il caso
Il pasticcio della Province, il centrodestra ripensa alla legge-lampo sul voto diretto
L’ira di Schifani per il sì in commissione di FdI, Mpa e Dc all’emendamento dem alla manovrina sulle royalties
Il vertice di maggioranza, in verità, era stato già convocato per oggi prima dell’ultima sberla della Corte costituzionale sulle Province. E dunque Renato Schifani, imbufalito per quello che con alcuni interlocutori ha definito «il doppio gioco» di alcuni alleati rispetto agli accordi sulla manovra correttiva, dovrà rivedere il menu del pomeriggio a Palazzo d’Orléans.
E magari il confronto partirà proprio dalla linea da tenere dopo l’ennesimo rinvio delle elezioni di secondo grado già indette per il 15 dicembre. «Il pasticcio è stato già fatto, ora bisogna trovare il modo di rimediare», commenta un esponente di spicco della maggioranza, critico sulla strategia del blitz all’Ars per infilare la norma per il rinvio del voto nel ddl sull’urbanistica. «Il Cdm la impugnerà: è solo questione di tempo», l’amara consapevolezza. E allora perché non sfruttare proprio questo «tempo», fino a 60 giorni dall’entrata in vigore, per tornare all’idea iniziale? Una nuova legge per l’elezione diretta nelle Province, fissando il voto in primavera. Più che una finestra, all’Ars (il ddl è in commissione Affari istituzionali) c’è una fessura: pochi giorni fra il voto sugli assestamenti e l’inizio della sessione di bilancio.
«Se siamo compatti ce la possiamo fare», azzarda qualcuno che però si chiede: «Siamo davvero compatti?». Oggi gli alleati si aspettano dai coordinatori di FdI, Salvo Pogliese e Giampiero Cannella, un «segnale sulla copertura nazionale» all’operazione. Ma almeno fino a metà settimana, quando i big meloniani a Roma discuteranno il caso Sicilia, non ci sono certezze. «Pogliese – sibila un alleato – dovrà dirci a nome di chi parla, visto che in FdI Galvagno sembra voler rinviare le urne alle calende greche». Eppure i leghisti assicurano che Schifani «ha già avuto precise garanzie dal ministro Calderoli» e dunque ci sarebbe il lasciapassare per una legge regionale che anticipi la “rottamazione” della Delrio. «Quella il governo nazionale non la impugnerebbe», l’idea di chi pensa che questa sia l’unica strada anche per sterilizzare il niet della Consulta. «Nelle sentenze c’è scritto che non si possono fare altre proroghe, non che la Regione non abbia potestà per una sua riforma». Ma c’è chi non ne è convinto: «Finirà comunque con un ricorso».
In attesa di superare il busillis delle Province, c’è da affrontare un altro tema spinoso. Che poi è l’originario ordine del giorno del vertice. Schifani aveva chiesto (e ottenuto, sulla carta) la rassicurazione che il testo della manovrina esitato dal governo regionale non avrebbe subito modifiche. Invece così non è stato. E il governatore è imbufalito per il voto di FdI, Mpa e Dc a un emendamento del dem Fabio Venezia in commissione Bilancio che ha stravolto l’articolo 30 sulla quota delle royalties sul metano. Per legge i 2/3 vanno ai Comuni dove ricadono i giacimenti, mentre la quota restante resta alla Regione che assegna i fondi agli stessi enti per opere compensativ e con un bando.
«Ma il governo Schifani – spiega Venezia – voleva appropriarsi dell’ennesimo tesoretto, circa 48 milioni, togliendo la destinazione vincolata per darlo ai soliti comuni raccomandati». L’altolà di Venezia, che è anche sindaco di Troina (nella lista dei 14 comuni destinatari, molti dell’Ennese, ci sono pure Ragusa, Gela e Bronte), è passato con alcuni voti del centrodestra, a eccezione di Forza Italia e Lega. E Schifani non l’ha presa bene. Così come per alcuni altri emendamenti “in libertà”, a partire da quello del presidente della commissione Cultura, Fabrizio Ferrara di FdI, che ha riscritto la norma governativa sul prestito d’onore agli studenti universitari. «E non è l’unico», mormorano i lealisti di Forza Italia additando gli alleati che «non rispettano i patti».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA