L'INTERVISTA
Il ministro Provenzano: «Ecco il mio piano per una Sicilia che abbia le radici e le ali»
Peppe Provenzano, ministro del Sud, la manovra è stata appena varata, e c’è già chi invoca un “tagliando”.
«La manovra rispecchia l’accordo di governo e inviterei tutti a ripassarlo, quell’accordo. Tutte le idee e le proposte possono essere utili, ma nel quadro di un programma che va rispettato. Capisco che il respiro di sollievo che ha tirato l’Italia per il mancato baratro in cui ci stava portando una manovra che si faceva carico delle scellerate promesse di Salvini è durato poco, ma dobbiamo ricordarci da dove veniamo. In questa manovra, contrariamente a quanto si temeva due mesi fa, non c’è né aumento dell’Iva, né tagli sociali per sei miliardi. Invece ci sono: aumento degli stipendi, abolizione del super ticket, abbattimento delle rette degli asili nido, piano casa e misure per il Sud».
Si può definire una manovra di sinistra?
«Sì, perché accorcia le distanze e comincia a invertire la rotta».
Le basta questo?
«No, a me non basta. Ma quelle che abbiamo compiuto sono scelte giuste. In questa manovra abbiamo investito tre miliardi per abbattere le tasse sui lavoratori e aumentare le buste paga. Ma per me è solo un primo passo».
A proposito: Boschi ha definito il Pd «il partito delle tasse»…
«Sono convinto che da parte di chi è seduto in Parlamento grazie al Pd ci sarebbe bisogno di maggiore rispetto per questa comunità».
Ma un asse Renzi-Di Maio che ammicca ai piccoli evasori se l’aspettava?
«È anche legittimo il dibattito nel governo. C’è chi vuole alzare la soglia del contante e chi vuole alzare gli stipendi ai lavoratori, io sono orgoglioso di far parte della seconda metà. Ripassiamo il programma: la lotta all’evasione è una priorità e si fa favorendo i pagamenti elettronici. E poi, francamente, non so che persone frequentino gli altri, ma io non ho mai visto gente che paga un elettrodomestico o una vacanza con 3mila euro in contanti. E, se lo vedessi, qualche preoccupazione me la porrei».
Per Musumeci «non si vedono contorni e contenuti del Piano del Sud».
«Invito il presidente Musumeci ad astenersi dalle polemiche e a lavorare per spendere i fondi europei, visto che la Sicilia rischia un grosso disimpegno. Io mi sto adoperando affinché un solo euro non sia sprecato».
Il governatore sostiene che le risorse ci sono, ma che servono deroghe sulle procedure.
«Le procedure valgono per tutte le regioni allo stesso modo e dunque non spiegano i ritardi. Io, comunque, sono al lavoro per provare, in accordo con la Commissione Ue, a salvare il programma operativo regionale. Subito dopo il mio insediamento, quando sono venuto in Regione, ho detto che, al di là delle responsabilità, non possiamo permetterci il lusso di far pagare ai cittadini siciliani il costo delle inefficienze».
Ha parlato di «misure per il Sud» già nella manovra, ma l’attesa più grande è per il Piano. Cosa c’è di concreto?
«Nella manovra ci sono due norme che anticipano i contenuti del Piano per il Sud. La prima misura è un rafforzamento della clausola del 34% e cioè degli investimenti nel Mezzogiorno che siano proporzionali alla popolazione di riferimento, per consentire le risorse di coesione siano davvero aggiuntive. L’altro tema è la semplificazione delle procedure di riprogrammazione di tutte le risorse previste per il Sud e non spese negli ultimi anni. Qui c’è un ritardo di quasi tutte le Regioni, con le eccezioni di Campania e Puglia, e anche di alcune amministrazioni statali. Le misure di politica industriale della manovra sono soprattutto per il Sud. Ho rifinanziato il credito d’imposta per investimenti, con 675 milioni che possono attivare quasi due miliardi di investimenti privati. Ho rafforzato il credito di imposta in ricerca e sviluppo per agevolare il trasferimento tecnologico nelle nostre aziende. Ci sono altre misure di cui vado fiero. La prima è l’istituzione di un fondo di 250 milioni per la crescita dimensionale delle imprese, che dovrà gestire la Banca del Mezzogiorno. E poi ci sono due misure da cui mi aspetto un effetto per la Sicilia: il raddoppio delle risorse per la strategia delle aree interne e un fondo per dare ossigeno ai Comuni indebitati, riducendo i tassi d’interesse con 300 milioni previsti nel 2020».
E poi arriverà il vero Piano per il Sud. Cosa sarà, come lo immagina?
«Lo abbiamo chiamato Piano per il Sud, ma vorrei che cominciassimo a chiamarlo Piano per l’Italia. Gli investimenti al Sud sono interesse di tutto il Paese, comprese le piccole e medie imprese del Centro-Nord. Al Sud servono più risorse, lo dico senza timore perché né io né la mia generazione abbiamo scheletri nell’armadio di sprechi o clientelismo. Ma poi queste risorse devono essere spese. La sfida principale è nel metodo e noi la realizzeremo con un patto con gli enti locali, prevedendo procedure standard e forme di affiancamento che vanno dalla progettazione alla realizzazione degli interventi. L’altra innovazione è che questo investimento deve riguardare tutto il servizio da offrire al cittadino: io posso costruire degli asili nido, ma se poi il comune non può tenerli aperti, l’intervento è nullo. E poi un’azione molto forte, che sto già compiendo, nei confronti di Ferrovie, Anas, Cassa depositi e prestiti, per alzare il livello di investimenti al Sud. Su ciò occorre uno sforzo di credibilità da parte di una politica che deve rinunciare all’inseguimento di interessi particolari anche per essere più forte per far rispettare i contratti e denunciare episodi scandalosi come la corruzione nei cantieri Anas».
