra, finanziabili con fondi che, se non dovessero ricevere ad hoc da Ue e Stato, Sicilia e Calabria potrebbero coprire in parte con risorse proprie e soprattutto rivolgendosi al mercato finanziario.

Quello che succederà oggi è frutto dell’intenso lavoro di “Lettera 150”, un think thank di professori universitari che organizza l’incontro. In prima fila c’è il catanese Felice Giuffrè, “pontista” convinto. «I governatori di Sicilia e Calabria, lo scorso febbraio, hanno raccolto il nostro invito per far ripartire il procedimento per la costruzione dell’opera, riaprendo il dialogo con il general contractor e chiedendo l’utilizzazione del progetto definitivo oggi in mano ad Anas dopo la liquidazione della messa in liquidazione della società Stretto di Messina da parte del governo Monti. Quello di domani (oggi per chi legge, ndr) è un ulteriore passo avanti: Salini e i due governatori – chiosa Giuffrè – ribadiranno un impegno comune su un’opera che adesso si può fare davvero».

Già da ieri a Catania c’è anche Enzo Siviero, ingegnere e architetto, rettore di eCampus, un “ultrà” veneto del Ponte. «Ritengo che ci siano tutte le condizioni affinché questo sia un passo decisivo: c’è la netta disponibilità di Salini a realizzare l’opera in project financing e l’asse fra le due Regioni. Il problema non sono più i soldi e non c’è nemmeno bisogno di inseguire il Recovery, ma adesso serve un minimo di volontà politica da parte del governo».

Il docente, fra i fondatori di “Lettera 150” (coordinata dall’ex senatore Giuseppe Valditara) si riferisce a «un intervento legislativo per rivisitare la concessione e favorire un accordo extragiudiziale sul contenzioso in corso, sul quale Salini è molto ben disposto».

L’annuncio-shock sul Ponte avrà un potente valore simbolico. Che Musumeci sfrutterà al meglio, disposto com’è a «fare tutto quello che è umanamente possibile affinché il governo assuma una decisione coraggiosa». Il governatore, grazie al patto di ferro con Salini, si ritaglia un quadrato-chiave nello scacchiere politico del Sud. Superando le barriere della litigiosità dei partiti nel “governo dei migliori”, e sorpassando i nemici interni. A partire dall’odiato Cateno De Luca, che – proprio ieri, in videoconferenza con altri sindaci – ha ribadito a Mario Draghi la richiesta di inserire il Ponte nel Recovery, «quale opera strategica sovranazionale, con uno scostamento sui tempi di realizzazione». Due passaggi necessari, prima della svolta di oggi a Catania. Quella del Ponte in versione “ghe pensi mi”.

Twitter: @MarioBarresi

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Redazione
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