Che specificità ha la Sicilia in questo contesto?
«La Sicilia è tra le Regioni che ha partecipato meno alla ripresa, che già al Sud è stata debole. Le ferite della crisi sono ancora aperte. Se una rinnovata stagione di investimenti è necessaria per il Sud, lo è ancor di più per la Sicilia. Nelle cinque “missioni” del Piano per il Sud – scuola, infrastrutture sociali e materiali, ambiente e transizione ecologica, trasferimento tecnologico e l’apertura al Mediterraneo – la Sicilia presenta maggiori ritardi e criticità e allo stesso tempo delle potenzialità enormi. Le criticità sono livelli di dispersione scolastica drammatici e l’isolamento dei trasporti, che riguarda le molte isole nell’isola, zone irraggiungibili. Nel Piano ci sarà un intervento significativo sulla viabilità secondaria delle ex Province, che è in condizione indecente».
Sul versante delle opere pubbliche lei non è un fan del Ponte sullo Stretto…
«Io ragiono per priorità. E le priorità sono gli interventi sulle reti stradale e ferroviaria interne. Nei decenni abbiamo assistito ad annunci mirabolanti sul Ponte, poi diventati un alibi formidabile per non realizzare quello che davvero incide sulla qualità della vita di cittadini e imprese».
Incontrando i sindaci nel Nisseno ha criticato la «vecchia politica» meridionale e siciliana. Nella quale c’è anche il suo Pd…
«Io le battaglie contro le classi dirigenti del mio partito non ho mai avuto paura di combatterle. In questi giorni mi sono limitato a dire che non basta essere meridionali o siciliani per fare il bene del Sud o della Sicilia. Nei decenni ho visto tanti siciliani e meridionali che hanno inseguito piccoli obiettivi personali, senza la capacità di guardare all’interesse generale».
Lei, rifiutando uno strapuntino alle Politiche dietro la figlia di Cardinale, diventò un simbolo nazionale della “resistenza” a Renzi all’apice del potere. Come ha vissuto la scissione e come vive la Leopolda che lancia Italia Viva, da lei definita un «partitino»?
«Se dici di volerti opporre a Salvini, non lo fai con il 4%, altrimenti c’è il sospetto di un’operazione personalistica. Non ho seguito molto la Leopolda, nel complesso mi è sembrata un’operazione nostalgica ed è un po’ triste vedere che il principale obiettivo polemico sia diventato il Pd. Detto questo, invito tutti a non immaginare questo governo come un campo di battaglia dove piantare le proprie bandierine, perché altrimenti non andiamo lontano. Il Pd, comunque, non starà lì a farsi logorare».
Come ha trovato il Pd siciliano? Superata la fase post-atomica dopo il commissariamento di Faraone?
«Ho trovato una grande voglia di partecipare, di discutere, di rimettersi in gioco. Ho più volte sentito il commissario Losacco, che ha il compito di fare ordine nel partito siciliano verso i congressi provinciali e regionale. Il governo nazionale ha bisogno di conquistare un consenso sociale che ancora non ha nella maggioranza dei cittadini. E per farlo non bastano soltanto le buone politiche, bisogna essere presenti nella società con un partito che sia vivo nei territori. Il Pd, anche in Sicilia, deve rimettersi in piedi e ci sono le energie per farlo».
Dopo il test in Umbria si parla di un asse Pd-M5S anche alle Amministative in Sicilia. Oltre questo laboratorio, c’è chi, nel Pd regionale, ritiene «da valorizzare» l’assenza di alcuni forzisti alla piazza del centrodestra.
«Io sarei molto prudente sugli esperimenti di laboratorio, che a volte in passato hanno partorito mostri. Sull’alleanza con il M5S molto dipenderà dal governo, se dalla semplice attuazione, già complicata, dei punti programmatici si riuscirà a trasmettere un’idea di società. In Sicilia facciamo opposizione insieme, ma per costruire un’alternativa c’è bisogno di un chiarimento con il M5S: l’azione di giustizia sociale è alternativa alla destra, bisogna dirlo senza ambiguità. Sul resto sono convinto che sia necessario a livello locale allargare le alleanze per battere una destra non solo pericolosa sul piano democratico, ma anche per gli interessi del Sud. Quindi ben vengano quelli che non vanno in piazza a braccetto con Casa Pound, ma da qui a farne un’alleanza politica ce ne corre».
In questo weekend è tornato alle origini, nella sua Milena, per la prima volta da ministro. Un’overdose di emozioni. Ce le racconta?
«Tutte le emozioni che ho provato dal giorno del giuramento, forse perché ho lavorato senza fermarmi un giorno, sono state come contratte. Tornare a casa le ha fatte sciogliere all’improvviso. Mi ha fatto impressione, riempendomi di gioia, l’affetto dei cittadini, ma mi carica di una responsabilità enorme: quella di provare a non deludere le attese e le aspettative che ha suscitato non tanto la mia persona quanto una storia come la mia. A Milena ho citato un proverbio cinese: il regalo più grande che si possa fare ai propri figli è donare loro delle radici e delle ali. Io in Sicilia ho le mie radici, che non ho mai reciso, ma ho avuto anche le ali. Le ali di un sogno. Il mio invito è che questa terra coltivi le radici e non rinunci alle ali, cioè alla possibilità di immaginare un futuro».
Twitter: @MarioBarresi
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